Soulstice è uno dei progetti più interessanti dell'attuale produzione videoludica, non solo italiana. In redazione è sicuramente tenuto molto d'occhio e, se ancora non avete avuto modo di informarvi su che tipo di gioco si tratta, potete leggere i nostri resoconti della prima build e successivamente della demo rilasciata lo scorso agosto.
A pochi giorni dalla data di uscita, abbiamo avuto l'occasione di rivolgere alcune domande ai talentuosi ragazzi di Reply Game Studios, che si sono dimostrati ben disposti a soddisfare le nostre curiosità.
Game Division: Rispetto ai vostri primi titoli, Joe Dever’s Lone Wolf e Theseus, Soulstice sembra chiaramente un progetto di ben altro livello, oltre. Da quante persone è costituito il team di sviluppo di Soulstice e quanto questo progetto ha contribuito alla crescita dello studio?
Reply Game Studios: Soulstice ha segnato sia un’evoluzione che un nuovo inizio per noi. Da un lato, sapevamo che per sviluppare questo titolo avremmo avuto bisogno di espandere e consolidare lo studio. Dall’altro, Soulstice era il progetto giusto per attirare l’attenzione di tanti professionisti, desiderosi di mettersi alla prova con un progetto di questo stile e questa scala in Italia. In ogni caso, quando abbiamo pubblicato Theseus nel 2017, eravamo in 13. Da quel momento abbiamo avviato un processo di reclutamento che, nella fase più intensa della produzione di Soulstice, ci ha portato ad avere 50 persone nel team. A queste va sommata una ventina di esterni che si sono occupati di varie attività a stretto contatto con noi, dalle sequenze cinematiche al comparto audio.
GD: Nonostante l’etichetta malriposta da alcuni, è chiaro che Soulstice non è un soulslike ma un character action. Ci sono dei titoli “totem” a cui siete affezionati in particolare e che vi hanno ispirato nella costruzione del suo gameplay?RGS: Non è un segreto che per sviluppare Soulstice ci siamo ispirati ai capisaldi del genere character action, specialmente Devil May Cry e Bayonetta, ma per vari aspetti, anche Nier: Automata. Per tutti noi è stato molto importante “studiare” e imparare il più possibile da queste fonti di ispirazione. Del resto, si tratta di un genere fondato su regole ben consolidate, per cui gli appassionati hanno delle aspettative piuttosto chiare da soddisfare. Oltre a questo ovviamente c’è di più, ma ne parleremo più avanti.
GD: In questi tempi c’è l’impressione che il genere degli action “puri” stia venendo meno battuto in favore di action-RPG di vario tipo. Attualmente il genere è mantenuto saldo da pochi studi di spicco, come Ninja Theory e Platinum Games. Quali sono le vostre impressioni in merito? Pensate che questo fenomeno sia da ricondursi alla complessità di creare un action game moderno, o magari a una certa saturazione della formula hack and slash?
RGS: Sembra che negli ultimi anni il genere soulslike abbia monopolizzato l’attenzione di tanti studi di sviluppo, più che della comunità dei giocatori. Per certi aspetti si tratta di una tendenza, di una moda, perché sviluppare un soulslike non è sicuramente più semplice che affrontare un progetto di un genere come il nostro. Di conseguenza, non parleremmo di saturazione nell’ambito dei character action, anzi. Uno dei motivi per cui ci siamo mossi in questa direzione è proprio il fatto che non ci siano molti giochi di questo tipo sul mercato. Se da un lato dobbiamo confrontarci con dei mostri sacri, dall’altro si tratta di prodotti di alta qualità ma dalla scala tutto sommato contenuta, con un certo margine di manovra tra un’uscita e l’altra.
GD: Ricollegandoci alla domanda precedente, potete descrivere quali ritenete siano le caratteristiche chiave di Soulstice che ne determinano l’identità rispetto ad altri esponenti del genere?RGS: Abbiamo sempre avuto l’ambizione di introdurre delle novità nel genere character action, dei twist che potessero rendere unico Soulstice. Il principale e il più evidente è sicuramente il sistema “Dual Character” che abbiamo sviluppato per far coesistere le due protagoniste, Briar e Lute. Lute è gestita da un’IA che interpreta ciò che sta succedendo sul campo di battaglia, e interagisce con Briar tramite un misto di azioni contestuali automatiche, reazioni del giocatore e altre abilità da attivare manualmente. L’idea era proprio di affidare a un secondo personaggio i sistemi legati alle counter e al crowd control, per rendere più stratificata l’esperienza single player del gioco.
GD: L’ispirazione ad alcuni classici manga giapponesi come Berserk e Claymore è dichiarata e molto ben accolta. Ma volendo andare oltre il colpo d’occhio della guerriera con uno spadone in un mondo oscuro, ci sono dei temi narrativi di quelle - o anche altre - opere che avete utilizzato e adattato per Soulstice?
