The Caligula Effect: Overdose - Recensione della versione PlayStation 5

Finalmente possiamo parlarvi nel dettaglio di The Caligula Effect: Overdose

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a cura di Marco Patrizi

Editor

Nel sottobosco meno blasonato del mercato videoludico ci sono titoli interessanti che nel loro piccolo riescono a proporre delle buone idee ed esperienze uniche. Ma ce ne sono anche diversi altri che si reggono su un concept solo potenzialmente buono, a cui però non è stata dedicata abbastanza cura in fase di sviluppo per potersi davvero dire riusciti. L’anno scorso abbiamo visto come Monark era riuscito solo in parte a creare una valida commistione tra atmosfere liceali e RPG tattico (trovate la nostra recensione qui), ma mostrava problemi di bilanciamento e palesi limiti sia creativi che di budget.

Ben più modesto risultato ottenne il team di Aquria già nel 2016, quando aveva cercato di rincorrere il successo della serie di Persona affidando la sceneggiatura di The Caligula Effect proprio a Tadashi Satomi, scrittore del primo Persona e dei due capitoli di Persona 2. Nonostante il nome autorevole avesse richiamato una certa attenzione, il gioco uscito su PlayStation Vita non si rivelò granché. Tuttavia il publisher FuRyu non demorse e ne produsse un anime e un sequel.

Nel 2019 il gioco originale è persino approdato su PlayStation 4, Nintendo Switch e PC. Intitolato The Caligula Effect: Overdose, questa riedizione riveduta e corretta (poco) arriva ora anche su PlayStation 5. E direi che a questo punto possiamo cominciare a parlare di recidività.

La storia si svolge in un Giappone di un futuro prossimo, dove una vocaloid di nome µ (pronunciata come la lettera greca) dotata di intelligenza artificiale ha deciso di aiutare delle persone che soffrono di traumi psicologici o sofferenza emotiva in generale, a modo suo. Ella ha soppresso loro la memoria e ne ha trasferito le coscienze in una simulazione, un mondo virtuale chiamato Mobius dove tutti vivono una perenne vita nei panni di studenti liceali. La idol virtuale sembra sinceramente mossa da buone intenzioni, ma resta il fatto che queste persone sono sostanzialmente prigioniere di questa simulazione.

Alcuni studenti, però, prendono coscienza del fatto di non trovarsi nel vero mondo e si organizzano nel Go-Home Club con l’obbiettivo di tornare alla realtà. Per farlo dovranno affrontare gli Ostinato Musicians, un gruppo di seguaci di µ che invece non vogliono tornare nel mondo reale, ma che anzi si prodigano a mantenere il controllo di Mobius.

Se avete una certa dimestichezza con qualche opera giapponese avrete già individuato diversi elementi ricorrenti. La realtà virtuale, l’essere imprigionati in un ambiente controllato da regole imposte, studenti liceali che combattono tra di loro, il club di dissidenti... tutti principi narrativi che certamente non brillano per originalità.

Una delle note positive è che la storyline può essere influenzata dalle nostre azioni e giungere così a uno dei diversi finali disponibili. La versione Overdose, poi, ha aggiunto alcuni nuovi personaggi e dà anche la possibilità di intraprendere la storia come uno degli Ostinato Musician, il che aggiunge una prospettiva interessante, se non fosse che il tutto si traduce nel ripetere gli stessi dungeon per mettere i bastoni tra le ruote ai membri del Go-Home Club e un finale davvero molto debole.

L’aspetto potenzialmente interessante della narrativa è che affronta diversi disagi emotivi e psicologici. Sotto la facciata di semplici liceali, i residenti di Mobius sono persone dal tragico passato che soffrono nel mondo reale per via di scarsa autostima, crisi di identità, bullismo, disturbi alimentari e così via. È possibile approfondire la relazione con i vari personaggi tramite i Character Episodes, che sono sostanzialmente la versione del gioco dei Social Link/Confidant di Persona; purtroppo però solo alcuni dei personaggi sono ben caratterizzati o interessanti, mentre la gran parte degli altri sono fortemente stereotipati e scritti male.

