Yasumi Matsuno ci racconta i suoi albori, ma guarda al futuro | Intervista

Al Napoli Comicon abbiamo intervistato Yasumi Matsuno, che ci ha raccontato gli inizi della sua carriera e il suo punto di vista sull'industria.

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a cura di Marco Patrizi

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In occasione della sua ultima edizione, tra i suoi numerosi ospiti il Comicon di Napoli ha accolto anche Yasumi Matsuno, game designer e sceneggiatore di alcuni dei titoli più influenti della nostra epoca: Tactics Ogre, Final Fantasy Tactics, Vagrant Story, Final Fantasy XII e altri. Più recentemente ha collaborato con il team di Final Fantasy XIV per gli scenari “Return to Ivalice” e “Save the Queen: Blades of Gunnhildr”.

Intervistandolo ho avuto il piacere di conoscere un autore dalla grande creatività, che riconosce un enorme valore alle idee originali e innovative, e convinto che valga sempre la pena creare qualcosa di nuovo e di complesso, anche a costo di non rincorrere un target ampio di pubblico. Ma anche una persona spiritosa, pragmatica, che non si auto-incensa nonostante i suoi successi professionali.

Con mia grande soddisfazione ha risposto in modo molto profuso alle mie domande, soffermandosi su episodi e opinioni, quindi questa intervista è significativamente più lunga rispetto quelle a cui potreste essere abituati. Proprio per questo, però, ci mostra da vicino alcuni lati meno “pubblici” di Yasumi Matsuno. Buona lettura.

MARCO PATRIZI: Prima di tutto grazie per il suo tempo, è un piacere incontrarla. Sono un grande fan dei suoi lavori.

Ci può dire qualcosa su come è iniziata la sua carriera? Cosa l’ha portata a sviluppare videogiochi alla Quest Corporation?

YASUMI MATSUNO: Grazie mille, e grazie per avermi invitato.

Ai tempi di quando ero studente universitario la mia aspirazione era di entrare nell’industria cinematografica, ma dato che era davvero difficile ho cambiato idea e ho iniziato a lavorare in una piccola azienda giornalistica. Specifico che in questo periodo il mio lavoro non c’entrava niente col mondo dei videogiochi. Il lavoro spesso mi portava a fare interviste a varie persone, come presidenti di azienda. È stato divertente e ho imparato molto su come scrivere di vari argomenti.

Al tempo avevo un compagno di università più grande di tre anni che ha iniziato a sviluppare videogiochi. Io all’epoca non ero un super appassionato, ma avevo comunque giocato a vari giochi sul Famicom. Un giorno sono andato a trovare questo mio amico in ufficio e ho visto quello che faceva, e ricordo che mi incuriosì parecchio.

Ricordo che negli anni ’80 buona parte dei giochi internazionali venivano creati sulla base di personaggi già esistenti e famosi. Ma in Giappone le cose erano un po’ diverse, ovvero i protagonisti dei giochi diventavano famosi. E questo mio amico faceva proprio questo: creava personaggi originali per i suoi giochi, e questo mi aveva interessato molto.

Nella scala piramidale dell’intrattenimento, data la grande quantità di film, libri e spettacoli vari, era molto difficile affermarsi con una nuova opera, perché c’era già molta competizione. Invece il mondo dei videogiochi era nato relativamente da poco, anzi da qualcuno era visto anche abbastanza male, quindi ho pensato che per uno come me c’erano più possibilità di entrarvi e affermarmi. Fortunatamente il mio lavoro di giornalista mi aveva reso più bravo rispetto ad altri nella scrittura.

Ho quindi iniziato a mandare molti curriculum alle aziende. Ricordo che venni rifiutato da Namco e Square. La prima azienda che mi ha assunto è stata Bothtec, un’azienda di videogiochi per PC che aveva creato una divisione che si occupava solo di videogiochi per console Famicom, questa divisione era appunto la Quest. All’epoca ci lavoravano solo 15 persone e io sono entrato senza sapere niente di programmazione. Poi, dopo sei mesi dal mio arrivo, è successo che il mio capo è andato in pensione e per via dell’età io sono diventato il nuovo capo, e ho dovuto gestire il gruppo.

