Dopo aver introdotto la tematica e portato qualche esempio nella prima parte, rieccoci con la conclusione del nostro speciale dedicato a quegli espedienti narrativi che hanno rivoluzionato il mondo dei videogiochi: dettagli, particolari e artifici che, messi in atto nel modo giusto e nel momento giusto, sono riusciti realmente a cambiare il concetto di comunicazione legato a questo medium così spettacolare.
Se Metal Gear Solid, Half-Life e le altre casistiche sono con ragione considerati tra le massime espressioni in questo senso, è anche vero che si tratta spesso e volentieri di prodotti in grado di poter contare su budget e risorse sempre di altissimo livello. Questa però no, non è realmente una discriminante nel creare qualcosa che sia riconoscibile, anche dopo anni e anni dalla sua uscita, come un vero capolavoro: così come negli esempi citati, spesso il colpo di genio arriva da un forte desiderio di sperimentazione da parte di chi crea.
E questo prescinde da fattori economici o tecnologici, riuscendo anzi a dare il meglio proprio in situazioni dove non risulta possibile avvalersi di risorse di livello così elevato. Uno sviluppatore indipendente dovrà in breve ingegnarsi ancora di più per creare qualcosa che rimanga, col tempo, nel cuore e nella mente del giocatore: dar vita a una narrazione indimenticabile, insomma, è un’operazione complessa che oggi andremo ad approfondire in modo ancora più marcato partendo da qualche esempio ben preciso.
La “spinta” indipendente
Dando uno sguardo anche superficiale all’industria dell’indie gaming è possibile osservare, senza troppa fatica, tutta una serie di realtà che non fatichiamo a definire davvero pionieristiche sotto molti punti di vista. Da piccoli dettagli tecnici a qualche espediente narrativo geniale e magari mai tentato prima possiamo dire che sì, uno studio indipendente è spesso il contesto migliore dove sperimentare qualcosa di nuovo e mai visto prima.
Un po’ per le già citate carenze a livello di risorse, ma soprattutto per una maggiore libertà d’azione, spesso un ambiente del genere può dar vita a piccole rivoluzioni anche da questo lato. Gli esempi sono moltissimi e oggi ne analizzeremo cinque come emblemi di cinque casistiche tra loro differenti, partendo da un’opera come What Remains of Edith Finch. Sviluppato da Giant Sparrow e uscito nell’aprile 2017, il gioco è la perfetta rappresentazione di quanto affermato nell’introduzione di questa seconda parte del nostro speciale: se la situazione generale presenta dei limiti, in breve, con un pizzico di genialità è possibile creare qualcosa di eccezionale e anche oltre ogni aspettativa.>
Il gioco ci mette nei panni di Edith: una ragazza di ritorno nella vecchia casa di famiglia, alla riscoperta delle sue radici e della storia di una dinastia con tante storie diverse da raccontare. Un ramo alla volta andremo a conoscere ogni centimetro del suo albero genealogico, dove ripercorreremo alcune vicende che hanno reso ogni Finch un essere speciale e a suo modo indimenticabile. Ciò che è straordinario in questo frangente non è solo come, ma quanto Giant Sparrow abbia sperimentato nel dar vita a un’avventura così unica nel suo genere. Tutti i membri della famiglia ci vengono infatti presentati con degli espedienti narrativi totalmente diversi tra loro: dalla fervida immaginazione di un bambino, all’alienante routine di un giovane fino alle folli visioni di un uomo segregato in un seminterrato… Per ognuna di queste storie avremo una messa in scena a sé stante, per un’esperienza unica e dal fortissimo impatto a vari livelli.È sì vero che è complicato spiegare alcune di queste casistiche a parole proprio per la loro natura così particolare, che le rende totalmente comprensibili solo a chi ha la fortuna di viverle e di toccarle con mano. Spulciando nel panorama dei giochi indie non possiamo non parlare di The Stanley Parable, un titolo un po’ fuori di testa che proprio per questo fa totalmente al caso nostro. Qui vestiremo i panni di Stanley, un impiegato in un semplice lavoro di ufficio le cui giornate sono scandite dal racconto di un’ironica voce fuori campo: quest’ultima lo spingerà a compiere o no determinate azioni (o perlomeno, ci proverà) con la decisione finale che spetterà però al giocatore.
Esplorando i corridoi dell’ufficio dopo essersi reso conto di essere rimasto l’unica persona presente nell’edificio Stanley assisterà a stranezze, osserverà piccoli particolari o non concluderà assolutamente nulla: anche qui abbracceremo una varietà di situazioni pazzesca, per un’avventura dove le decisioni dell’utente porteranno a ben 19 possibili conclusioni. Un’esperienza senza ombra di dubbio da provare proprio perché davvero, ma davvero unica nel suo genere.
Di tutt’altro tipo è la sensazione evocata da Journey, altra piccola perla emersa dal ricco oceano di produzioni indie dello scorso decennio. Il protagonista è qui catapultato in un deserto, senza indicazioni né apparente obiettivo se non quello di imbarcarsi in un viaggio per raggiungere una data destinazione. In questo caso sperimentiamo quella che potremmo quasi etichettare come l’assenza di narrazione, la quale però diviene essa stessa una forma di narrazione pura e semplice. Mi spiego meglio.
