Tchia | Recensione - Un viaggio per ritrovare noi stessi
La nostra recensione di Tchia, il nuovo videogioco del team indipendente Awaceb, al suo secondo videogioco.
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a cura di Nicholas Mercurio
Cosa si potrebbe mai raccontare su un luogo? È una domanda che spesso, andando in giro per il mondo, mi sono posto tante volte. Andando in Francia, a Strasburgo, ho trovato abitazioni con tetti sgargianti e colorati, di dimensioni strane e particolari. Ad Atene, qualche anno fa, mi sono imbattuto nel Partenone studiato al liceo e poi, invece, sono andato in Marocco, perdendomi fra le dune calde del deserto.
Non pensavo sarei mai andato in Nuova Caledonia, e non pensavo che avrei scoperto una cultura in grado di sorprendere e dare un significato alla vita. Di Tchia, d’altronde, ne avevo parlato qualche settimana, vivendo per qualche ora quanto di meglio aveva da offrire il videogioco di Awaceb, il team di sviluppo che ha scelto la propria terra natia per raccontarsi, mostrando uno spaccato interessante che riguarda chiunque, soprattutto chi non dà peso alle piccole cose, ma si concentra sul materiale, non dando effettiva importanza a cosa c’è di realmente rilevante attorno a lui e a cosa potrebbe offrire ben più del classico viaggio da intraprendere per trovare sé stessi.
In The Beach, film di successo con protagonista Leonardo Di Caprio, un ragazzo americano partiva per l’ignoto con la certezza di trovare un significato alla vita e alla felicità. Per capirlo, dopo aver bevuto del sangue di serpente ed aver interagito con un losco figuro chiaramente impazzito, si era successivamente gettato a capofitto nel mistero, trovando dentro di esso una mappa che conduceva a un’isola lontana dalla società. Nonostante sia un parallelismo coraggioso, l’arcipelago della Nuova Caledonia, lontano solo dodici ore di volo dall’Italia, mantiene quel fascino non solo per impressionare il giocatore, ma per renderlo partecipe di un contesto.
Awaceb, come ho già accennato in precedenza nell’articolo d’anteprima, è un team che ha studiato a lungo in Canada, seguendo percorso coraggioso. È l’esempio palese di cosa significhi andare all’estero, imparare il meglio che si può e poi tornare a casa per migliorarla, dandole importanza. È quanto ha fatto il team trapiantato attualmente nell’arcipelago, che ha scelto di sviluppare Tchia a contatto con la natura, fra le palme e l’acqua cristallina, abitata da meduse, sgombri e delfini. La Nuova Caledonia è un paradiso terrestre. Se per una volta in vita vostra vi siete sentiti come Johnson McCandless, in arte Alexander Supertramp, significa che, guardando l’orizzonte da un dirupo, avete sorriso come se vedeste di fronte a voi le stesse porte a cui ha bussato Bob Dylan in Knocking of Heaven’s Door, e che davanti a voi si è aperto uno scenario unico nel suo genere, che in ogni cellulare, microrganismo e molecola rappresenta quella cosa strana chiamata vita. Ed è davvero strana, se si pensa a quante vicende essa possa offrire a chi non si rende conto di essere di passaggio, un filo d’erba su altri fili d’erba in un prato ricoperto da triliardi di fili d’erba che poi danno origine a ulteriori fili d’erba.
Secondo Awaceb, però, ogni filo d’erba ha un’importanza. In un modo del tutto strano, lo faceva capire Zerocalcare, che pensa sia rassicurante esserlo. E Tchia, una bambina qualunque, pensa che il mondo sia proprio così. Una favola non inizia mai nel mondo in cui ci aspetteremmo e non finisce con un finale totalmente lieto, perché la vita è questa. Tchia lo fa capire sin dal primo momento, mostrando con coraggio un contesto degno di nota, e raccontandolo con passione e precisione. Un chiaro messaggio alla speranza, a un sogno che parte come un racconto dolce e poi invece si dimostra molto altro. Un racconto che, a mio parere, farebbe ingelosire lo stesso Leonardo Di Caprio. Una bambina, i paesaggi incontaminati della Nuova Caledonia e uno strano potere. Cosa potrebbe andare storto?
C’era una volta Tchia, una bambina che…
Tutto inizia attorno al fuoco. Come ogni storia che si rispetti, c’è un falò. Le fiamme riflettono sulle rocce, mentre il vento sposta le palme, minacciando di far cadere delle palme. È un luogo come un altro, ma probabilmente unico per chi ci vive: è un campo adibito per gli orfani che non possono contare su nessuno. A prendersi cura di loro, però, c’è un’anziana dolce e premurosa che ogni sera racconta loro una storia sulle tradizioni della Nuova Caledonia. Stavolta tocca alla leggenda di Tchia, una bambina che, stando al racconto, era dotata di un antico e potente potere capace di entrare in sintonia con la natura.
