Il 21 agosto del 1998 lo studio di sviluppo Red Storm Entertainment pubblicava lo sparatutto tattico Rainbow Six. Quello fu l'esatto momento che contribuì a definire un genere che a vent'anni di distanza continua a influenzare il panorama degli sparatutto. Red Storm era stata fondata appena due anni prima dall'autore Tom Clancy, dal capitano della marina britannica Doug Littlejohns, dal direttore creativo Steve Reid e da diciassette sviluppatori.
Quello di Tom Clancy però non è solo un brand top of the mind quando si pensa a libri e videogiochi: è un nome che porta stretto con sé l'immagine di una fantapolitica tra le più vivide e concrete realizzate, le cui storie risaltano ancora oggi dopo la morte dello scrittore avvenuta nel 2013. L'esordio di Tom Clancy si ha nel 1984 con La grande fuga dell'Ottobre Rosso.
L'immaginario creato dall'autore di Baltimora ha una tale aderenza con la realtà, grazie anche alla minuzia con cui vengono affrontati temi scientifici e militari, da essere risultato fin da sempre un terreno fertile per una trasposizione videoludica simulativa. The Hunt for Red October per Amiga e Commodore 64 è il primo seme di questo produttivo binomio tra i contesti calzanti descritti da Tom Clancy e i videogiochi.
Rainbow Six: le origini
Le strade del romanzo Rainbow Six e del videogioco omonimo però non si intrecciano fin da subito, complici i tempi di sviluppo in parallelo differenti tra loro ed è solo nel 1997 che il gioco percorre gli stessi binari del libro. Quando la società si è formata nell'autunno del 1996, si è subito messa all'opera per trovare idee interessanti.
Tra queste idee c'è quella che ha guidato il team verso la scelta di realizzare un gioco basato sull'Hostage Rescue Team dell'FBI, un'unità specializzata nel recupero di ostaggi. L'obiettivo era riuscire a catturare le stesse emozioni di film come Mission: Impossibile e Quella Sporca Dozzina, trasmettere le sensazioni di un gioco d'azione dove una squadra di specialisti esegue operazioni con la massima precisione.
La fedeltà alla realtà è un valore che Rainbow Six ha saputo fare suo proprio grazie all'intervento di Tom Clancy che ha messo al servizio dello studio della Carolina del Nord le sue conoscenze e i suoi competenti consulenti. Il motion capture per il gioco non è stato realizzato con attori, bensì con due istruttori di combattimento ravvicinato che lavoravano per il produttore di armi Heckler e Koch. Piuttosto che cercare di imitare la realtà, è stata la naturalezza di azioni quotidiane, apprese in contesti di vita vera, a essere trasferita sullo schermo.
Rainbow Six cerca quindi il distacco netto da un gameplay alla Quake, che proprio nel 1996 prendeva di petto il gioco online e lo faceva suo con un cocktail devastante di riflessi e studio delle mappe. Con il proseguire del tempo il gioco nelle mani di Red Storm si ampliava fino a cambiare momentaneamente nome: Black Ops, perché oltre al salvataggio degli ostaggi erano previste delle missioni segrete, erano inoltre state vagliate differenti epoche storiche per l'ambientazione che spaziavano dalla Seconda Guerra Mondiale alla Guerra Fredda.
Il lavorare nello stesso momento su due prodotti ancora in corso d'opera, da una parte il romanzo e dall'altra il gioco, è stato un percorso non sempre facile. Esistono dei vincoli da rispettare, come si può notare infatti i due finali sono differenti e questo perché le missioni finali del gioco sono state realizzate prima che Tom Clancy finisse di scrivere il romanzo. L'organico di Red Storm Entratainment era inoltre molto ristretto nei primi tempi, ad occuparsi di Rainbow Six erano solo l'ingegnere capo Brian Upton e un altro programmatore, il che ha complicato ulteriormente la tabella di marcia.
Il gioco, nonostante le difficoltà e alcune scelte poco oculate in corso di sviluppo legate alla tecnologia da utilizzare, è riuscito ad arrivare sul mercato come un prodotto valido, che ha colpito per le sue fasi attente di pianificazione pre-missione, il poter controllare un operatore a scelta alla volta, il realismo crudo che uccide con un colpo e un attento level design.
Si sono susseguiti nel 1999 l'espansione Tom Clancy's Rainbow Six: Eagle Watch con nuovi livelli, nuove armi, operatori e modalità e il seguito Tom Clancy's Rainbow Six: Rogue Spear strutturato in gran parte come il suo predecessore. Riscosse diverso successo la modalità multiplayer che per molti anni è stata ospitata sui network di GameSpy Arcade e MSN Gaming Zone. La componente multigiocatore ebbe un impatto significativo a tal punto che nacquero e si diffusero modalità ladder per i tornei e si sviluppò il gioco organizzato in clan.
Rogue Spear si espanse con tre contenuti aggiuntivi. Urban Operations introdusse un nuovo sistema di gestione delle mod per poterle installare con maggiore semplicità, Covert Ops Essentials che ospitava una versione standalone di una vera e propria guida sulle operazioni tattiche militari con interventi di esperti del settore e Black Thorn, aggiunta modesta arrivata nel settembre del 2001 che per rispetto dei tragici eventi dell'11 settembre ha subito un taglio prima della pubblicazione. Le missioni previste erano inizialmente 10, ma una di queste spostava l'azione su un jet dirottato e fu eliminata.
Ancora più modesto e totalmente dimenticabile è invece Tom Clancy's Rainbow Six: Lone Wolf di Rebellion e Ubisoft, l'esclusiva PSX spogliata di ogni tattica di squadra e contenuti, sono infatti solo 5 le missioni da giocare e per di più rese infernali da una difficoltà fuori scala.
Di diversa fattura è Rainbow Six 3: Raven Shield per PC che recupera l'anima tattica intensamente voluta fin dall'origine. Il passaggio a un motore grafico come l'Unreal ha dato più respiro al team, permettendogli di dedicare tempo ad altre componenti significative come il sistema balistico e un'interfaccia più snella, di più semplice lettura e manipolazione senza per questo sacrificare la ricchezza della gestione delle unità.
Certo, il salto grafico rispetto al passato è evidente, gli ambienti non sembrano più degli ammassi spigolosi di colore, ma il successo sta anche nelle ampie possibilità di personalizzazione con oltre 50 armi a disposizione e della visuale in prima persona che ora offre la possibilità di vedere la propria arma in mano e non solo il mirino. Le due espansioni Athena Sword e Iron Wrath mantengono una formula già vista: nuove missioni, mappe e armi.
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