Sotto il mirino sono finite le dichiarazioni iniziali di Massive Entertainment e Ubisoft, che in fase di promozione del prodotto avevano dichiarato che ogni attività, indipendentemente dalla difficoltà, sarebbe stata accompagnata da una funzione di matchmaking. Da qui quindi le polemiche più velenose che hanno spinto i giocatori non organizzati a non vedere di buon occhio la scelta e a far sentire sempre più la loro voce.
La risposta di Massive non si è fatta attendere: non includere il matchmaking è stata una scelta dettata dal non ritenerla la soluzione ottimale in grado di offrire una buona esperienza di gioco per i gruppi di persone casuali. Da questo punto di vista non possiamo che concordare con Massive. Le incursioni sono attività di fine gioco fortemente incentrate sul lavoro di squadra, sulla preparazione di tattiche anche sul momento dove giocare insieme da molto, conoscersi e saper dialogare sono elementi che valgono - se non di più ma almeno alla pari - quanto le abilità individuali.
Senza dover andare indietro fino alle origini dei raid o scomodare esempi tratti dagli MMO fantasy più noti che risulterebbero inconfrontabili con la natura più ristretta delle Incursioni negli sparatutto di ultima generazione, la questione “matchmaking sì, matchmaking no” si può analizzare guardando al fenomeno dei Game as a Service a partire dal primo Destiny. Il titolo Bungie, nell'ambito degli shooter a mondo condiviso, è stato il primo a inaugurare le Incursioni come attività ristrette esclusivamente a gruppi già formati.
In principio c’era la Volta di Vetro, la mai dimenticata prima Incursione di Destiny, che metteva a dura prova ogni skill di comunicazione: si era spesso divisi in gruppi, talvolta da due altre volte da tre, bisognava essere attenti alle piastre, poi sparare col giusto tempismo a fugaci “oracoli”, utilizzare manufatti, chiamare la pulizia delle zone… insomma se ancora vi riecheggiano nella testa le voci “Venere, no Marte, anzi Venere” sapete che non è sempre facile coordinarsi con altre persone nei momenti più concitati.
Quelli erano anche gli anni in cui far parte di un clan - oltre allo sviluppare un legame con altre persone al di là del gioco - all'interno dei meccanismi ludici corrispondeva a nulla di più di una sigla sotto il proprio nickname. L’incentivo a partecipare a un gruppo organizzato era dato solo dall'impossibilità altrimenti di prendere parte a tutte le attività di fine gioco. Una politica che aveva già attirato le ire di tutte quelle persone che si approcciavano al gioco come lupi solitari, interessati per lo più al PvE e alla campagna.
Un approccio contrario alla natura stessa del titolo che puntava quasi del tutto sul gioco online ma che non poteva comunque essere ignorato perché molto diffuso. Si è dovuto attendere Destiny 2 per l’introduzione delle partite guidate, una soluzione che permette ai giocatori solitari di entrare in contatto con un clan che si prende la briga di aiutare chi non ha i mezzi a completare Incursioni e Cala la Notte. Se un clan volesse fare da guida, è necessario che almeno metà della squadra sia composta da membri dello stesso clan.
Le limitazioni sono necessarie altrimenti non si risolverebbe il problema e non cambierebbe nulla dall'unirsi a giocatori casuali e avviare un’attività senza avere un minimo di conoscenza sul da farsi. Essere sotto la guida di qualcuno che sa cosa fare e soprattutto che ha interesse a trasmetterlo ad altri giocatori, permette ad altri di imparare e incoraggia delle interazioni positive che contrastano la tossicità che spesso prolifera intorno ai videogiochi.
Per avviare un'attività come il raid di The Division 2 insieme ad altre persone, si può ricorrere a strumenti esterni come i forum, Discord, i gruppi Facebook, i thread Reddit, o sfruttare i rifugi presenti nel gioco e i giocatori nei pressi del punto di interesse. Ciò che sta scaldando gli animi non è tanto l’assenza del matchmaking in sé per sé, quanto la sensazione di non sentirsi liberi di accedere ai contenuti di un gioco che si è acquistato. Molti giocatori si lamentano del fatto che avrebbero preferito testare sulla loro pelle se un’attività è troppo difficile, anche magari spendendo ore e ore a sbagliare con sconosciuti.
