Anche e soprattutto per merito dell’enorme e costante progresso tecnologico a cui abbiamo potuto assistere negli ultimi decenni, i videogiochi si sono trasformati sempre di più in vere e proprie esperienze. E l’hanno fatto evolvendosi sotto ogni punto di vista, divenendo fondamentalmente dei collage fatti di elementi chiaramente differenziati ma sempre connessi tra loro: stiamo parlando di tutti quei fattori come ambientazione, grafica, storia, personaggi e via dicendo. Tra questi non possiamo non citare il legame tra videogiochi e musica: un connubio che spesso e volentieri va ad arricchire un’opera rendendola, in determinati casi, arte a tutti gli effetti.
Parlando di videogiochi e musica sono tanti, davvero tanti gli spunti di riflessione. Il comparto sonoro – inteso in questo caso soltanto da un punto di vista musicale, senza tener conto ad esempio del ruolo ricoperto dall’audio ambientale – svolge una funzione molto simile a quella che da decenni possiamo ammirare nel cinema: si va in sostanza a lavorare sull’atmosfera, rendendo il prodotto finale qualcosa di sempre più inclusivo e dotato di identità propria.
Iniziamo però facendo un grosso passo indietro, tornando agli albori della storia del medium videoludico con l’obiettivo di analizzare la genesi del rapporto tra videogiochi e musica. Siamo negli anni Settanta, e dunque in un contesto dove tecnologia e informazione erano completamente diversi da come li riusciamo a concepire oggi.
Videogiochi e musica: dai chip alle orchestre
Sono innumerevoli i fattori che vanno a differenziare, anche soltanto da un punto di vista prettamente teorico, la produzione musicale per il gaming negli scorsi decenni e quella odierna. In primis, come detto, emerge una marcata componente tecnologica: tornare indietro nel tempo significa approcciarsi a una realtà dove la musica, in senso ampio, era creata in modo totalmente diverso.
Ovviamente esistevano già i grandi studi di registrazione, i quali erano però dedicati all’incisione degli album più importanti della storia della musica: i videogiochi, anche da un punto di vista mediatico, non godevano ancora nemmeno di una porzione della considerazione che oggi stanno finalmente raggiungendo. Si trattava infatti di una nicchia eccessivamente ridotta per poter accedere a contesti come gli studios appena citati, senza contare che gli hardware presenti sul mercato offrivano uno spazio di sviluppo molto limitato anche in tal senso.
Non sarebbe stato dunque possibile incidere una traccia al fine di inserirla all’interno di un gioco: l’audio supportato era infatti monofonico e con pochi bit a disposizione, fattore che spinse molti sviluppatori a ingegnarsi in tal senso. Uno dei primi casi esemplificativi del legame tra videogiochi e musica lo troviamo in Gun Fight: storico arcade distribuito da Midway e caratterizzato da un ormai iconico suono posto tra un round e l’altro di una partita.
Si tratta ovviamente di qualcosa di seminale, che getterà le basi per molti titoli presenti sul mercato in quegli anni. Il tutto veniva creato adoperando dei chip, che andavano a sostituire gli impulsi elettrici del codice di un computer con onde sonore analogiche: qualcosa di incredibilmente all’avanguardia per i tempi. Il primo gioco a presentare una vera e propria colonna sonora sarà poi Space Invaders, le cui musiche sono ancora oggi immediatamente riconoscibili ed entrate in maniera stabile nella storia del media videoludico.
Con l’avvento del decennio successivo la tecnologia farà dei grossi passi avanti, e di conseguenza diviene possibile iniziare a lavorare con sintetizzatori e apparecchiature man mano sempre più raffinate. Rally-X di Namco (1980) è probabilmente il primo titolo con un comparto audio realizzato con un convertitore di segnale analogico, che rende possibile la riproduzione di note campionate. L’anno successivo segnerà un altro momento fondamentale della storia del rapporto tra videogiochi e musica: uscirà infatti Frogger, che con una tracklist di ben 11 brani si propone come un prodotto dinamico anche dal punto di vista sonoro.
Siamo qui di fronte a una vera e propria rivoluzione a tutto tondo: l’introduzione di qualcosa del genere andava a rendere il tutto un’esperienza ancora più avvincente, capace di coinvolgere a un livello sempre maggiore il giocatore. Al contempo si va ad affermare sempre di più la figura del compositore anche in ambito videoludico, con alcuni dei professionisti più iconici in tal senso a nascere artisticamente proprio in questi anni.
Stiamo parlando ad esempio di Koji Kondo, che componendo la colonna sonora di Super Mario Bros nel 1985 ha di fatto scritto un’enorme pagina nella storia di questo medium. O ancora di Nobuo Uematsu, il musicista dietro la musica capace di rendere Final Fantasy l’esperienza magnifica che tutti conosciamo, e del lavoro svolto dal leggendario Kōichi Sugiyama con la saga di Dragon Quest. Tutti esempi di come qualcosa stava cambiando, e di come i videogiochi si stavano pian piano andando ad affermare non solo come parte della cultura popolare, ma come opere d’arte capace di emozionare sotto diversi punti di vista.
