Ci sono storie che necessitano di essere raccontate. Alcune di queste, per via della loro stessa natura, hanno assolutamente bisogno di un approccio diverso dal “semplice” racconto scritto o orale: spesso, insomma, un libro può non essere sufficiente. Se queste storie sono poi caratterizzate da una forte complessità di fondo, la quale fa sì che esse si prestino ad un’analisi sempre più approfondita e mirata a coinvolgere il fruitore a più livelli, allora anche un film potrebbe non bastare.
Certe storie, perciò, devono necessariamente essere raccontate tramite un videogioco. Anni e anni di continua e costante evoluzione hanno fatto sì che oggi - nonostante qualcuno ancora sollevi dubbi sulla sua legittimità in tal senso - il videogioco possa essere considerato, senza se e senza ma, uno strumento di comunicazione tra i più efficaci mai esistiti. Perché? Forse per il suo essere interattivo, per la portata sempre crescente di temi trattati o semplicemente perché sempre in linea con le ultime tendenze.
Quello che noi di Game Division vogliamo fare oggi è analizzare, in maniera critica e approfondita, ciò che i videogiochi rappresentano nel mondo odierno in qualità di strumenti di comunicazione. L’obiettivo è far riflettere su come, in un mondo sempre più moderno e stratificato, la presenza di un numero di stimoli così elevato possa rivelarsi come un fattore più che positivo. Riprendiamo dunque la domanda che dà il titolo a questo approfondimento: il videogioco è il mezzo di comunicazione più potente che esista?
“I videogiochi sono uno strumento che ci permette di entrare in contatto con altri universi. Grazie ai supporti tecnologici è quindi possibile sperimentare qualcosa che va ben oltre il mondo reale. È come quando si legge un libro appassionante, ma lo stesso effetto si può provare quando si ascolta della musica oppure si guarda un film. Allo stesso modo, attraverso i videogiochi si può entrare in contatto con degli universi paralleli, ma soprattutto si può vivere questa esperienza in modo più coinvolgente e personale. I videogiochi hanno questa forza.” - Kazunori Yamauchi, padre di Gran Turismo
Con un’affermazione del genere, il maestro Yamauchi ha centrato in pieno quello che vuole essere il messaggio della nostra analisi: il fattore interattività permette a un gioco, ancor più che a un qualsiasi altro medium, di colpire l’utente in maniera sempre più marcata. Abbiamo già discusso in passato di come tale strumento sia nato come semplice passatempo, per poi divenire a tutti gli effetti arte, nel vero senso della parola.
A questo processo di evoluzione possiamo rapidamente affiancarne un secondo, che vede la transizione del videogioco da elemento secondario a punto cardine della società dei media. Da prodotti tesi unicamente al divertimento siamo dunque giunti di fronte a opere capaci di trasmettere messaggi a livello cognitivo e sentimentale. Diventa dunque quantomai evidente la natura del videogioco stesso, trasformatosi con il tempo in un’esperienza multisensoriale.
Un carattere questo che riesce a coinvolgere il fruitore sin dalla radice, con la possibilità di raccontare e scavare a fondo anche in tematiche molto importanti. Di esempi, soprattutto negli ultimi anni, ne troviamo a decine: prendiamone due, a titolo puramente emblematico.
Provate a pensare al primo atto di Life is Strange, titolo con cui Dontnod è riuscita a ritagliarsi una fetta di pubblico non indifferente anche e soprattutto alla luce delle storie raccontate nell’avventura di Max, Chloe e Rachel. Con un semplice videogioco, si è qui riusciti a trasmettere emozioni oltre che a messaggi: si parla di amore, amicizia e infedeltà, riuscendo a evitare dall’inizio alla fine un tono banale e scontato. La potenza di una comunicazione del genere può essere sprigionata solo da un videogioco? No, assolutamente.