Ora, per quanto possiate ritenere condivisibili o meno certe visioni a seconda di quale lato della barricata virtuale vi trovate, è davvero difficile credere che si voglia passare tutta la serata tra frustrazione, urla di sconosciuti o silenzi di giocatori che neanche dispongono di un microfono. Senza un sistema che riesca a implementare la ricerca di giocatori con determinate caratteristiche che possono variare dal ruolo preferito o dalla build in uso, dal grado di completamento di determinate attività o chissà quale altra caratteristica funzionale alla buona riuscita del raid, è alto il rischio che si generi solo malcontento che finisca poi per riversarsi sui forum ufficiali e sui social network.
The Division 2 dovrebbe essere un gioco dove tutto il tempo che ho speso al suo interno l’ho speso perché volevo che la build che ho costruito facesse la differenza. È un gioco dove ci si aspetta che al crescere della sfida venga messo a dura prova il mio setup e con la conoscenza acquisita sono in grado di adattarmi alla nuova situazione che mi si presenta davanti. Attualmente non sempre è così, anche a causa di una predominanza di build marcatamente DPS. Sul fronte del bilanciamento il lavoro di Massive è comunque continuo, soprattutto se poi vengono introdotti nuovi pezzi di equipaggiamento o le abilità perdono incisività.
L’assenza del matchmaking in The Division 2 dividerà la community, ma risulta un po’ anacronistico credere che coordinare altri 7 giocatori di fronte a qualcosa di ignoto sia facile come premere un bottone, soprattutto senza la giusta esperienza o una mentalità da gioco di squadra acquisita con il tempo anche in altri giochi che prevedono attività simili. The Division 2 non ha un focus eccessivo sulle meccaniche puzzle come Destiny 2, ma ciò non significa che sia un gioco dove basta sparare spegnendo completamente il cervello. Superare Max “Boomer” Bailey, il primo boss del raid, ha messo in crisi inizialmente tutti coloro che credevano bastasse scaricargli addosso un’infinità di proiettili.
C’è chi è rimasto spiazzato dal fatto che il boss potesse essere attratto da una specifica persona o che effettivamente le torrette nella stanza potessero avere una funzione importante. Prima di capire che si dovesse far fuoco su diverse piastre da una parte per stordirlo e dall'altra per impedirgli la rigenerazione della salute è stato necessario dialogare, darsi i giusti tempi, incoraggiarsi nei momenti di fallimento. È vero che si dovrebbe avere la possibilità di accedere ai contenuti per i quali si è pagato, ma ci sono attività che sono pensate per mettere a dura prova anche i clan più rodati, ed è comprensibile aspettarsi un grado di sfida iniziale che semini il panico tra chi non ha la stessa organizzazione. Potete leggere la nostra guida sulle meccaniche presenti nel raid per aiutarvi a trovare il giusto approccio.
Tra l’avere un matchmaking senza nessun vincolo o restrizioni di sorta - se non il mero numeretto che indica il proprio livello - e non averlo, allora sarebbe meglio non averlo e attendere una soluzione che affronti il problema da una prospettiva nuova. L'attuale sistema di matchmaking presente in The Division 2 si è rivelato un ottimo strumento per affrontare le missioni della campagna o la buona riuscita delle taglie, dove comunicare con gli altri non è così essenziale come farlo in un raid. La necessità per tutti di avere un microfono, parlare la stessa lingua e pianificare l'equipaggiamento prima del tempo richiede però un metodo diverso dal semplice unirsi e proseguire dritti fino a un indicatore.
Attualmente quindi non troverete il matchmaking per Operazione Cuore della notte in The Division 2 ma Massive ha dichiarato che lavorerà a una soluzione che renda meno dolorosa la partecipazione alle attività endgame, cercando un rimedio che risulti adeguato e non generi frustrazione, e che permetta al tempo stesso un abbinamento di giocatori consono a quelle che sono le necessità dei rispettivi membri della squadra. Non sappiamo ancora che modello di matchmaking sarà adottato, magari si può optare per un sistema come le partite guidate di Destiny 2 o, meglio ancora, sullo stile del Raid finder di World of Warcraft dove non conta solo il livello e la difficoltà viene adeguata affinché il Raid possa essere affrontato da gruppi meno organizzati.
È un passo importante prendere coscienza di un sistema che aiuti a far integrare i giocatori “casuali” che hanno la voglia di mettersi in gioco piuttosto che emarginarli. Una community cresce nel momento in cui chi vi partecipa apporta un contributo positivo, non dove si alzano muri e barriere così da lasciare indietro chi ha già difficoltà di accesso. Voi cosa ne pensate? Siete rimasti delusi dall'assenza del matchmaking o ritenete che l'attuale matchmaking proposto per le altre attività non si sarebbe ben integrato negli ingranaggi del raid? Fateci sapere le vostre esperienze nei commenti.
Non avete ancora provato The Division 2? Potete acquistarlo a questo link.