Quel che è peggio è che alcuni temi psicologici di spessore che li riguardano sono affrontati in modo davvero superficiale. Quando si tratta di coinvolgere tematiche di tale spessore è necessario farlo con una certa profondità di veduta e grande tatto, non basta buttarle in mezzo alla trama per dare colore ai personaggi.

Oltre ai personaggi principali, The Caligula Effect: Overdose punta su una quantità di NPC fuori dal comune con cui fare amicizia e gestire con il Causality Link System. Stiamo parlando di oltre 500 personaggi, le cui reciproche relazioni sono organizzate visivamente in uno schema. Tale sistema mi è sembrato però più una lungaggine inutile che qualcosa di valido, dato che nessuno degli NPC esibisce dialoghi interessanti, molti sono sin troppo simili tra loro, le missioni a loro legate sono di una noia mortale e le ricompense, proprio in virtù del loro alto numero, sono esigue. È un sistema che fa la differenza solo se si accumulano numerose missioni, quindi inevitabilmente dà l’idea di essere creato per allungare artificiosamente la longevità, senza però essere divertente.

L’aspetto più riuscito è probabilmente il combat system, che aggiunge alla normale successione di turni una dimensione tattica diversa dal solito. Ogni personaggio ha a disposizione tre azioni, che possono essere attacchi, abilità varie o anche spostamenti nell’arena di gioco. Tra l’una e l’altra, però, gli avversari non rimarranno fermi, ma reagiranno a seconda delle nostre azioni. Prima di confermare la scelta, il sistema Imaginary Chain ci mostra un’anteprima di quello che succederà, e quindi permetterci eventualmente di aggiustare la nostra tattica. Ad esempio, dopo un primo attacco potremo scegliere di spostarci per evitare un contrattacco nemico. È anche possibile lanciare in aria il nemico e creare delle juggle di attacchi con gli altri personaggi del party.

Si tratta di un buon sistema, che permette di giocare con le diverse opzioni per cercare il risultato migliore. Ogni turno dà l’idea di comporre diverse clip video per montare un cortometraggio ideale. C’è anche da dire che la comodità dell’Imaginary Chain ha però anche l’effetto collaterale di allungare parecchio gli scontri.

Senza girarci troppo attorno, tecnicamente The Caligula Effect: Overdose è piuttosto scarso. Pur tenendo conto che si tratta di una conversione di un gioco per PS Vita, il suo aspetto grafico è francamente imbarazzante. Il livello di dettaglio dei modelli poligonali e le loro animazioni al minimo sindacale provocano déjà vu dell’epoca PlayStation 2, e questo porting per l’ultima console Sony non fa che evidenziare ulteriormente l’anacronismo generazionale. Non perché giri male, ma perché semplicemente ci si chiede cosa ci faccia un titolo del genere su PlayStation 5, considerando l’assenza di nuovi contenuti.

Anche l’aspetto delle ambientazioni è estremamente deludente. Sebbene siano presenti diverse location, si riducono tutte a dungeon dagli stretti corridoi. Il design piatto e monotono non aiuta a orientarsi per l’esplorazione e persino gran parte dei nemici hanno un aspetto ripetitivo e poco interessante.

Il comparto sonoro, dal canto suo, fa una buona figura grazie alla collaborazione con diversi artisti giapponesi. Ogni dungeon ha il suo tema musicale unico che passa fluidamente da una versione strumentale durante l’esplorazione alla versione cantata durante le battaglie, per poi esplodere in remix speciali in occasione dei boss. Certo, ascoltare lo stesso motivo sia per l'esplorazione che per il combattimento contribuisce alla ripetitività, ma la qualità è buona, soprattutto se apprezzate il genere j-pop.

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