La transizione verso i veicoli meno inquinanti cresce e avanza costantemente, con l’obiettivo di incontrare le scadenze prefissate dall’Unione europea da ormai diverso tempo. A partire dal 2035, infatti, le emissioni di CO2 da parte dei costruttori dovranno essere ridotte del 100% rispetto ai livelli del 2021; questo target segue una serie di scadenze progressive che prevedono una importante riduzione già nel 2025, con un taglio del 15%.
Questo significa che dal 2025 il livello medio delle emissioni di CO2 della gamma di ogni costruttore dovrà scendere sempre di più sotto il limite dei 95 g/km (147 g/km per i furgoni) deciso per il 2021. Al netto di questo, obiettivi specifici sono da sempre però fissati annualmente per i singoli produttori in base anche al peso delle vetture prodotte. Dal 2035 saranno immatricolate (almeno al momento, con le scoperte attuali) prevalentemente auto elettriche o a idrogeno, sebbene la UE abbia lasciato qualche piccolo spiraglio anche agli eFuel e ai biocarburanti.
Naturalmente questo obiettivo non prende di mira tutti i costruttori, ma solo quelli destinati “alle masse”, lasciando presumibilmente salvi Dallara, Pagani e pochissimi altri nomi della Motor Valley.
Al momento il mercato e il Governo sembrano aver risposto attentamente alle richieste, proponendo sempre più soluzioni (e incentivi) dedicate a chi desidera passare già ora ad una soluzione green in vista del blocco delle immatricolazioni. Sebbene possa sembrare tutto nella giusta direzione, ci sono diverse criticità che vorticano intorno al settore da diverso tempo senza aver mai ottenuto una vera e propria soluzione; problemi che mitigano la divulgazione su scala globale dell’elettrico e che, senza uno smarcamento netto, potrebbero suscitare ulteriore criticità in futuro.
L’elettrico e le ibride
Su Tom’s Hardware siamo stati da subito catturati dall’elettrico e dal mondo dell’ibridazione, sia a due sia a quattro ruote, e di conseguenza abbiamo avuto l’opportunità di studiare, provare e guidare auto green di tutti i generi fin dai primi debutti. Sono anni che guidiamo macchine a batteria e, sebbene sia cambiato qualcosa nel tempo, al momento non esiste una chiara alternativa per chi desidera una vettura economica.
Il mercato offre macchine elettriche compatte dal prezzo aggressivo, vedi Dacia Spring, ma l’offerta attuale dei costruttori è molto limitata e complice una crescita dei prezzi globale non è semplice trovare l’opportunità giusta. Ad aggravare la situazione, a nostro parere, è il sistema degli incentivi promosso dal Governo che non funziona adeguatamente come dovrebbe.
Se l’obiettivo è mutare l’attuale parco circolante per ridurre le emissioni a livello italiano e quindi promuovere l’adozione dell’elettrico (ma anche di altre forme propulsive sempre green), la distribuzione di fondi prevista per il 2024 non è adeguata alla strategia. Considerato l’attuale sviluppo e conseguente esaurimento dei fondi, sarebbe stato più corretta pensare di migliorare la situazione attuale anziché tagliare i fondi lasciando potenziali acquirenti senza una possibilità di cambiare l’auto sfruttando un bonus. Qualcosa ultimamente sembra si stia muovendo, ma siamo ancora agli inizi.
Con i prezzi così poco contenuti e un aiuto limitato da parte del Governo (e anche dalle Regioni), non è difficile pensare che l’auto possa diventare un domani un bene per pochi, magari da usare in abbonamento, così per limitarne ulteriormente l’utilizzo e la circolazione. Qualcuno potrebbe mettere in dubbio questa nostra considerazione con i dati relativi alle immatricolazioni delle elettriche, quasi in crescita mese su mese. In merito a questo aspetto è bene fare una dovuta precisazione grazie ad un recente report di DataForce.
Ma non è questa la realtà: le informazioni in possesso di Dataforce dimostrano inequivocabilmente che su 8.481 elettriche immatricolate senza avere ancora un cliente finale, soltanto 750 hanno trovato un nuovo proprietario, 152 sono passate da un dealer all’altro e ben 7.213 sono ancora in stock. Infine, 631 sono state esportate proprio verso quei Paesi (Belgio, Germania, Svizzera, Danimarca e Francia) che hanno fatto da traino alla transizione elettrica ma che adesso, finiti gli incentivi anche da loro, cercano le offerte di fine stagione proprio da noi”.
Il dato a cui facciamo affidamento, mese su mese, potrebbe essere stato travisato per tantissimo tempo: le auto immatricolate, come dice il nome, non sono le auto in circolazione ma semplicemente dei modelli targati senza necessariamente un utente finale.
Ricaricare non è sempre facile
Il processo di ricarica è migliorato nel corso degli anni, con continue modifiche ai sistemi di pagamento e all’accesso delle colonnine. Fare un pieno di elettroni non è complicato e per certi versi è anche più “smart” del pieno di benzina. Questo purtroppo vale però per una limitata scelta di colonnine; mentre alcune di esse offrono una modalità veloce per pagare (pos), sono ancora tantissime quelle che anche a fronte della interoperabilità (vale a dire la possibilità di accedere, di avere interazione, anche con app non direttamente collegate) richiedono una serie di passaggi tali da sconfortare e allontanare l’utente. Serve semplicità e complicità, è impensabile obbligare i consumatori a fare qualcosa di estremamente più complicato del “pieno di benzina”.