La scelta degli sviluppatori di inserire nel gioco una comunicazione che sia minimale, abbozzata e a tratti addirittura nulla riesce a trasmettere messaggi forti e chiari. Le parole sono sì utili, ma non fondamentali nel creare lo scenario in cui il giocatore si trova immerso all’interno di Journey: ci penseranno piccoli gesti e interazioni minime a generare un’esperienza, quella del viaggio, capace di emozionare in un modo tutto suo. Il livello di sperimentazione è qui incredibilmente elevato, e ha reso il titolo di Thatgamecompany uno dei videogiochi più amati e influenti della storia di questa forma di intrattenimento così particolare. Proprio, e semplicemente, grazie alla sua essenzialità.
Un’altra produzione degna di nota, passata purtroppo quasi del tutto in sordina, risale alla scorsa estate: Lake avrebbe meritato probabilmente più successo, ma questo è un discorso che magari approfondiremo in un’altra occasione. La trama è anche qui incredibilmente semplice: una donna nel pieno della sua carriera decide di prendersi una pausa di un paio di settimane, lasciando la sua routine cittadina per tornare nel piccolo paese di montagna dove ha trascorso i primi anni della sua vita.
Nel mentre la nostra protagonista Meredith Weiss riempirà le sue giornate svolgendo il semplice lavoro di postino, che non sarà altro che un’occasione per (ri)scoprire luoghi, persone e momenti che una parte di lei credeva non sarebbero più tornati. Un viaggio rilassante ed emozionante, dove è proprio la presenza di un senso di normale quotidianità a dar vita a sensazioni ed emozioni ben precise. Il giocatore si trova infatti coinvolto in prima persona in quella che è la vita di tutti i giorni di una persona “qualunque”, notando poco alla volta come anch’essa abbia molte storie da vivere e da raccontare. Ed è proprio quella sensazione di semplicità a rendere il tutto, in qualche modo, unico e oltremodo speciale.
Se in Lake ci troviamo di fronte a una situazione di tranquillità, dove la narrazione scorre anche (e soprattutto) per il fatto che non accada nulla di eccezionale, il concetto di normalità può allo stesso tempo comunicare qualcosa in grado di colpire in modo diretto e talvolta devastante. È il caso di Papers, Please: indie del 2013 ideato dallo sviluppatore Lucas Pope, che ci porta nel mezzo delle giornate di lavoro di un ispettore di frontiera addetto al controllo immigrazione in uno stato fittizio. Di base, il gioco riesce a raccontare attraverso la routine di un semplice addetto il dramma dietro a una serie di operazioni così semplici ma così determinanti. Il giocatore si troverà infatti a definire la vita di altre persone, trovandosi più volte ad affrontare corruzione, storie di vita e un’umanità che troppo spesso molti di noi tendono a dimenticare. Il risultato finale è struggente, e capace di lasciare un segno indelebile nella memoria di chi gioca: un processo che avviene anche in questo caso poco alla volta, ma con un impatto assicurato e che sarà certo difficile dimenticare.
Sperimentare è insomma la maniera migliore per creare qualcosa di nuovo, anche perciò dal punto di vista narrativo. Dare vita a formati, concezioni e idee mai viste prima: è questo quel che spinge grandi menti, come quelle dietro ai titoli citati in questo speciale, a identificare la strada giusta da seguire. Ciò che ne deriva è spesso, come abbiamo potuto osservare, una convergenza di media e linguaggi diversi che è di base ciò che rende il videogioco un’esperienza con un’identità unica nel suo genere.
Dalla sperimentazione può infine nascere uno standard, una prassi capace di influenzare altri creatori che in futuro potranno appoggiarsi a strutture fino a poco prima impensabili. Senza dimenticare come e quanto la narrazione passi, soprattutto all’interno di un videogioco, attraverso molti formati e canali differenti. Un videogioco è fatto da immagini, testi, filmati, audio: tanti frammenti che, ognuno con il suo ruolo e con la sua portata, vanno a comporre un mosaico complessivo che non vediamo l’ora di vedere dove ci porterà.
Come vent’anni fa non avevamo la minima idea di ciò che sarebbero stati i giorni nostri a livello videoludico, allo stesso modo oggi non possiamo immaginare cosa ci aspetterà tra un anno, due o dieci. Il racconto di una storia all’interno di un videogioco è qualcosa in continua evoluzione, e solo il tempo ci mostrerà dove possiamo arrivare. Ed è con questa riflessione che vi lasciamo, invitandovi a dirci la vostra sull’argomento. Raccontateci insomma quali sono, per voi, quegli escamotage che hanno davvero rivoluzionato il videogioco: un discorso che, non dimentichiamo, è reso ancora più ricco e bello proprio dalla grandissima soggettività legata a questo fantastico medium.
Nier Replicant, altro titolo dalla narrazione spettacolare, è disponibile su Amazon a un prezzo davvero molto interessante.