Il racconto, in seguito, si sposta proprio sulla ragazzina. È vivace e dolce, poco incline a parlare con gli sconosciuti e a intrattenere dialoghi poco interessanti e scontati. È con suo padre che passa il tempo, un uomo risoluto che vive alla giornata e cura l’isolotto mentre pensa a procacciarsi del cibo e a sistemare il loro luogo felice. Tutto sembra tranquillo e intoccabile, finché l’ennesimo cattivo di sorta, un uomo crudele al servizio di una spietata entità che sta prosciugando l’essenza stessa della Nuova Caledonia, fa capolino e rapisce il padre. Tchia, salvata da Tre, un amico di famiglia, non può fare altro che seguire il suo destino e salvarlo prima che sia troppo tardi. Nonostante sia un contesto classico, la storia di Tchia colpisce al cuore, proponendo un approccio già visto in tante produzioni cinematografiche e videoludiche. Le ispirazioni a cui mi riferisco riguardano il panorama dell’animazione Disney Pixar, fondamentale per la maturità di tante produzioni e per la crescita in generale di qualunque studio di sviluppo che sceglie un approccio del genere. È capitato in passato con Kena: Bridge of Spirits, una produzione di assoluto successo che ha incantato una nutrita cerchia di giocatori.
Anche se non posso rivelarvi molto sulla storia, sappiate che la trama di Tchia, ricca di spunti e tematiche trattate in modo magistrale e caratteristico, è ottima sotto molti aspetti. Il più importante riguarda la protagonista dell’avventura, che avanza per la Nuova Caledonia stringendo amicizie, facendo nuove conoscenze e imparando di più sulla realtà in cui è nata e cresciuta. Tchia, oltre a essere un personaggio incantevole e ben scritto, dimostra un’intelligenza rara e non da tutti. Nel suo percorso, infatti, avrà a che fare con molteplici sfide e nemici di ogni genere, che non vorranno altro che impedirle di essere felice e di andare avanti con la sua vita. Awaceb, scrivendo del mondo di gioco, ha cercato di rendere reale ogni elemento attraverso uno studio approfondito del drehu, la seconda lingua locale, delineando con passione ogni particolarità riguardante la vita stessa dei vari comprimari che la piccola incontra sul suo cammino. Il team, inoltre, ha utilizzato un linguaggio chiaro e semplice per chiunque intenda interfacciarsi con la produzione.
Tchia, infatti, è un videogioco pensato per i più piccini, ma non solo. È un grande merito proporre un videogioco che includa tutte le fasce d’età, specie se qualcuno è interessato a interfacciarsi con il panorama e non ha per nulla idea da dove cominciare. In tal senso, Tchia potrebbe rappresentare una scelta ottima per spingere le future generazioni a scoprire i videogiochi senza correre troppo con produzioni impegnative. Come accennavo prima, Tchia è una favola raccontata per chi ha voglia di sognare e si è dimenticato di farlo. Poteva limitarsi a raccontare soltanto la Nuova Caledonia, le sue tradizioni e leggenda ma, al contrario, si è dimostrato ben più di un viaggio turistico in una terra lontana del tutto ancora inesplorata. Se partire per Tchia è necessario e fondamentale, invece per chiunque desideri non guardarsi indietro, godersi un’esperienza e perdersi fra le palme e le acque luccicanti della Nuova Caledonia potrebbe essere il miglior viaggio in assoluto da fare in questi primi giorni di Primavera.
Un mondo aperto, una fionda e tanto coinvolgimento
Tchia è un’avventura sandbox a mondo aperto con caratteristiche da avventura dinamica. Abbraccia un’ottima visuale tridimensionale in terza persona assolutamente ben gestita, non proponendo un sistema di combattimento come altre di questo calibro. Ispirandosi a videogiochi come The Legend of Zelda: Breath of the Wild, Tchia è un grande insieme di opere già viste. Sebbene possa sembrare un dettaglio negativo, invece si dimostra il suo maggiore punto di forza. Il mondo aperto, uno dei più vasti che mi sia capitato di visitare, è ricolmo di attività secondarie nonché collaterali, capace di intrattenere e coinvolgere in modo positivo.
Armata di fionda, tanto coraggio e dei suoi poteri dell’anima, Tchia può interagire con qualunque oggetto le capiti a tiro, e può persino prendere possesso del corpo degli animali. Quando dicevo che è capace di entrare in sintonia con le creature dell’arcipelago, non scherzavo affatto: può prendere possesso del corpo di un cervo, muoversi come un delfino e volare via nei panni – o nelle piume – di un gabbiano. Tornando al sistema di combattimento, e mi riferisco all’utilizzo della fionda, mi sarei aspettato una maggiore cura attenzione sul suo utilizzo, magari inserendo dei potenziamenti dedicati e dei miglioramenti come accade con altre produzioni.