All’epoca l’azienda non andava bene. Normalmente si facevano giochi su opere già esistenti, quindi si prese la decisione di fare qualcosa di originale. Il gruppo venne diviso in due team, il primo iniziò a lavorare a un gioco action, quindi noi decidemmo di fare un gioco di ruolo. All’epoca Dragon Quest e Final Fantasy avevano ottenuto un grande riscontro, quindi molte aziende volevano inseguire il loro successo creando altri RPG, per questo abbiamo scelto di puntare su un gioco di strategia, ed è così che iniziò lo sviluppo di Ogre Battle.

Dopo un anno di sviluppo, lo abbiamo mostrato a Nintendo durante il Tokyo Game Show. All’epoca c’era la convinzione che le nuove IP rischiavano di vendere poco, che era meglio fare dei sequel come si faceva con Super Mario, quindi Nintendo era un po’ scettica nei confronti di un nuovo gioco. Dopo averlo visto, però, sono rimasti convinti e ci hanno supportato economicamente. Considerate che all’epoca un gioco che vendeva 10 mila copie era andato bene. Quando Ogre Battle uscì, nel 1993, ne vendette 500 mila.

MP: Quali sono i suoi giochi preferiti?

YM: Prima di entrare nell’industria dei videogiochi mi piaceva molto il primissimo The Legend of Zelda su Famicom. Più tardi mi ha preso molto SimCity, ci ho giocato davvero tantissimo!

Più tardi giocai molto anche a The Atlas, su PC. Il protagonista è un capitano di una nave che parte dallo Stretto di Gibilterra e deve andare a cercare delle terre nell’Oceano Atlantico, e man mano che esplora la mappa questa si allarga. E ogni volta che si iniziava una partita la forma del mondo cambiava.

Si ricevono anche delle informazioni dagli esploratori che dicono di aver trovato delle terre. Ma potrebbero anche mentire, quindi sta al giocatore capire e decidere se credergli. È possibile che qualcuno dica di aver trovato l’America, il Giappone o persino terre fantastiche come il continente di Mu o delle città galleggianti!

Era un gioco molto interessante per esercitare l’immaginazione. In generale mi piacciono i giochi con idee brillanti e innovative, anche se non sono molto famosi.

Recentemente mi sono piaciuti molto Ghost of Tsushima e Red Dead Redemption. Solo che giocandoci ho avuto la sensazione di sapere cosa sarebbe successo.

 

MP: L’ambientazione dei suoi giochi è spesso ispirata all’Europa medievale. Da dove viene questa propensione?

YM: Sai, per il pubblico giapponese il fantasy è molto vicino all’idea dell’Europa medievale. Oggi se si pensa al fantasy vengono subito in mente The Lord of the Rings, Dungeons and Dragons o Harry Potter, ma negli anni ’80 si conoscevano davvero poche opere fantasy. Gli appassionati del genere conoscevano e leggevano i libri fantasy, ma il grande pubblico pensava alle opere Disney. Una delle poche opere che conoscevano i giapponesi era la leggenda di Re Artù, della sua spada e di Merlino. Nell’ambito dei film invece erano famosi Conan il Barbaro ed Excalibur.

Se si pensa al primo approccio al fantasy delle produzioni giapponesi negli anni ’80 vengono in mente i film di Miyazaki Nausicaa e Laputa, ma anche Dragon Quest, con lo stile di disegno di Akira Toriyama, che avevano uno stile visivo molto pop. Quindi negli anni ’90 si è voluto creare un fantasy un po’ più “serio”.

Faccio un esempio: prima le armature erano disegnate molto massicce, tutte d’un pezzo, in un modo che non permetteva ai personaggi di muoversi verosimilmente. Io invece diedi indicazioni a Yoshida-san (Akihiko Ndr) di disegnare le armature in modo che i movimenti dei personaggi fossero verosimili. Lui al tempo non era pratico di fantasy, perché era un grafico pubblicitario. Ma essendo un professionista molto serio ha comprato dei libri e ha studiato come disegnare bene le armature per poter fare i design che gli avevo chiesto.

