La notizia, a vedersela lanciata in faccia così, fa decisamente un po’ effetto. A una manciata di giorni dal lancio ufficiale The Medium – unica vera esclusiva console (Series X/S) in casa Xbox sviluppata da Bloober Team - è riuscita a recuperare i costi di sviluppo e di promozione del gioco. Il titolo, servisse ricordarlo, come di consueto ormai da diversi anni seguendo la politica aziendale rientra tra i titoli scaricabili direttamente al lancio grazie al servizio in abbonamento Xbox Game Pass.
La notizia fa un po’ effetto, ma neanche così tanto ad un certo punto. Nulla di nuovo sotto il sole insomma. Il servizio di Microsoft è decisamente diverso tempo che si sta dimostrando parecchio in salute, il boom di abbonamenti attenzionato durante l’arco del 2020 ha fortemente aiutato il nuovo modello a diffondersi sempre di più nella grande community globale, complice sicuramente un aumento vertiginoso dell’attenzione riservata ai videogiochi da parte del grande pubblico in pieno isolamento pandemico, oltre l’accentramento dell’attenzione garantito dal lancio delle nuove console.
Se uniamo questi elementi al fatto che il titolo, pur riservandosi un’attenzione mediatica non banale, non rientra certo tra quei titoli con budget di sviluppo faraonici (e che la concorrenza di nuovi titoli di peso certo un po’ latita) la notizia riesce a quasi subito a ridimensionarsi. Alt. Non molliamo sul più bello, però. Basta soffermarsi ancora qualche secondo sulla notizia per far svanire nuovamente quest’effetto calmierante. Perché in realtà la notizia ci permette di addentrarci in tutta una serie di riflessioni che questa volta direzionano la loro attenzione su qualcosa di diverso.
Il dubbio continuo perpetrato da larga parte della community rispetto a quanto l’abbonamento Gamepass possa portare un reale beneficio sia all’utenza che al mercato può essere nuovamente messo in discussione. Proprio con questa notizia nasce un ulteriore messaggio spartiacque, che già in altre situazioni si era supposto, ma che ora dimostra la sua palese concretezza. Accantonata per un secondo Microsoft dall’equazione il Gamepass si mostra nuovamente come un modello che fa vincere un po’ tutti, mercato compreso. Perché finalmente, grazie ad esso, i titoli meno altisonanti sono pronti a rivendicare la loro centralità. E’ l’ora di riaprire le porte e far sedere comodi in casa anche i titoli doppia A.
L’accoglienza tiepida che non preclude il lieto fine
Tornando alla scintilla scatenante del discorso viene assolutamente utile sottolineare un aspetto non proprio di corredo: The Medium non è stato accolto in maniera esattamente esaltante dalla stampa internazionale. Il suo metascore si è infatti ad oggi assestato sul 76, specchio quindi di un titolo accolto dal mercato in maniera sufficientemente tiepida. Si passa, come sempre in questi casi, tra chi lo esalta maggiormente in quanto più sensibile ad un certo genere di tematiche a chi ne riconosce maggiormente i limiti perlopiù strutturali.
Un buon gioco, dunque, non un system seller né un titolo in grado di cambiare gli equilibri del suo genere di inquadramento. Il classico titolo che col tempo o diventa un cult, o viene un po’ a perdersi nel dimenticatoio dal mese dopo l’uscita. Nonostante l’accostamento (più volte sussurrato) al nome della saga Silent Hill non si può nemmeno certo dire che l’opera abbia goduto di un’attesa così spasmodica maturata durante gli anni del suo lunghissimo sviluppo, considerando peraltro che il genere non è di certo reputati fra quelli più a largo consumo.
Il team di sviluppo (Bloober Team) è caro ai suoi affezionati, ma ancora non è certo riuscito a imporsi con continuità con produzioni ambiziose. Siamo dunque di fronte a un titolo di quelli classicamente definibili come “a rischio”; titoli potenzialmente doppia A che si posizionano costantemente un po’ a metà nella loro offerta, e vivono in una terra di mezzo che li fa essere troppo grossi per i meccanismi di propagazione isterici e imprevedibili del mercato indipendente, e troppo piccoli per avvicinarsi alle logiche di spinta delle produzioni di un tripla A fatto e finito.
