Ubisoft, qualche giorno fa, ha dichiarato che tre videogiochi non ancora annunciati sono stati cancellati, non lasciando trapelare alcuni riferimenti a opere di cui si è già al corrente e che sono attualmente in fase di sviluppo. Il testo indicava, inoltre, che Skull & Bones, il celebre videogioco multigiocatore ispirato alle battaglie navali di Assassin’s Creed Black Flag, è stato rimandato per la settima volta. L'opera annunciata nel 2017 che, stando ad alcuni rumor non confermati risalenti al 2020, era finita nel dimenticatoio, spingendo qualcuno a sostenere, pur non essendocene prove concrete, che la produzione fosse addirittura ripartita da zero. Qualche mese fa, però, alla Gamescom di Colonia è stato mostrato un trailer non particolarmente entusiasmante che ha raccontato parecchio della produzione a tema piratesco.
Subito si è pensato, complici le attese per averlo fra le mani, che sarebbe stato pubblicato l’autunno stesso e in tanti si erano finalmente detti speranzosi del fato di questo videogioco, ma nessuno si aspettava un altro posticipo. Sia chiaro, penso che sviluppare e curare un gioco sia complesso: servono anni di lavoro e mesi di rifiniture perché sul mercato non venga pubblicato troppo presto. Tempo al tempo, insomma, ma forse è meglio rendersene conto prima di arrivare a una situazione del genere, che ormai mostra il fianco soprattutto economicamente del colosso. Il destino di Ubisoft, tuttavia, non è legato al caso di Skull & Bones, ma ad alcune situazioni già certamente note a chiunque si approcci alle opere dello studio di sviluppo parigino e segua le sue vicende sui social network. Quattro giorni fa, però, è accaduto qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspettato prima: le azioni di Ubisoft sono crollate del venti percento delle sue quote in borsa, un dato che è ribalzato sui maggiori tabloid dedicati al mondo videogiochi e anche sulle testate di maggiore importanza che si occupano di finanza.
In parole povere, la Borsa di Parigi ha registrato perdite talmente pesanti che è stata costretta ad avvertire Ubisoft della situazione, il tutto dopo gli annunci riguardanti Skull & Bones e le tre opere mai annunciate definitivamente cancellate. Ubisoft, dichiarando vari tagli di natura finanziaria, ha quindi ammesso di essere in difficoltà. Il fatturato, ridotto ora a 725 milioni di euro per il primo trimestre del 2023, la costringe a rivedere completamente i suoi piani futuri. La casa sviluppatrice francese, inoltre, ha dichiarato di essere sorpresa in negativo per quanto è accaduto, promettendo di assestarsi.
Ciò che però ha sorpreso me, considerando la storia e l’importanza di Ubisoft nel panorama videoludico, è la concreta svalutazione del brand sul piano finanziario a causa dei troppi rimandi e della cancellazione di alcuni videogiochi. Se da una parte queste eventualità sono ormai sotto il mirino della finanza, dall’altra ci sono le vendite considerate non soddisfacenti di alcuni videogiochi come Mario + Rabbids: Sparks of Hope.
Un dramma iniziato nel 2014
Ubisoft, che ha sempre puntato su franchise vincenti come Assassin’s Creed e Far Cry, fino a nove anni fa pubblicava almeno due videogiochi all’anno, riuscendo spesso a incastrarne tre. E riusciva sempre a soddisfare le aspettative dei giocatori, a volte in modo inaspettato e in altrettante occasioni con il classico colpo di genio che tanto l’ha contraddistinto sia come publisher quanto come sviluppatore. Era sicuramente un altro periodo, c’era più attrattiva e probabilmente i titoli pubblicati erano curati meglio. Prima di Assassin’s Creed, però, il colosso francese ha puntato tutto su Prince of Persia e Splinter Cell, proponendo opere strategiche come The Settlers e Rayman, riuscendo a conquistarsi ben più della classica cerchia di appassionati. Parlava ai giocatori perché confezionava esperienze e non solo opere interattive, garantendo riflessioni e divertimento.
Tutto è proseguito fino alla pubblicazione di Assassin’s Creed: Unity, anche se le criticità cominciavano a venire fuori proprio a causa della mole di opere che ogni anno venivano pubblicate ed erano ormai sprovviste di carattere e unicità, tratti ancora riscontrabili nella saga di Desmond Miles. A differenza di Assassin’s Creed IV: Black Flag, l’ottavo capitolo presentò un game design non particolarmente brillante, nonostante una pregevole cura ambientale atta a ricreare fedelmente le atmosfere parigine durante la Rivoluzione Francese, un periodo storico purtroppo mal sfruttato.
