Umurangi Generation | Recensione, fotografare la vita

Umurangi Generation è un gioco in prima persona dove non si usa un'arma, ma solo una macchina fotografica per immortalare la vita.

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a cura di Martina Fargnoli

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Il lockdown ha imposto un diverso ritmo alle nostre vite, spingendoci a sostituire attività che davamo per scontate con una nuova normalità a cui abbiamo dovuto abituarci. Per me l’inizio della quarantena è coinciso con la rinuncia - temporanea – alla fotografia. Ero solita fare lunghe camminate all’alba o al tramonto per catturare i meravigliosi colori naturali dei paesaggi: mi ha sempre trasmesso un senso di beatitudine procedere con calma, fissare nella mente uno scatto e poi comporlo con la reflex. Nei contesti urbani, dove le persone interagiscono con la città, uno scatto può diventare testimonianza, immortala un preciso momento che esiste nel tempo e al di fuori di esso.

Ho sempre pensato alla fotografia come un modo per imprimere sensazioni e non soltanto immagini: quelle di chi scatta e di chi è ritratto. I videogiochi mi hanno permesso di portare questa mia passione anche all’interno dei loro mondi virtuali. Molti titoli ormai presentano una photo mode più o meno dettagliata, con una gestione della scena che a tratti può riscrivere interamente ciò che si era sottratto allo scorrere dell’azione. Umurangi Generation prende la fotografia e la pone al centro di un’esperienza in prima persona. L’unica arma a disposizione è una macchina fotografica: non toglie la vita, ma ne ritrae l‘autenticità.

Il tutorial – facoltativo – mette subito in chiaro una cosa: l’arte è soggettiva e nessuno scatto potrà mai essere bollato come bello o brutto, tuttavia in quanto corrieri incaricati di consegnare un pacco contenente le immagini realizzate seguendo una serie di obiettivi, sarete pagati per la vostra capacità di combinare con un click colore, contenuto e composizione. Che siate fotografi in erba o professionisti, riuscirete a prendere confidenza con la macchina fotografica virtuale fin da subito. I controlli sono molto semplici e svolgono bene la loro funzione: si punta l’obiettivo, si sceglie la lunghezza focale – variabile a seconda della lente come nella realtà -, si sistema la messa a fuoco e senza dover ricorrere a Lightroom o Photoshop, si possono modificare delle variabili subito dopo lo scatto: l’esposizione, il tono, la saturazione e molto altro ancora che sarà disponibile completando i livelli.

Ogni livello è infatti come un grande puzzle. Lista di obiettivi alla mano dovrete capire cosa fotografare e come. Alcuni obiettivi infatti richiedono che lo scatto venga effettuato da vicino oppure bisognerà trovarsi nei pressi di un determinato punto per immortalare l’oggetto richiesto. In altri casi sarà la lente a determinare la tipologia di immagine scegliendo tra grandangolare, teleobiettivo, fisheye o ottica di base.

Oltre alla lista di compiti da portare a termine per concludere il lavoro ci sono altri obiettivi bonus che includono il trovare i rullini sparsi per l’area di gioco, ricreare lo stesso scatto di una cartolina, guadagnare una certa somma di denaro e fare una foto di gruppo ai propri amici. Per ottenere il migliore dei risultati possibili e sbloccare tutto l’equipaggiamento, ogni obiettivo presente dovrà essere completato in 10 minuti, un tempo che consigliamo di ignorare la prima volta che si gioca. Potete arrivare alla fine del racconto utilizzando gli strumenti di base ottenibili completando solo gli obiettivi principali, per poi tornare in un secondo momento sui livelli già sbloccati per ottenerne la ricompensa bonus.

Gli obiettivi, seppur necessari per proseguire, non devono essere considerati come un ostacolo alla creatività ma visti più come la mano di un insegnante che ci guida verso la composizione perfetta. La fotografia è scoperta e curiosità, caratteristiche senza le quali i livelli di Umurangi Generation non sarebbero nient’altro che un insieme di pixel confusi. Uno stesso soggetto, preso da una diversa angolazione o congelato con un diverso tempismo, offre una differente interpretazione di un momento. A volte lo scatto perfetto è questione di istinto, altre volte è costruito minuziosamente tenendo a mente le regole sulle proporzioni, ma se non ci si immerge nell’ambiente e non si cerca di comprendere la storia che quel luogo racconta, si perde l’occasione per entrare in sintonia con una narrazione visiva che emerge e si forma anche in virtù degli scatti che facciamo.

Il mondo rappresentato in Umurangi Generation è il ritratto di un futuro che spaventa, alla deriva, fortemente militarizzato, eppure negli sprazzi di colore, nelle danze, nei momenti di raccoglimento che è possibile documentare, sono racchiuse anche la speranza e la lotta di una generazione che resiste e dice la sua con la forza dell’espressione. La musica che accompagna il nostro viaggio è una fedele amica il cui ritmo combacia sempre con lo stato d’animo generale trasmesso dal livello, un connubio imprescindibile in grado di trasportare, calmare o scuotere per dare un senso di precarietà.

Se dovessimo analizzare Umurangi Generation solo come un insieme di righe di codice che girano su una specifica piattaforma, allora il verdetto potrebbe non essere dei migliori. Non mancano cali di frame, anche consistenti, pur non essendo un gioco esoso in quanto a risorse. Non ha una grafica all’avanguardia che punta al realismo visivo, semmai il realismo che cerca di cogliere è quello dell’osservare la vita nella quotidianità di Tauranga Aotearoa. Il movimento alle volte è un po’ goffo soprattutto quando si salta e si cerca di raggiungere una piattaforma.

Tuttavia, se accettiamo il videogioco come un linguaggio con una capacità tutta sua di arrivare alle persone e da queste venire riutilizzato come forma di comunicazione, allora Umurangi Generation non è solo il racconto sotteso che l’autore ha voluto mettere in scena, ma è il racconto collettivo di tutti i giocatori che scattando fotografie ne stanno realizzando un mosaico ben più complesso.

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