L’originale Modern Warfare III (2011) segnava il debutto di Sledgehammer Games, al fianco di Infinity Ward, nello sviluppo della popolare saga di sparatutto in prima persona. Dodici anni più tardi è nuovamente tempo di dare la caccia a Makarov in quello che in un primo momento era iniziato come un ottimo reboot della serie Modern Warfare, ma che uscita dopo uscita si è lentamente trasformato in una delle peggiori re-immaginazioni di una campagna di successo. Già lo scorso anno si era notata una certa cautela nell’approcciare alcune delle missioni singleplayer, rievocando una forte sensazione di già visto ma che tutto sommato era scandita anche da qualche novità e sostenuta da un buon ritmo di gioco.
Purtroppo non possiamo dire lo stesso di Modern Warfare 3 (2023). Una campagna frettolosa, senza grandi acuti e che arriva ai titoli di coda in modo inconcludente proprio quando le cose iniziavano a farsi più interessanti. Il peccato più grande di MW3 non è tanto nella durata esigua, ma è nell’aver davvero sfruttato male quel tempo di gioco in una corsa senza pathos verso un epilogo che lascia sì le porte aperte al futuro, ma fa rimanere anche con l’amaro in bocca per l’occasione sprecata. Le nuove missioni di combattimento aperto, a lungo pubblicizzate come un’innovazione capace di offrire livelli di libertà e adattabilità mai visti prima, finiscono per essere una trasposizione per giocatore singolo delle Operazioni Speciali, con un tocco di DMZ e l’immancabile soffocante sensazione che tutto ormai giri intorno a Warzone.
Libertà di azione a discapito della qualità
Se avere l’illusione della rigiocabilità in missioni simil-sandbox poco stimolanti finisce per sottrarre la spettacolarità che una linearità più ricercata e curata nei minimi dettagli offriva sia come level design che sviluppo narrativo, allora non siamo così certi che questo approccio sia davvero un passo avanti, quantomeno non nella formula proposta che segue quel processo di “warzonificazione” – permetteteci il termine - di tutti i contenuti ormai in moto da anni.
Pur riconoscendo che si può completare una missione in diversi modi, gli stimoli a rigiocare una stessa missione sono davvero pochi. Accedere a un arsenale impressionante rimane uno dei motori di gioco principali, anzi a dirla tutta è fin troppo generoso vista la mole di casse sparse nei livelli contenenti armi super accessoriate o di serie di uccisioni in cui è possibile imbattersi. Tutto finisce per abbassare drasticamente il livello di complessità anche a difficoltà veterano.
Non ci sono particolari incentivi quando gli obiettivi sono fissi e li si è già raggiunti una volta, e i nemici hanno gli stessi tempi di reazione e le routine maldestre di DMZ. Anche lo stealth, in assenza di un vero e proprio sistema di gioco che ne sorregga le azioni, non funziona benissimo. Senza neanche poter occultare i cadaveri, si trasforma in un tiro al piccione dei nemici attirati dai corpi esanimi dei compagni. Lo stesso design delle aree suggerisce degli scontri in campo aperto, rendendo quindi l’approccio ad armi spianate più soddisfacente di altri. Le missioni più avanzate offrono però una pianificazione degli spostamenti quantomeno più apprezzabile.
Qualche stimolo in più allora forse va ricercato all’esterno, nella lista trofei/obiettivi che suggerisce qualche modo alternativo per approcciare una missione o che invita a raccogliere e/o usare tutte le ricompense trovate nella mappa. Noi lo abbiamo fatto, esplorando in lungo e in largo gli scenari, ma a parte girovagare in cerca di ricompense, non ci ha suscitato così differenti emozioni cercare di buttare giù un elicottero con un VTOL o farlo con un attacco con mortaio, né ci ha cambiato la vita disattivare una torretta con un folgoratore o semplicemente scaricarle addosso un caricatore, tanto non è venuto nessuno a cercarci, né le munizioni scarseggiavano mai a tal punto da farci preoccupare dei proiettili a disposizione.