Queste produzioni, complice questo problema di posizionamento, con l’andare del tempo si sono sempre più diradate, correggendo spesso il loro stesso tiro, preferendo rimodellarsi in modo da risultare associabili ad una frangia piuttosto che a un’altra. Le zone grigie incutono sempre un saggio terrore nei mercati. Eccoci però a riflettere sul fatto che questa volta però la zona grigia sembra avere decisamente funzionato. Il mercato di Steam unito al piazzamento al lancio nel Gamepass ha permesso al gioco di riuscire in un obiettivo che, pur considerando i costi di sviluppo non estremi, non ha assolutamente del banale. La storia di The Medium è quindi è una storia a lieto fine. Ma non è l’unica.
La zona grigia di Microsoft
Questa zona grigia infatti, nel mercato di Microsoft, si sta mostrando, che dir si voglia, decisamente popolata. The Medium non è l’unico caso di produzione esclusiva non tripla A a cui viene riservata una certa attenzione aggiuntiva da parte di stampa e pubblico. Da Agosto 2020 infatti, sempre tramite il modello Gamepass, sono sbarcati sulla piattaforma, in ordine, titoli come: Battletoads, Tell Me Why, e Call of the Sea. Tutti titoli di genere assolutamente diversificato, non da mercato primario, che sono andati ad arricchire a comporre un catalogo di titoli di assoluto valore, nonostante la contenutezza delle loro ambizioni.
Sembra che in terra Xbox quella zona grigia che stava portando alla lenta scomparsa di alcuni tipi di produzione si stia lentamente e nuovamente ridefinendo. Gamepass sta donando la forza necessaria ad esistere a titoli che altrimenti non avrebbero nemmeno visto la luce. Il doppia A classico, la produzione magari da poche ore ma ottimamente rifinita e destinata ad una specifica fetta di pubblico, sembra stia finalmente tornando alla ribalta. E solo un cambiamento profondo del modello di consumo poteva assecondare questo ritorno.
La riflessione sul modello Gamepass necessita obbligatoriamente quindi di un riassestamento. Fino ad ora i dubbi di utenza e stampa centrati sia sulla sostenibilità, che sul reale beneficio portato al mercato dal nuovo modello, si soffermavano principalmente sulla possibile incapacità di rientro dei costi di sviluppo per questi titoli (lanciati al day-one), e al possibile raggiungimento del punto di breakdown, che avrebbe potuto significare il crollo di questo castello di carte, e la fine ingloriosa per le IP ad esso associate. Ci aggiungiamo inoltre il rischio attitudinale dell’utenza, la quale, in possesso di uno strumento così vasto, rischia di lobotomizzarsi con lo zapping da gaming, cosa che potrebbe sul lungo periodo rischiare di far perdere valore a titoli che a quel punto rimarrebbero incapaci di esprimersi.
Posto che queste riflessioni sicuramente devono essere mantenute, perché un cambiamento di modello porta sempre e giustamente con sé un notevole e doveroso stress critico, è necessario attenzionare al contempo che questo nuovo modo di intendere il rapporto con i videogame sta dando letteralmente vita a videogiochi che altrimenti non sarebbero potuti esistere.Inoltre, l’inclusività di generi che Microsoft tramite questo modello editoriale assolutamente diversificato riesce a creare permette di gestire produzioni più piccole, come quelle citate, ma anche brand molto più grossi, come il caso Flight Simulator.
C’è in gioco ora, insomma, la creazione di un vero e proprio modello editoriale che consenta la creazione di un catalogo decisamene più diversificato, in cui non manchino le esperienze gigantesche capaci di intrattenerci per settimane e settimane, ma non manchi nemmeno l’accentramento dell’attenzione (e quindi la propagazione al pubblico di massa) su titoli che durino quelle cinque ore benedette, capaci di riempirti il weekend con un’esperienza contenuta, mirata, appagante.