RGS: Berserk e Claymore ci hanno ispirato e aiutato delineare un’atmosfera, e ovviamente hanno avuto un’influenza sul nostro approccio al character design. In ogni caso, non volevamo appiattirci eccessivamente su questi modelli, specialmente perché desideravamo raccontare una storia che avesse senso rispetto al gameplay. Ci siamo dati due regole, interconnesse tra loro: da un lato, gli elementi più importanti dell’esperienza di gioco avrebbero dovuto avere un senso, un contesto e una “vestizione” credibili. Dall’altro, il comparto narrativo avrebbe dovuto sostenere l’esperienza di gioco, aiutando a renderla più interessante e significativa, ma senza diventare una zavorra. Detto questo, abbiamo guardato anche ad altre fonti di ispirazione al di fuori del mondo dei manga e degli anime, con un’attenzione particolare alla mitologia, alla religione e al folklore.
GD: Berserk è un esempio molto popolare di un’opera creata da un autore giapponese che utilizza un setting che si rifà all’occidente. E lo stesso si può dire di Demon’s Soul e Dark Souls. La loro popolarità poi ha a sua volta ispirato diverse produzioni occidentali. Magari un domani Soulstice sarà di ispirazione per un altro gioco.Cosa pensate della sempre maggiore inter-influenza tra contesti culturali che fino a poco tempo fa apparivano così diversi l’uno dall’altro?
RGS: Siamo consapevoli di questo scambio tra la cultura orientale e quella occidentale, specialmente perché in vari paesi europei come l’Italia l’influenza di manga e anime è stata molto forte. Per noi, Soulstice è un tributo a quell’immaginario, e per certi aspetti, un cerchio che si chiude. Detto questo, crediamo che la contaminazione tra diverse culture presenti sempre delle opportunità per creare qualcosa di nuovo e interessante. Allo stesso tempo, bisogna sempre essere onesti con se stessi, sia rispetto al proprio punto di partenza, che rispetto alla “destinazione” che si vuole raggiungere. In caso contrario si rischia di cadere nell’imitazione o nella copia, smarrendo la propria identità e originalità.
GD: Al di là delle ispirazioni, ci sono dei temi o obiettivi di carattere ludico che avete voluto realizzare con Soulstice, in quanto autori?
RGS: Abbiamo già parlato del nostro Dual Character System, e della volontà di lasciare un segno nel genere character action. In ogni caso, per noi l’aspetto creativo e autoriale è sicuramente importante; tuttavia, senza sminuire l’aspetto “romantico” del nostro lavoro, con un progetto come Soulstice desideriamo prima di tutto affermarci come studio di sviluppo AA sulla scena mondiale. Puntiamo a definire un format e uno stile che ci permettano di consolidare un ruolo nell’industria internazionale dei videogiochi.
GD: L’esperienza di lavorare in un team molto grande vi ha dato modo di esprimere meglio la vostra creatività? Ci sono delle idee che non siete riusciti a includere che vorreste portare in un prossimo progetto?RGS: Come per ogni produzione, il prodotto finale è la combinazione di una serie di intuizioni, slanci, compromessi, scelte, bilanci... Abbiamo cercato di rendere Soulstice il miglior gioco possibile rispetto alle opportunità che avevamo a nostra disposizione. Allo stesso tempo, abbiamo già diverse idee su come evolvere ed espandere il nostro format in futuro, ma è ancora presto per parlarne.
GD: Soulstice è uno degli esponenti di spicco delle produzioni AA italiane. Cosa pensate dello stato dell’industria nel nostro paese?RGS: Siamo molto contenti di far parte di una scena molto dinamica, che specialmente negli ultimi anni, sta facendo dei passi concreti in avanti. Stiamo cambiando la percezione che ha di noi la comunità dei giocatori in Italia, ma non solo. Sviluppare videogiochi significa confrontarsi con un mercato mondiale, e anche dall’estero adesso si guarda all’Italia come a un paese in netta crescita, rispetto ai risultati che i nostri studi di sviluppo sono in grado di portare. Una decina d’anni fa, noi e i nostri colleghi degli altri studi avevamo meno opportunità, complici delle barriere all’ingresso che rendevano quasi impossibile accedere a determinate piattaforme e tecnologie. La situazione però è cambiata, e ormai da diverso tempo anche le istituzioni si sono accorte di quanto stiamo facendo. Questo accade grazie alla qualità delle nostre produzioni, ma anche al lavoro dietro le quinte di IIDEA, l’associazione di categoria cui siamo parte. Tutto ciò, del resto, aiuta anche a sviluppare l’interesse di chi può investire nel settore, per cui ci sono tutti i presupposti per innescare un circolo virtuoso. Insomma, crediamo che sia davvero un buon momento per sviluppare videogiochi in Italia, e speriamo che Soulstice possa dare il suo contributo ad attirare l’attenzione su ciò che facciamo qui.
Ringraziamo ancora il team di Reply Game Studios e vi rimandiamo alla nostra recensione per il verdetto su Soulstice.