Lo Spazio è in continuo mutamento, in perpetuo cambiamento e in totale estensione. Quando si parla di Space Invaders, diciamocelo, tutto quanto raggiunge delle connotazioni del tutto speciali e inaspettate, perché le chiavi di lettura sono molteplici. Se nell'insieme aggiungiamo pure che l'opera creata da Tomohiro Nishikado si è ispirata a Star Wars, a Brekaout e a The War of the Worlds, il discorso si fa ancora più interessante, specie se riflettiamo sul retrogame e la sua funzionalità in un mercato così esteso e complesso come quello dei videogiochi.
Se Tetris incastrava i mattoncini per capire come collegare la società a nuove visioni in grado di sorprendere e coinvolgere il mondo sotto diverse luci e ombre, dall'altra Space Invaders arrivava sul mercato sottolineando quanto i videogiochi fossero la nuova frontiera dell'intrattenimento. In Giappone, che all'epoca era dieci passi avanti rispetto agli Stati Uniti, il videogioco era dappertutto, soprattutto a Shibuya, il magnifico quartiere divenuto iconico grazie a opere targate Square Enix come The World Ends with You o a produzioni Atlus come Persona 5, il capolavoro che parla al cuore dei giocatori facendoli entrare letteralmente all'interno di un contesto affascinante.
Chi è Tomohiro Nishikado?
Sarebbe sciocco fare parallelismi con queste due produzioni, considerando il grande impegno da parte dei due studi per portare i videogiochi a un nuovo livello culturale in grado di sorprendere. Le ultime produzioni, se ci pensiamo, sono figli di progetti eterni come Space Invaders che ancora fanno parlare di sé e sembrano non invecchiare mai, entrando inevitabilmente nella ludoteca dei videogiochi più rilevanti della storia. Tomohiro Nishikado, attualmente, ha compiuto da poco settantanove anni: è da considerare a tutti gli effetti uno dei più vecchi sviluppatori del panorama videoludico internazionale. Al tempo, peraltro, non intendeva neppure diventare game designer. Il suo obiettivo era inseguire un lavoro sicuro inerente al suo percorso di studi.
Quando venne assunto da Taito Corporation, si dedicò per diverso alla creazione di videogiochi elettromeccanici, per poi interfacciarsi con i videogiochi arcade soltanto nel 1972. Realizzò da solo Soccer, per poi dedicarsi a Space Invaders, con la data di pubblicazione fissata al 1978. Lo sviluppo, però, iniziò già da diverso tempo: le intenzioni del game designer erano già chiare dentro Taito e l'azienda, supportandolo e assistendolo, gli confermò la fiducia necessaria e gli fornì i mezzi per creare l'opera.
Nel frattempo, Tomohiro Nishikado sviluppò altre produzione e confermò di essere un talento vero e proprio. Insomma, il meno interessato a divenire un game designer diventò, a sua volta, una punta di diamante di Taito Corporation. Nonostante le premesse e l'ottima visione del team nipponico, nessuno si sarebbe mai aspettato che Space Invaders sarebbe divenuto così importante e vitale nel panorama dei videogioco, tanto da diventare anche un simbolo della cultura pop in diversi film e serie televisive. Le storie migliori, d'altronde, sono quelle che iniziano per caso: quella di Space Invaders è decisamente una delle più curiose e divertenti che io abbia mai letto, perché lo stesso Tomohiro Nishikado avrebbe mai pensato che il suo videogioco sarebbe andato ben oltre il Giappone, solcando le acque del Pacifico per diffondersi negli Stati Uniti e, in seguito, pure in Europa.
Questa storia parte da un cabinato arcade di Osaka: immaginate di essere usciti da scuola, di aver camminato per due chilometri per prendere il tram e scendere a Namba, uno dei quartieri della movida locale e dello svago. Non avete voglia di studiare ma solo di giocare, e di farlo nello Spazio contro innumerevoli navi aliene che minacciano la Terra. Sembra un film, e in qualche modo lo è: siete i protagonisti di una nuova avventura. Siete felici.