La produzione, sviluppata all’epoca da Ubisoft Montréal, avrebbe dovuto seguire le orme di Ezio Auditore e aprire un nuovo capitolo del franchise, dimostrando ancora una volta di essere in vetta. Mentre Arno Dorian non convinceva, la formula di Far Cry 4 conquistava a metà, non innovando però le meccaniche di Far Cry 3, ancora oggi il videogioco della serie più apprezzato e amato. Inoltre, Assassin’s Creed: Unity ricevette pesanti critiche persino dagli ambienti della sinistra radicale francese a causa delle false rappresentazioni di alcuni personaggi storici come Robespierre e la regina Antonietta, cui Ubisoft diede una sua personale versione.
Oltre, quindi, a ricevere critiche aspre dalla stampa specializzata e delle perdite in borsa già notevoli per l’epoca, il 2014 di Ubisoft fu alquanto dimenticabile, con un risultato che portò il team a riflettere largamente sul futuro. Immaginatevi uscire dalla precedente generazione con l’acclamazione sia di critica che del pubblico, per poi vedersi tutto quanto sbriciolarsi fra le dita. Nel frattempo, opere come Splinter Cell e Rayman si prendevano una grossa pausa. E ancora oggi, nonostante le promesse fatte da Ubisoft, si sa molto poco sulla prosecuzione della prima di queste due saghe.
Con Rayman, serie che ho amato sin da bambino, ormai mi sono arreso, consapevole che non sia più nei piani di Ubisoft. A peggiorare la situazione, però, fu Assassin’s Creed: Syndicate, un videogioco sicuramente migliorato rispetto al predecessore, ma che riuscì a conquistare pochi giocatori, mettendo nuovamente Ubisoft nella situazione di partenza. Complici, tuttavia, le pubblicazioni di Rainbow Six Siege e For Honor, Ubisoft ebbe la capacità di sfruttare il successo di entrambi. Poi venivano pubblicate altre opere, alcune delle quali però molto simili le une dalle altre. Nonostante l’anno sabatico con Assassin’s Creed, specie per presentare ai giocatori un nuovo modello di gioco cavalcando l’onda dei giochi di ruolo dopo il successo di The Witcher 3: Wild Hunt, l'azienda propose opere con dinamiche di gameplay identiche e realmente poco sbalorditive. Un esempio eclatante, che ancora oggi mi fa storcere il naso, riguarda l’abuso del drone in alcuni videogiochi come Ghost Recon: Wildlands, Far Cry e nei nuovi Assassin’s Creed (sì, quei pennuti erano droni con le ali).
Il principale insuccesso degli ultimi anni, complici strutture ludiche identiche, si riflette anche sulla qualità generale delle produzioni. In tal senso, i videogiochi di maggiore successo, nonostante le ottime vendite di Assassin’s Creed: Valhalla, sono ancora oggi Rainbow Six Siege e For Honor. In passato, lo scopo principale di Ubisoft è sempre stato uno solo: creare storie capaci di far riflettere e commuovere, spingendo il giocatore a visitare realtà lontane e particolareggiate. Adesso, vuoi per le brutte notizie di tre giorni fa e vuoi per la scarsità di opere capaci di concorrere con i grandi nomi, il team sta prendendo decisioni diverse in base ai propri interessi, com’è giusto che sia. Le ultime opere di Ubisoft, a differenza di tante altre sviluppate e pubblicate prima del 2014, hanno perso la loro profondità. Essendo molto simili, non ce n’è una che riesce realmente a rendersi realmente memorabile, e Ubisoft ci tiene purtroppo a ricordarlo.
Ubisoft non sta imparando dal passato
Il caso di Prince of Persia: Le Sabbie del Tempo Remake, infatti, sottolinea come Ubisoft non abbia ben chiare quali mosse seguire per arrivare alla conclusione del rifacimento di uno dei videogiochi più importanti della storia di questo medium. Parlo di un titolo che avrebbe dovuto essere pubblicato nel gennaio del 2021, ma che è stato rimandato fino a data da destinarsi. E al momento, a causa dei recenti sviluppi, forse è meglio attendere che sia proprio il colosso francese a chiarire il suo futuro.