Ai giocatori sono piaciuti i suoi disegni più realistici, che era quello che volevo. Penso ci fosse questa curiosità e desiderio di vedere un altro tipo di fantasy.

In realtà personalmente mi piacciono le ambientazioni anche meno precise e realistiche, come quelle di Capitan Futuro o Flash Gordon. (ride)

MP: La sua ammirazione per i Queen è ormai risaputa. Sono anche la mia band preferita. Ci può dire cosa le piace in particolare della loro musica?

YM: Vedi, nel 1974, quando avevo 9 anni, ho regalato a mio fratello maggiore per il suo compleanno l’album “A Night at the Opera”, dove c’era anche Bohemian Rhapsody. Gli feci quel regalo perché sapevo gli piacevano quel tipo di band rock e progressive rock come Led Zeppelin e Genesis. Quindi è stato grazie a lui che mi sono avvicinato a quel genere di musica.

In particolare mi piace l’album Queen II, perché ascoltarlo mi fa immaginare tante cose. Inoltre i loro testi sono in un inglese semplice, quindi potevano essere capiti anche dai ragazzi giapponesi.

A differenza delle band giapponesi di allora, che scrivevano molte canzoni d’amore, quando ero un adolescente mi piacevano più le canzoni dei Queen, quindi questo ha influenzato molto il mio immaginario.

 

MP: Giocando ai suoi giochi, uno dei temi ricorrenti che ho piacere di ritrovare è il rapporto e il contrasto tra umanità e potere. Ha un’opinione personale su questo tema che cerca di trasmettere, o preferisce creare delle condizioni in cui è il giocatore a trarre le sue conclusioni?

A differenza dei nostri giorni, negli anni ’80 e ’90 i videogiochi erano fatti prevalentemente per bambini e ragazzi molto giovani. Però osservando l’utenza dei videogiochi ho notato che in realtà a videogiocare erano anche ragazzi oltre i 18 anni, universitari, adulti… Quindi ho pensato che fosse una grande occasione.

Per fare un paragone: quando ero giovane ho letto dei libri di Dumas in una versione adattata per bambini; poi crescendo ho letto le versioni originali e mi sono accorto che c’era molto altro: sesso, violenza, morte… Allo stesso modo, all’epoca nei videogiochi molti contenuti del genere venivano tralasciati per essere adatti anche per i bambini.

Quello che ho voluto fare è stato cercare di imparare le cose migliori da tutti i tipi di giochi e inserire dei temi più affini ai giocatori adulti. All’epoca c’erano pochi giochi così, quindi i miei progetti sono stati approvati anche per venire incontro a quel tipo di utenza.

MP: Sappiamo che lo sviluppo di Final Fantasy XII è iniziato sotto la sua direzione, ma che ha dovuto lasciare il ruolo. C’è qualcosa del gioco finale che non l’ha soddisfatta completamente e che avrebbe fatto diversamente se avesse continuato a dirigerlo?

Intanto vorrei specificare che, anche se ho dovuto lasciare il mio ruolo, lo sviluppo di Final Fantasy XII ha seguito le mie indicazioni sulla storia. L’unica cosa che mi sarebbe piaciuto è vedere i personaggi più dettagliati. Ma non è colpa di nessuno del team, se non mia che mi sono dovuto allontanare.

 

MP: Ho letto tempo fa che, per una circostanza sfortunata ai tempi di Quest (ha dovuto lavorare al servizio clienti), è molto attento al feedback dei giocatori. C’è qualcosa che vorrebbe cambiare con le conoscenze che ha ora?

Quasi tutto. (ride) Tendo a essere abbastanza perfezionista.

MP: Sembra che Naoki Yoshida tenga in grande considerazione il suo talento. Avete un buon rapporto? Le piacerebbe lavorare ancora con lui?

In generale siamo amici, usciamo spesso a mangiare e bere. E se in futuro Yoshida-san vorrà lavorare ancora con me mi farebbe molto piacere.

 

MP: Gioca molto a Final Fantasy XIV?

Ci giocavo abbastanza tempo fa, ma ultimamente non ho molto tempo. Ma quando uscirà la nuova espansione a luglio (Dawntrail Ndr) penso che tornerò di nuovo a giocare. Al momento sono fermo alla sesta espansione, sulla Luna.