La storia dall'infinito e oltre
A detta di Tomohiro Nishikado, lo sviluppo iniziò subito dopo Breakout, un videogioco clone di Arkanoid che al tempo aveva conquistato una nutrita cerchia di appassionati. Al suo interno si sparava e basta addosso ai nemici e non si compievano altre scelte, e fu il game designer giapponese il primo al mondo a implementare un conflitto a fuoco in cui i bersagli non erano solamente modelli da colpire e basta. Provò quindi a creare avversari mai immobili e in costante movimento, riuscendo al contempo a tratteggiare delle astronavi, delle navicelle e altre connessioni tipiche del genere sci-fi per renderli oltremodo verosimili.
Inizialmente provò a inserire degli uomini, scelta che però non piacque ai vertici di Taito e fu costretto a inserire degli alieni, pronti a invadere la Via Lattea e a conquistare la Terra. L'altra ispirazione, che contribuì in modo decisivo allo sviluppo, fu direttamente da La Guerra dei Mondi. Gli invasori alieni dovevano essere simili ai Tripodi raccontati dallo scrittore H.G Wells, e le uniche creature sul pianeta Terra che avevano sembianze analoghe erano i calamari, i crostacei e altre creature degli abissi marini. I design preliminari, specie sui cabinati arcade, raffigurano bestiole antropomorfe pronte a uccidere chiunque capitasse sul loro cammino. Ora, immaginate uno schermo vuoto: quello è lo Spazio.
La Via Lattea è in fiamme e l'unica arma che separa la Terra dagli alieni è un cannone a lunga gittate capace di perforare le difese nemiche. Se per l'epoca era una struttura di gioco inedita e unica, adesso rappresenta l'origine di tutto. Il game design di Space Invaders, concentrato unicamente sulla reattività dei giocatori e il movimento nello spazio composto da una linea in verticale, ha fatto decisamente scuola ed è l'esempio perfetto di cosa significhi realizzare con semplicità una produzione e farla arrivare ai giocatori. Non era un'impresa semplice, specie se si considera l'epoca in cui è stato pubblicato Space Invaders e cos'ha significato la sua diffusione negli Stati Uniti e in tutta Europa. Se distrutte le navicelle bonus, che consentivano di raggiungere un punteggio più alto, chiunque poteva sentirsi indistruttibile. Space Invaders basava la sua profondità ludica sui colpi verso i bersagli, la loro distruzione e il movimento in orizzontale per impedire di essere totalmente disintegrati.
Il cannone era un'arma potente, tanto potente, ed era protetto da bunker capaci di impedire alle navicelle nemiche di raggiungerlo e distruggerlo. Intanto che questo avveniva, prendendo le dovute contromisure del caso, il giocatore poteva concatenare attacchi veloci e sfuggire ai colpi degli avversari. Insomma, immaginatevi di posare le mani sui tasti di un cabinato arcade e cominciare a distruggere navicelle aliene che tentano di raggiungere la Terra senza però ottenere grandissimi risultati. Quando si otteneva un risultato, le creature si facevano più coriacee, forti e reattive, tanto da mettere alle strette il giocatore, costretto spesso a muovere le mani rapidamente. Perdere era inevitabile ma, a differenza di Tetris, la vittoria era sicuramente possibile.
In Space Invaders non si massimizzava il risultato, bensì se ne faceva beffa. Lo scopo non era solamente ottenere punteggi più alti, ma impedire agli alieni di arrivare alla Terra. L'opera Tomohiro Nishikado, oltre ad avere un'impronta storica significative nel panorama videoludico, ha un'importanza strutturale in termini di game design che tante produzioni odierne non possiedono. Approfittando del contesto spaziale, che all'epoca era ancora un mistero e dopo lo sbarco sulla Luna da parte degli americani in tanti si erano affascinati agli astri, lo sviluppatore nipponico ebbe l'intuizione giusta che gli consentì di creare una leggenda inaspettata.
Space Invaders è l'esempio perfetto di cosa significhi sfruttare le tecnologie dell'epoca e unire al contempo una visione estesa del panorama, che ancora doveva raccontare tanto di sé. Sapevate, inoltre, che Space Invaders fu il primo videogioco in assoluto ad adottare una colonna sonora nelle fasi di battaglia? A questo punto direi che l'opera di Tomohiro Nishikado può essere avvicinabile a opere letterarie come La Commedia, il massimo comune denominatore della letteratura italiana.