Le conseguenze di questa situazione, dunque, riguardano nello specifico sia i giochi annunciati quanto quelli scomparsi nel nulla. Nello specifico riflettono anche su quelli effettivamente pubblicati, alcuni dei quali finiti però nel dimenticatoio. Alcune opere come Child of Light e Valiant Hearts hanno però ricevuto il plauso di critica e pubblico, riuscendo a collocarsi nel mercato in modo soddisfacente. Eppure, e non è un mistero, sono le produzioni che attualmente i giocatori preferiscono rispetto alle altre proposte da Ubisoft e le sue divisioni sparse per il mondo, perché arrivano al loro obiettivo sapendo, anzitutto, cosa raccontare ai giocatori.
A Ubisoft, purtroppo, manca una strategia giusta. Quando Patrice Désilets, tra il 2005 e il 2005 ultimò Assassin’s Creed per poi vederlo pubblicato nel 2007, non avrebbe mai immaginato che sarebbe diventato un franchise fondamentale per il publisher e il suo futuro. A tal proposito, credo che al colosso francese manchi una figura come il game designer canadese che sappia rischiare, sbagliare e sorprendere creando un videogioco con un’anima e non opere simili tra loro che si esauriscono in breve tempo. Assassin’s Creed: Valhalla, certamente l’esempio più noto, è l’evoluzione di Assassin’s Creed: Origins e Assassin’s Creed: Odyssey, ma è anche un videogioco con enormi difetti che non sono stati affinati.
Lo si avverte sin dalle prime ore, anche se Ubisoft lo ha nascosto sapientemente sotto la neve della Norvegia, scegliendo un contesto abusato in serie televisive, videogiochi e tanti film. Assassin’s Creed: Origins, in tal senso, è certamente la produzione più riuscita della nuova trilogia, mentre non si potrebbe dire lo stesso di Far Cry 6, che ha confezionato un ottimo contesto ma una struttura di gioco già rodata in altre produzioni. Ubisoft tende, a causa di scelte societarie non particolarmente riuscite, a insistere su videogiochi che necessiterebbero di molto tempo prima di superare un buon voto.
L’unico modo che dispone per confezionare dei prodotti riusciti è prendersi del tempo fra una produzione e l’altra, scegliendo di non annunciarne di nuovi, così da concentrarsi sulle altre da concludere. L’anno scorso, durante un evento Ubisoft, sono stati mostrati i trailer dei prossimi lavori del team francese, che sarà chiamato a fornire una prova encomiabile non appena verranno pubblicate. Considerando però i tempi che corrono e l’attuale situazione di Ubisoft, bisogna cominciare a considerare che la situazione che si configura potrebbe rappresentare un altro passo falso.
Le prove, molteplici e purtroppo note a chiunque segue Ubisoft da anni, danno purtroppo ragione a molti. L'azienda, al momento, necessita di un periodo d’assestamento per comprendere quali direzioni prendere prima che sia troppo tardi. Anche se è complesso, non può esserci altra scelta, specie se si considerano le proposte che potrebbero deludere. Al momento sono troppe, davvero troppe per riuscire a entrare nelle tempistiche, e forse la cancellazione dei tre videogiochi mai annunciati potrebbe permettere al team di concentrarsi unicamente su quelli realmente in sviluppo.
Una società sull’orlo del baratro?
No, Ubisoft non è sull’orlo del baratro, ma è in un punto di non ritorno se non agisce tempestivamente per arginare alcune problematiche purtroppo già note. In questi anni, complice anche la pandemia, molti publisher e studi di sviluppo si sono trovati in grosse difficoltà economiche. Se i grandi nomi non sono riusciti a risolvere situazioni e momenti difficili, rientrando così delle spese dei loro videogiochi, immaginate i team più piccoli, che si sono dovuti arrangiare. Di sicuro, Ubisoft è stata pesantemente coinvolta, nonostante abbia iniziato la nuova generazione proponendo come sempre la sua sfilza di titoli.