Ultimamente devo dire che gioco più al minigioco di majong che al gioco vero e proprio. (ride) Lo scorso gennaio sono stato al Fan Festival, nel Tokyo Dome. Hanno partecipato ben 60 mila persone. E in quell’occasione Yoshida-san ha annunciato che a breve sarebbe uscita la nuova espansione; c’erano anche i doppiatori del gioco. E vicino al Tokyo Dome c’era una sala dedicata a giocare al majong, e io in realtà non ho partecipato al Fan Festival, ma ho giocato a majong per due giorni! (ride)

E insieme a me c’erano anche altre persone con cui avevo lavorato, come programmatori e doppiatori del gioco. Le partite erano molto concitate, e c’era questo doppiatore con una voce bella ma anche molto alta che spesso urlava mentre giocava e si sentiva in tutto il Tokyo Dome, e la gente gli diceva di fare più piano. È stato molto divertente.

MP: Sicuramente riceve moltissime richieste da parte dei fan di tornare a lavorare su un seguito o un remake dei suoi giochi più di successo. Ho sempre pensato, però, che per un autore potrebbe anche essere svilente sentire l’aspettativa solo verso i suoi titoli passati.

Come vive questa situazione? Preferirebbe che i fan si concentrassero più sui suoi progetti futuri, o prova soddisfazione nel sentire tanta ammirazione per i suoi lavori passati?

Personalmente preferirei che i fan attendessero di più i nuovi giochi. Però alla fine sono le aziende che decidono cosa è meglio fare, quindi se decideranno di produrre dei seguiti o remake io non ho obiezioni nel fare quello che mi chiedono.

È anche vero che è difficile creare qualcosa dal nulla che abbia successo. Ci sono franchise, per esempio Indiana Jones, che vanno sempre bene ogni volta che esce un nuovo film. Mentre è più difficile creare cose sempre nuove e di qualità.

Che poi è il motivo per cui a Hollywood continuano a puntare sui film della Marvel e DC, ma anche a espandere Star Wars. Data l’ampia fanbase sono progetti più sicuri.

 

MP: Se le condizioni lo permettessero, le piacerebbe lavorare a un nuovo gioco ambientato a Ivalice o un sequel della serie Ogre? Oppure si sentirebbe a disagio a lavorare a un’ambientazione di molti anni fa?

Personalmente preferirei sempre creare qualcosa di nuovo. Il problema è che oggigiorno è difficile imbarcarsi in un progetto totalmente originale. Trent’anni fa era possibile creare un gioco con dieci persone, oggi occorrono molti milioni di finanziamenti, quindi le aziende sono più caute a rischiare.

Anche perché oggi nel budget bisogna mettere in conto la traduzione e localizzazione in molte lingue che deve partire subito, mentre tempo fa un gioco usciva in giapponese e solo in seguito veniva tradotto in inglese. Poi ogni traduzione ha bisogno di qualcuno che la controlla… Insomma ci vogliono più persone e più soldi.

 

MP: A che gioco sta giocando in questo periodo? Oppure qual è il prossimo gioco a cui vorrebbe giocare?

Recentemente ho giocato a Unicorn Overlord, a cui ha lavorato anche Richter. Non l’ho ancora finito, ma lo trovo fatto molto bene.

Proprio tre settimane fa sono uscito a bere assieme a Sakimoto-san e Kamitani-san. C’era anche Manabu Yamana, un programmatore che ha lavorato anche a Dragon Quest. Siamo amici, quindi abbiamo parlato anche di Unicorn Overlord e dei motivi per cui sta vendendo bene. È un ottimo gioco e non vedo l’ora che esca il prossimo gioco di Vanillaware.

Qualche tempo fa, dato che mi piace Harry Potter, ho giocato anche a Hogwarts Legacy, che ho trovato divertente. Ora sto giocando anche a Baldur’s Gate 3, sono quasi alla fine e mi sta piacendo parecchio.

 

Ringrazio ancora Yasumi Matsuno per l’abbondante tempo concessomi, la schiettezza e il buonumore delle sue risposte. Oltre che per la chiacchierata informale fatta dopo l’intervista.

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