Lo sviluppo in termini produttivi, tuttavia, non fu semplice: il game designer giapponese fu costretto a progettare un hardware dedicato unicamente al gioco, qualcosa che poteva mettere la produzione a rischio. Concentrò ogni sua energia sulla difficoltà, dichiarando qualche anno dopo che l'opera realizzata non era propriamente uscita come aveva originariamente immaginato. Al netto del successo straordinario in tutto il mondo, Tomohiro Nishikado è sempre stato un game designer umile e moderato, che si è dedicato anima e corpo all'industria dei videogiochi riuscendo a proporre qualcosa di mai visto e provato prima di allora.
Space Invaders rappresentava il sogno impossibile per chiunque, al tempo, era appassionato delle produzioni sci-fi e si era perso nel campo etereo della Forza di George Lucas, immaginando di brandire una spada laser o far parte della distruzione della Morte Nera com'è avvenuto con Una Nuova Speranza, il primo capitolo della Trilogia Classica. Qualche tempo dopo, tuttavia, Atari arrivò e ne raccolse la preziosa eredità, divenendo uno dei videogiochi più venduti sulla console della casa californiana.
Space Invaders tra sogno, cloni e leggende metropolitane
Se da un grande potere deriva un sacco di responsabilità, allora Space Invaders è l'opera che più di tutte incarna la filosofia di vita di Spider-Man. O meglio, di sicuro Tomohiro Nishikado non si aspettava che qualcuno racchiudesse così tante storie dopo la pubblicazione del suo videogioco, e non credeva che questo successo giungesse così lontano, tanto da essere ricordato con targhe e monete commemorative. Dei videogiochi dedicati a Space Invaders, inoltre, se ne contano ben venticinque (compreso lo stesso Space Invaders, ovviamente), oltre a innumerevoli cloni non autorizzati come Alien Invasion.
Space Invaders, tuttavia, diventò così importante da spazzare via questa concorrenza a tutti gli effetti sleale, diventando un fenomeno non solo unico nel panorama dei videogiochi, bensì rilevante nel tessuto della cultura pop. Diventare una leggenda non è da tutti, e farlo in questo modo, partendo da una sala giochi di Osaka per approdare a Los Angeles e anche oltre, mette in luce quanto produzioni di questo calibro siano le migliori in assoluto per approfondire accuratamente il game design, una materia spesso sottovalutata da tutti.
Se Pepsi, la conosciutissima azienda di bibite gassate concorrente della Coca-cola sviluppò un omaggio all'opera di Tomohiro Nishikado, significa che si sta parlando di un momento così tanto felice da essere intinto nell'albo d'oro dei videogiochi. Si racconta, inoltre, che le monete da cento yen fossero letteralmente introvabili perché tutti giocavano a Space Invaders e si erano esaurite. Ora, non se sia effettivamente accaduto, ma una storia di questo tipo è del tutto possibile, considerando i dati di vendita della produzione e l'approdo sulle console casalinghe nel 1995.
Il mito di Space Invaders, il videogioco che prima di tutti si ricordò di essere tale, rappresenta una storia di successo che, a differenza di molte altre, ha cambiato distintamente cambiato il panorama e portato il medium a essere quello che è oggi. C'è un prima e un dopo Space Invaders, infatti, che non viene mai effettivamente raccontato nel modo adeguato, poiché ricco di sfumature e sfaccettature. Tomohiro Nishikado, a quasi ottant'anni, è il game designer che non voleva essere game designer, ma che si è ritrovato a esserlo, appassionandosi a quei pixel, agli alieni antropomorfi e alle sue navicelle che sfrecciano nel Cosmo. Prima di chiunque altro, e mi piace pensarla così, è salito a bordo della sua DeLorean e ha immaginato il futuro dei videogiochi. In quel suo presente, però, serviva qualcosa che smuovesse gli animi e le menti dei giocatori, oltre che i loro dollari e yen. Space Invaders alimentò la passione di tutti.