È però un dato di fatto quanto l’esperienza porti un impatto ancora più marcato grazie alla possibilità di scegliere: plasmare parte della storia a proprio piacimento è qualcosa che, eccetto rarissime eccezioni, soltanto il videogioco può offrire. Life is Strange funziona anche per questo, per il semplice fatto che a margine ognuno può riuscire a dire la sua.
Altro esempio di quanto si possa comunicare attraverso il gaming non può che essere Metal Gear, saga nata nel lontano 1987 dalla mente di Hideo Kojima. L’obiettivo di produzioni del genere, ognuna con le sue diverse sfaccettature, è quello di spingere il giocatore verso una profonda riflessione.
Si vogliono offrire tutti gli strumenti per analizzare, comprendere e interpretare temi di grande spessore: dalla critica alla società moderna fino ai rapporti umani, il tutto quasi parlando al giocatore in prima persona. Il modo con cui Metal Gear parla a chi fruisce del medium è molto particolare, affiancando alla narrazione della trama momenti in cui il giocatore viene direttamente coinvolto all’interno di essa.
Pensiamo alla celeberrima battaglia contro Psycho Mantis, uno dei momenti più memorabili di Metal Gear Solid (1998). Ad un certo punto egli inizia a commentare il contenuto della nostra memory card, arrivando anche a “prendere il controllo” della vibrazione del nostro DualShock. In questo modo Kojima è riuscito a coinvolgere in maniera ancora più importante il giocatore, con una rottura della quarta parete ad un livello anche superiore rispetto a quella già vista nel mondo del cinema. Momenti come questo si ripresentano più volte all’interno della saga: ecco nascere dunque il perfetto contorno in grado di contrapporsi, andando al contempo ad integrarsi, ad una delle migliori storie mai raccontate in un videogioco.
Entrambi gli esempi riescono dunque, in maniera totalmente opposta, a immergere il giocatore all’interno di un determinato contesto spingendolo con forza verso la riflessione. Ai tanti caratteri che abbiamo già elencato, va dunque sottolineato in aggiunta come il videogioco sia uno medium duttile: agendo a più livelli si va a prestare a diverse modalità d’azione.
“Con i videogiochi puoi esprimere quello che vuoi, esattamente come con il cinema. Ci sono film che hanno solo bombe ed esplosioni, e ci sono film che hanno grandi storie e che ti spingono a riflettere su te stesso e sulla vita. Dipende da quello che i creatori vogliono esprimere e sperimentare, da ciò che vogliono dare alla gente.” – Hideo Kojima, padre di Metal Gear e di Death Stranding.
Troviamo nuovamente riscontro di quanto affermato nelle parole di un grande autore della storia di questo mezzo di comunicazione. La duttilità del videogioco sta proprio in questo: l’essere in grado di trasmettere messaggi di vario genere, proprio come può fare un film o una canzone. Non esiste e non dovrà mai esistere competizione tra i diversi media, se con competizione intendiamo la ferma volontà di affermarsi come migliore o superiore agli altri.
Spesso infatti, come abbiamo potuto vedere in più occasioni, si verifica una vera e propria integrazione tra le parti: la musica diviene una componente fondamentale di un’esperienza videoludica, così come una regia di stampo cinematografico o una serie di riferimenti alla cultura popolare odierna.
In conclusione, andiamo dunque a riprendere e a rispondere alla domanda che dà il nome a questo articolo. Sì, il videogioco è con tutta probabilità lo strumento di comunicazione più potente che esista: un puzzle complesso formato da pezzi così diversi tra loro quanto perfetti nell’andarsi a incastrare. Tutto questo non sarebbe però possibile senza l’influenza e, in seguito, l’integrazione di tutti quegli elementi propri degli altri media che tutti conosciamo.
La vera fortuna, nel mondo di oggi, sta nel poter contare su una possibilità di scelta senza precedenti: chiunque può, infatti, trasmettere e ricevere messaggi di ogni genere. Il come è una scelta soggettiva, ma la certezza è che ci sarà sempre qualcuno pronto ad ascoltare.
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