Elementi invece che ad oggi vengono principalmente visti come aspetti quasi sempre critici (tolta la parte dell’utenza già educata al mondo indie) potrebbero finalmente scrollarsi di dosso quel tipo di considerazioni, in quanto alleggeriti, soprattutto, dal loro costo di ingresso totalmente dedicato. Se investo 20 euro su qualcosa è naturale che nasce al contempo l’aspettativa di una determinata resa. Togliendo invece la centralità del prezzo sul contenuto, abbiamo certamente un pubblico capace di reagire in maniera più genuina al contenuto, quasi impermeabile a variabili che non siano il contenuto stesso, e quello che è capace di trasmettergli.
E’ così che la percezione del doppia A ne trae beneficio, e gli permette di continuare la sua opera di diffusione e propaganda. E’ così che la si può sdoganare con slancio e aspettarsi che produzioni del genere vengano accolte con lo stesso entusiasmo e con gli stessi download che ci si possono aspettare dal nuovo Gears of War di turno. Il videogioco di qualità a cui accedere in massa non deve più per forza essere vincolato né a estremità di estensione o longevità. Spazio alle medie produzioni fatte coi controfiocchi in grado di svettare comunque con format potenti nel loro oculato dimensionamento.
Come videogiocatori, ma più in generale come persone, è necessario sensibilizzarci sempre maggiormente su questo tipo di processi, soprattutto ora che il mondo social permette di mettere in circolo le nostre critiche, le quali assumono una cassa di risonanza che va spesse volte oltre i nostri stessi intenti (perché sì, -- cosa bella e cosa brutta - qualunque pensiero anche non qualificato per le aziende ha un valore e viene usato dalle aziende stesse di orientarsi).
Non solo nei videogiochi. Anche il modello Netflix, detestato dai puristi del cinema, ha i suoi punti critici, ma viene ingiustamente sottovalutato riguardo questo medesimo aspetto che stiamo analizzando, in quanto riesce a far sì che nascano opere le quali altrimenti non avrebbero mai trovato vita, o non avrebbero avuto certo un risalto, e un palco di esposizione, di rilievo (vi basti pensare alla distribuzione internazionale de “L’incredibile storia dell’isola delle Rose”). I nuovi contenuti che questi cambiamenti di modello stanno producendo, i nuovi spazi espressivi che stanno costruendo, non devono quindi essere sottovalutati.
Le responsabilità di Microsoft
Vedere questo tipo di segnali in questa nuova Microsoft è quanto di più incoraggiante si possa sperare. Mai come questa volta la casa di Redmond è importante, difatti, per il futuro del gaming. In qualità di accentratore di questo nuovo modello, è la prima volta nella sua storia che le sue mosse strategiche possono determinare qualcosa che vada ben oltre il suo successo commerciale come azienda, ma possono avere effetti su una scala decisamente più grande.
Ci sono in ballo nuove frontiere, nuovi mondi con cui potremmo venire a contatto, nuove esperienze distanti da quelle che il mercato al dettaglio è in grado di sostenere e di offrirci. E’ per questo che, ancora meno del solito, ci auspichiamo che soprattutto questo inizio di generazione possa essere non un escalation di console war (una volta che saranno tornate nuovamente disponibili le console) ma il momento di nascita di una nuova pagina della storia dei videogiochi che vada verso un mercato inclusivo, capace di toccare con forza e solidità tutti quei punti su cui il videogioco stesso non era stato ancora in grado di soffermarsi, trattandoli in maniera forse svogliata e disattenta, da troppo tempo fossilizzato su divisioni che devono cadere, per permettere ai prodotti stessi di non fossilizzarsi a loro volta, ma di proporci, senza rischio, le esperienze totalizzanti, quanto quelle più mirate e contenute.
E più bello, d’altronde, muoversi solo in un mondo sconfinato, o nella sconfinatezza di tanti piccoli mondi? Curiosa riflessione. Curioso anche il fatto che a farla nascere sia stato un gioco che ce ne fa vivere proprio due nello stesso momento, come The Medium. A prescindere dal suo reale valore, divisi ancora tra estimatori o detrattori, rimane forse questo, quindi, il vero messaggio che è stato in grado di mediare.