Gli anni Novanta portarono all’introduzione di console a 16 e infine a 64 bit: ciò consentiva agli sviluppatori di investire in maniera davvero importante sul comparto sonoro, dando vita a musica di qualità man mano sempre più equiparabile a quella citata all’inizio di questi paragrafi. La composizione musicale passa anche in questo contesto negli studios, e il progresso tecnologico non cessa di avanzare neanche in tal senso.
Enorme è ad esempio il contributo di Michael Land e Peter McConnell di LucasArts, che con il loro iMUSE – Interactive MUsic Streaming Engine – diedero vita a un motore di gioco capace di rendere l’audio un elemento infinitamente più dinamico, e capace di sincronizzarsi alla perfezione con le azioni compiute dal giocatore. Ogni sezione del gioco, così come ogni scelta dell’utente, andava a corrispondere perfettamente con gli eventi mostrati sullo schermo: un’innovazione che rivoluzionò ulteriormente il lavoro dietro a tutto ciò che riguarda videogiochi e musica.
Dalla produzione effettuata con chip e attrezzature oggi quasi obsolete, si è dunque passati a composizione nel vero senso della parola: una transizione che ha prodotto, con il passare degli anni, tutta una serie di effetti anche dal punto di vista culturale.
Videogiochi e musica: un dualismo sempre in evoluzione
Si potrebbe scrivere un intero manuale su come una canzone composta in un certo modo, e collocata nel momento giusto, può arrivare a rendere un frame videoludico qualcosa di realmente indimenticabile. È qui che si parla di esperienza e non più di “semplice” intrattenimento: il tutto ha inizio dallo studio di come è possibile esercitare la perfetta sollecitazione dell’udito, che dev’essere dunque finalizzata a lasciare il segno nel fortunato giocatore.
Nel momento in cui stiamo cavalcando nelle lande desolate di Shadow of the Colossus, o stiamo piuttosto esplorando le rovine di una civiltà perduta nei panni di Nathan Drake, la musica andrà a svolgere un compito fondamentale. Non sarà un semplice accompagnamento, sarà il vero e proprio elemento capace di accompagnare il giocatore: da carattere secondario, insomma, il comparto sonoro è divenuto un’opera d’arte all’interno del mosaico complesso che è un videogioco.
Spingere sulla componente emotiva è un’azione ormai imprescindibile per un prodotto videoludico, che riesce così a elevare un fattore importante qual è l’immersività. Si agisce inoltre a livello di percezioni, con una particolare scena che può essere fruita in modi diversi a seconda dell’audio presente nella stessa.
A quelli già citati potremmo aggiungere decine e decine di esempi, e quasi certamente finiremmo col tralasciare alcune produzioni che fanno della colonna sonora uno dei loro punti più rilevanti. Entra in gioco anche un discreto livello di soggettività e chi vi scrive, dovendo scegliere, si sente di nominare a titolo assolutamente personale capolavori come Grim Fandango, Silent Hill, Metal Gear Solid, The Last of Us e Journey. Tutti accompagnamenti musicali molto diversi tra loro, ma sempre e comunque in grado di costruire alla perfezione un’atmosfera capace di consolidare lo status di capolavoro di un’opera di questo tipo.
L’evoluzione del dualismo videogiochi e musica è evidente anche all’interno del ricco panorama della cultura pop. Alcune colonne sonore sono divenute infatti elementi cardine nell’universo mainstream, riuscendo ad essere immediatamente riconoscibili anche da un pubblico di non giocatori: la già citata colonna sonora di Super Mario Bros, ad esempio, è nella sua semplicità forse l’esempio più notevole in tal senso. Tutti la riconoscono, tutti la riescono ad associare in maniera rapida e veloce e uno dei personaggi più famosi del panorama videoludico.
Allo stesso tempo possiamo vedere come in alcune occasioni la musica proveniente dall’industria del videogioco va a influenzare quella pop, che va a prendere in prestito beat e suoni proprio dalla scena videoludica: Tik Tok di Kesha e Hellbound di Eminem, ad esempio, traggono palesemente ispirazione dal comparto sonoro di questo tipo di prodotti.
Alcuni titoli presentano inoltre oggi una colonna sonora non originale, andando a riproporre brani anche molto famosi nel contesto di un videogioco. Life is Strange e la serie Grand Theft Auto sono due casi emblematici in tal senso, e il tutto va a creare quella che possiamo sostanzialmente definire una convergenza tra media: videogiochi e musica, intesi come entità slegate tra loro, vanno a unirsi per creare un prodotto con un’anima propria.
A questo punto resta soltanto da capire dove questo continuo processo di evoluzione ci potrà condurre. Certo è che oggi, in un mondo continuamente in movimento, prendersi una pausa giocando a uno delle migliaia di titoli presenti sul mercato significa vivere un’esperienza. E la musica in questo senso non fa altro che arricchire ulteriormente un mondo già di per sé tutto da scoprire, rendendolo unico e capace di emozionare sempre e comunque.
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