C’è un’idea, al momento molto basilare, che per come è stata eseguita lascia molto a desiderare, ma è pur sempre un’idea che se lasciata maturare con un maggior tempo di sviluppo potrebbe davvero rappresentare un’evoluzione, o una svolta open world molto più grande per il franchise. Allo stato attuale, come proposta all’interno della campagna, sembra più un insieme di luoghi e momenti strappati via da Warzone e cuciti un po’ alla buona tra una vicenda e l’altra del racconto che finisce per depotenziarne i momenti topici. Se MW3 riesce a catturare l’attenzione è grazie soprattutto all’ottimo lavoro fatto con le cutscene e il doppiaggio, qualità che ritroviamo iterazione dopo iterazione.
Un gioco già visto
Al di là però della presenza delle missioni aperte, non mancheranno di certo missioni più classiche come siamo stati abituati in questi 20 anni di attività. Dalle infiltrazioni tattiche e silenziose ai momenti più rocamboleschi e caotici dove il minimo errore vanifica l’intera missione. Perché in fin dei conti Modern Warfare 3 inizia anche in modo molto convincente, presentandoci fin da subito il sadico Vladimir Makarov che ama tormentare il prossimo con le sue fini strategie, ma poi a mano a mano la storia perde consistenza e lo stesso Makarov ne esce come una copia sbiadita. Non c’è tempo per approfondirne le intenzioni e non c’è spazio per definire chi è davvero come persona. E lo stesso si può dire degli stessi volti familiari che ritornano come Farah, la Task Force 141, Laswell, Shepherd e Graves di cui ne possiamo apprezzare le gesta solo perché nei capitoli precedenti hanno avuto il giusto spazio e li abbiamo imparati a conoscere o a odiare.
A Modern Warfare 3 mancano poi delle scene iconiche come negli altri capitoli. Non fraintendeteci, ci sono dei momenti che hanno sicuramente un forte impatto come la “nuova Niente Russo” che ci rende partecipi e complici involontari facendoci subire gli eventi di gioco come li subiscono i suoi protagonisti, o ci sono missioni pur sempre guidate, ma con maggiore libertà di movimento, che paradossalmente abbiamo trovato più intriganti delle missioni “libere” e con un design più stimolante. Ma tutto scorre in modo fin troppo simile a quanto già visto e proposto in passato mancando al tempo stesso di missioni più adrenaliniche come gli inseguimenti con veicoli o il recupero teso tra la vita e la morte di bersagli importanti. La stessa missione a bordo di una cannoniera della Shadow Company non offre davvero nulla in più rispetto a “Supporto Aereo Personalizzato” di MW2.
Conclusioni
Dal punto di vista tecnico, giocando su PS5, non si notano grandi differenze rispetto al passato. Il gunplay di CoD rimane ovviamente uno tra i più apprezzati nel panorama degli sparatutto in prima persona e la maggior libertà di movimento di MW3, data anche dalla scivolata, giova sicuramente negli spostamenti nelle aree meno chiuse, ma a parte questo, non ci sono stati particolari miglioramenti neanche alle bocche di fuoco e ci troviamo praticamente in un sequel diretto del precedente capitolo anche in termini di contenuti.
I problemi principali sono però da trovarsi nella struttura delle missioni, nella loro varietà e nel modo sbrigativo in cui il racconto prende forma e giunge alla fine con un cliffhanger che lascia aperte le porte a un seguito ma che non dà assolutamente giustizia ai personaggi coinvolti. È un peccato che una campagna così approssimativa e per certi versi distante dalla spettacolarità a cui Call of Duty ci aveva abituati, arrivi proprio nell’anno delle celebrazioni per i suoi 20 anni. Prima di emettere un verdetto non ci resta che provare anche la componente multiplayer, che ci aveva nel complesso convinti durante le fasi di beta, e il nuovo approccio Zombi, anche se la paura che anche qui ci si trovi di fronte a un DMZ con non morti è tanta.