Un nuovo Assassin’s Creed, un nuovo Far Cry e un nuovo Watch Dogs, un nuovo Mario + Rabbids e il nuovo Tom Clancy’s Rainbow Six Extraction, non contando Just Dance 2023 e tanti altri. Il dato più preoccupante è che il crollo in borsa non è il primo a colpire il colosso francese, che ha già affrontato una situazione simile nel 2020 non perdendo tuttavia il venti percento delle proprie azioni. In questo caso, considerando le attuali situazioni societarie, l'azienda si ritrova in un pericolo ancora più rilevante perché è costretta a dover sistemare i suoi piani per il futuro, proponendo nuove strategie produttive e dando priorità in modo sostenibile al suo intero parco titoli da qui al prossimo anno. Se da una parte è un dispiacere vedere tre videogiochi annunciati cancellati, dall’altra è meglio così, perché in questo modo può compiere delle scelte con maggiore accortezza. L’obiettivo di una grande società, al momento in chiara difficoltà, è di rimettere a posto i conti.
Ciò che mi auguro, però, è che non vengano toccate le produzioni considerate minori da Ubisoft, al momento quelle che rischiano maggiormente, anche se non ci sono dati a confermarlo: di sicuro, il fatto che Mario + Rabbids e Just Dance 2023 non abbiano rispettato gli standard economici di Ubisoft può dire tutto e niente, perché andrebbero esaminati i documenti relativi alle statistiche effettive, tra preordini, acquisti in digitali e soprattutto in copie fisiche. Riassestare i conti non significa inevitabilmente fare tabula rasa della scala organizzativa ma ridare uno scopo alla società proprio perché funzioni non mettendosi degli obiettivi. A capo di Ubisoft c’è ancora il suo fondatore, Yves Guillemot, che conta all’attivo ben più di ventotto divisioni sparse per il mondo.
La maggiore criticità di Ubisoft in questi anni, come già accennato, è la moltitudine di videogiochi sviluppati e messi in commercio, specie i più blasonati, oltre a una strategia di produzione che non ha immediatamente compreso i costi e i ricavi che servivano per rientrare di tutte le spese e soddisfare in questo modo gli obiettivi finanziari. Promettere, quindi, tre Assassin’s Creed può essere solo una buona notizia per la società, che necessita di attirare l’attenzione su di sé per attirare gli azionisti e aumentare il suo valore in borsa, ma è rimandare ancora una volta l’inevitabile, spendendo tanto ma ottenendo meno di quanto effettivamente si necessiti.
Il 12 gennaio scorso, il giorno nero di Ubisoft, alle 9:00 in punto era colata a picco, perdendo il venti percento delle sue azioni. Negli ultimi cinque giorni, invece, Ubisoft è arrivata addirittura al meno diciotto percento, riuscendo a rialzarsi leggermente nella giornata di ieri. Il 2023 è dunque iniziato in negativo, mentre gli anni passati, pur non essendo brillanti, erano comunque sostenibili. Inoltre, JPMorgan ha abbassato la raccomandazione di Ubisoft da overperfomance a neutrale, delineando una situazione preoccupante.
Fa un effetto strano, e non lo nego, vedere un colosso del genere in difficoltà. Il valore di mercato, fino a qualche giorno fa, si era assestato a venti euro. Attualmente è il medesimo, con delle rispettive differenze tra agosto e settembre, quando le azioni erano fissate a quarantacinque euro, già certamente più incoraggianti ma niente rispetto ai centodue euro del 2018.
Il futuro di Ubisoft
Cosa può fare Ubisoft non può essere stabilito da te, me o da chiunque altro, ma da decisioni interne e dall'intelligenza dei singoli. Approfondendo il discorso, Ubisoft non sta fallendo né si sta trovando in una condizione che potrebbe far presagire la bancarotta, ma la situazione non indica che tutto sia rose e fiori. Perdere così tanto significa che il publisher francese sta pagando molto più di quanto stia guadagnando dai suoi videogiochi.
Questo è purtroppo frutto di scelte errate, che ora si possono giudicare nei limiti consentiti, facendo una stima degli ultimi anni passati. Discorsi del genere vanno fatti tenendo in considerazione più punti sulle opere, che non hanno soddisfatto pienamente i giocatori, oltre che i soli profitti. Tornando a parlare di produzioni e qualità, dunque, Ubisoft necessita di differenziare le proprie opere e proporne, magari, addirittura di meno, premiando maggiormente quelle di qualità e limitando una volta per tutte anche le micro transazioni nei videogiochi single player. In quanto azienda, però, deve tenere in considerazione i costi e i guadagni, che sono fondamentali perché torni a respirare. Meno opere, meno rischi e più qualità: il futuro di Ubisoft è nelle mani dei suoi team più piccoli. E mai come adesso servono game designer e creative designer che diano un’impronta decisiva come fece Patrice Désilets con Ezio Auditore da Firenze.