A scricchiolare, nonostante un game design buono e appagante, è invece la gestione del mondo aperto. Il mondo di gioco, pieno zeppo di punti d’interesse, offre numerose attività secondarie come la corsa, utile per aumentare il vigore e le abilità dedicate al Salto dell’Anima, l’implementazione certamente migliore della produzione. La gestione dell’open world, però, è caratterizzato da un problema comune con altri prodotti che implementano questo elemento di gioco: Tchia, proprio come Ezio o qualunque altro protagonista di Assassin’s Creed, sincronizza la sua posizione per sbloccare in questo modo elementi altrimenti celati per raggiungerli in seguito con facilità. Niente di grave, sia chiaro, ma mi sarei aspettato qualcosa di ben diverso sotto questo aspetto, proprio per differenziarsi dalla magnifica serie creata da Ubisoft e Patrice Désilets.
Al netto di queste sbavature, la struttura di gioco convince per la sua leggerezza e il suo ritmo, non esagerando né prendendosi tuttavia ulteriori rischi, risultando in realtà lineare e ben implementata. L’utilizzo dell’ukulele, uno strumento utile sia per intrattenersi ai falò quanto per far avanzare le ore del giorno, accompagna una struttura di gioco che appaga e allieta, pur non prendendo rischi.
Sotto il profilo ludico, nonostante qualche mancanza relativa alla progressione, Tchia spinge il giocatore ad affrontare sfide di qualunque genere per sbloccare dei capi cosmetici e tanti altri supplementi, come quelli dedicata alla zattera, una compagna di viaggio da non sottovalutare perché consente di muoversi agilmente fra le isole senza nuotare o correre da una parte all’altra, prendendo ulteriore tempo. In alternativa, si può sempre usare il viaggio rapido dei moli, dei luoghi fondamentali per migliorare la nave, cambiandole il colore delle vele e molto altro ancora.
Tchia cattura un sistema di gioco già rodato, rendendolo comunque godibile e coinvolgente, concentrandosi totalmente sull’esplorazione e la narrazione, i reali punti di diamante dell’opera di Awaceb. Se nell’ultimo caso il team ha confezionato una storia intensa, nel primo invece ha proposto qualcosa di straordinario e inaspettato, garantendo moltissime ore al suo interno. Una volta conclusa la storia principale, non certamente longeva come qualcuno si aspetterebbe, c’è poi la possibilità di esplorare ogni angolo dell’arcipelago, dedicandosi ad attività di qualunque genere come la lotta ai perfidi nemici di Tchia.
Non c’è viaggio migliore che fatto con qualcuno
È un pensiero comune, quello di non viaggiare da soli. A volte, però, non si ha qualcuno al proprio e tocca arrangiarsi, magari incontrando qualcuno sul proprio cammino intenzionato a viaggiare in compagnia. Esplorare la Nuova Caledonia attraverso gli occhi di Tchia è stata un’esperienza magica e fantastica, perché mi ha trasportato in una terra che ignoravo e di cui non conoscevo nulla. Sul lato tecnico non abbiamo nulla da eccepire, tant’è che abbiamo solo da lodare il comparto grafico, trattato in modo egregio dal team come la direzione artistica, il fiore all’occhiello dell’opera.
Se avete viaggiato e non sapete cosa c’è oltre l’orizzonte, Tchia potrebbe essere il videogioco giusto per ritrovarvi. La sua reale sfortuna, purtroppo inevitabile, è uscire in concomitanza di Resident Evil 4 Remake e, in generale, in un periodo particolarmente saturo di nuove produzioni. Tchia può comunque trovare un suo spazio, riuscendo a incantare chiunque abbia voglia di partire e non guardarsi indietro. A volte serve un po’ di magia, spesso una bella storia e in altre occasioni, invece, soltanto serenità. In Tchia è difficile non trovarne.
Voto Recensione di Tchia - PlayStation 5
Voto Finale
Il Verdetto di Tom's Hardware
Pro
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Una storia intensa e commovente, misurata e attenta
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Un videogioco pensato per tutte le età
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Una struttura di gioco ben implementata
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Suonare l'ukulele regala sempre emozioni di ogni genere
Contro
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Qualche inciampo ludico dovuto a troppe ispirazioni
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Un sistema di combattimento poco approfondito
Commento
In definitiva, Tchia è un videogioco appassionante, coinvolgente e toccante. Forte di una storia in grado di commuovere, l'opera di Awaceb è sorprendente. Parlare della propria terra, della sua cultura e dei tanti segreti al suo interno non è da tutti, soprattutto da chi cerca di raccontare qualcosa in un panorama a volte complesso. La struttura di gioco, al netto di qualche piccola certezza, riesce in ogni caso a soddisfare e a convincere. La Nuova Caledonia mi mancherà.