Mentre i costruttori, quasi tutti, sono andati “all-in” sull’elettrico anche con largo anticipo, l’idea è che manchi una soluzione solida e ben distribuita per caricare tutte le elettriche che potrebbero arrivare. Diciamolo apertamente, la democratizzazione di una nuova tecnologia non può che passare dalla possibilità di rifornirsi senza problemi e pensieri (e dalla presenza di soluzioni più economiche).
L’infrastruttura di ricarica cresce, ma non è raro trovare colonnine installate ma non allacciate per mesi, colonnine collocate in mezzo al nulla, stalli occupati abusivamente (anche da auto elettriche “piene”) ed enormi problemi di connettività (sia alla rete sia al sistema di applicazioni). Purtroppo, non è facile reperire sempre queste informazioni perché l’utente medio ricarica prevalentemente nel proprio garage, anche per evitare le tariffe pubbliche in continua crescita da diversi mesi.
Inoltre, se è vero che in Italia ci sono oltre 46mila colonnine (dato Motus-E, ottobre 2023), è anche vero che oltre il 90% ha una potenza inferiore a 43 kW mentre solo circa 4.000 superano i 100 kW. Discorso analogo per l’autostrada dove, al momento e sempre per Motus-E, ci sono appena 851 punti di ricarica con una potenza media (80%) inferiore a 40 kW.
Tesla, dal canto suo, è forse l’unica che offre una vera infrastruttura affidabile, che però è aperta solo parzialmente alle auto elettriche generiche.
Ricaricare in garage è troppo complesso
Quando si acquista un’auto elettrica (o ibrida plug-in) si ha la necessità di caricare per spostarsi e le possibilità in merito sono tre: alla colonnina pubblica, con la wallbox, con la presa Schuko. Tralasciando per un attimo quest’ultima possibilità, lenta e poco consigliata, la stragrande maggioranza (anche per contenere i costi della tariffa pubblica) si affida alla wallbox. Per chi non lo sapesse, la wallbox è sostanzialmente un caricatore domestico di dimensioni ridotte che può essere installato a parete. La sua funzione è quella di trasformare una comune presa di corrente in un punto di ricarica.
Chi abita in una soluzione indipendente non incontra generalmente particolari problemi nella sua installazione, discorso invece diverso per chi vive in un condominio e deve seguire le varie direttive promosse dall’amministratore, dell’ente erogatore di corrente e via discorrendo.
Si tratta di un vero e proprio ginepraio che porta, necessariamente, a dover coinvolgere diverse figure specializzate per la corretta spartizione della spesa della corrente, dell’installazione e della messa in sicurezza. Prima di acquistare un’auto che necessita di una ricarica, controllate attentamente con il vostro amministratore se la procedura di installazione della wallbox è una pratica semplice, perché potrebbe portarvi diversi grattacapi.
I passi da compiere
Non è facile decidere cosa sia prioritario fare da parte del Governo e dei costruttori, ma qualche idea in questi anni ce la siam fatta. L’impressione è che al momento siamo confinati in una sorta di transizione a due velocità, con un servizio di ricarica frammentario da un lato e un’offerta poco variegata dall’altro. Dopo chilometri e chilometri percorsi in elettrico, pensiamo che l’automobile elettrica sia molto più matura dell’infrastruttura in sé, e che quindi sia necessaria una importante revisione in tal senso.
Sicuramente tra i passi da compiere, lato consumatore, è necessario un aiuto economico consistente mirato non solo a favorire la transizione, ma a sostenere anche tutte quelle famiglie con un ISEE basso e che hanno la necessità di spostarsi. Oltre a questo, anche se comprendiamo che l’economia di scala richiede sempre tempo, è necessario avere più proposte elettriche economiche; non è possibile che le elettriche partano da 35-40mila euro (salvo rarissime eccezioni).
In aggiunta, è necessario che l’utente medio venga informato veramente su quelle che sono le modalità di utilizzo di una macchina elettrica, sugli aspetti positivi e negativi; un buon esempio è stato dato da MiMo quest’anno, che ha offerto al pubblico e in maniera gratuita una esperienza in elettrico, permettendo di capire in prima persona come si effettua una ricarica o come funziona il sistema nel complesso.
Sul fronte dell’infrastruttura il lavoro che attendiamo è, forse, anche maggiore. Sicuramente serve una ristrutturazione sull’iter di installazione e allacciamento delle colonnine, un maggiore studio sul posizionamento di esse e, naturalmente, sulla modalità di pagamento. Una ricarica funzionante e accessibile, in autostrada ma anche in città, è un aspetto estremamente importante e senza di essa saremo sempre in stallo. E se le colonnine sono un numero limitato, è bene assicurarsi che sia possibile caricare sul suolo privato senza perdersi in leggi, permessi e scarichi di responsabilità.