La deriva socio-politica raccontata nei videogiochi

Oggi su Game Division vogliamo parlare di come i videogiochi possano essere un ottimo strumento per parlare, tra le altre cose, della società odierna.

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a cura di Michele Pintaudi

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Come abbiamo potuto analizzare insieme a più riprese, il medium videoludico è uno strumento in grado di coinvolgere e comunicare con una potenza pressoché illimitata. Il videogioco può trasmettere valori, emozioni, insegnamenti e messaggi di qualunque genere, potendo contare su un fattore che spesso manca o è limitato negli altri media contemporanei: l’interattività.

Una canzone, piuttosto che un film o un buon libro non permettono infatti – se non in alcune casistiche singolari – di controllare e gestire le azioni del medium stesso come possiamo invece fare nel videgioco. E questo, a conti fatti, è forse il carattere che più di tutti rende quest’ultimo uno degli strumenti di comunicazione potenzialmente più potenti mai concepiti.

Messaggi di qualunque genere abbiamo detto, storie che possono descrivere e raccontare in tutte le maniere possibili tematiche di ogni tipo: quello che vogliamo fare oggi è analizzare, tenendo conto di alcuni esempi tra i più significativi, il modo con cui viene affrontata la tematica della deriva socio-politica all’interno del videogioco. Come riesce quest’ultimo, in parole povere, a parlare di un argomento complesso come la politica dando allo stesso tempo una chiave di lettura in grado di colpire il giocatore?

Politica e videogiochi: oltre la “semplice” satira?

Fenomeni dalla portata mondiale come la globalizzazione piuttosto che la diffusione sempre più marcata di social network e nuovi media hanno portato, con il passare degli anni, ad un sostanziale cambio nelle abitudini di tutti noi. Cambi che, prestando un’attenzione maggiore a ciò che ci circonda, possiamo notare come si siano tradotti in nuove forme di intrattenimento e in una rivoluzione alla base di quelle già presenti e consolidate.

Il videogioco, inteso come semplice forma di intrattenimento, non è certo rimasto a guardare e anzi ha cavalcato l’onda del cambiamento rinnovandosi sempre di più e in maniera sempre più importante. Uno sguardo veloce al panorama videoludico odierno ci restituisce quasi immediatamente un ottimo spunto per quel che riguarda l’analisi che intendiamo portare oggi: stiamo parlando di Grand Theft Auto, una delle serie più vendute dell’intera storia dei videogiochi.

GTA V, ad oggi ultimo capitolo della saga targata Rockstar Games, conta infatti più di 115 milioni di unità vendute in tutto il mondo: un successo difficilmente immaginabile anche soltanto due decenni fa, e che va a testimoniare ulteriormente la crescente importanza del medium videoludico. Perché parlare di GTA? Come molti di voi ricorderanno il gioco ha fatto più volte parlare di sé scatenando qualche polverone anche a livello politico, con polemiche che hanno fatto il giro del mondo ma che non hanno intaccato la reputazione di uno dei prodotti di intrattenimento più riusciti degli ultimi anni. Quello che vogliamo analizzare oggi è il ruolo della politica all’interno del gioco stesso, nella decadente e paradossale città di Los Santos.

Una partita veloce, anche distratta, a GTA V offrirà da sola un gran numero di spunti per quel che riguarda il fornire uno spaccato della società americana: uno spaccato fatto di stereotipi, modelli discutibili e del continuo riferimento al sogno americano. Prendiamo ad esempio i personaggi di Dave Norton e Steve Haines, agenti federali coinvolti in modo diverso nel programma di protezione di uno dei protagonisti. I due, pur presentando due personalità opposte, ricalcano i caratteri dell’agente corrotto, arrivista e attratto più dalla fama a livello personale che a “proteggere e servire”. Haines soprattutto non si farà scrupoli di alcun genere pur di vedere la sua carriera decollare e pur di seguire, appunto, l’American Dream.

Un’altra tematica posta in essere dal gioco è la glorificazione della celebrità al punto di rinunciare alla propria dignità: la figlia di Micheal, Tracey, vive la sua vita sognando di diventare una star senza però accorgersi di come lo star system stesso non faccia altro che ridicolizzarla dall’inizio alla fine. Il personaggio di Lazlow Jones, in tal senso, è quantomai emblematico: una celebrità senza alcun talento né abilità particolare, che costruisce il suo successo sfruttando le speranze di persone come l’ingenua figlia del protagonista.

Gli spunti come detto sarebbero pressochè infiniti, e l’ultimo esempio di cui vogliamo parlare è il Civil Border Patrol di Blaine County: un corpo di difesa non ufficiale composto dai “coraggiosi” patrioti Joe e Josef, due stereotipi su gambe intenzionati a proteggere i confini degli Stati Uniti d’America dall’invasione degli immigrati. I due presentano tutte le caratteristiche del vero patriota nazionalista che Rockstar ha voluto rappresentare: nelle brevi conversazioni con loro, che incontreremo in una serie di tre missioni secondarie, emerge tutta l’insicurezza a livello personale quanto la determinazione a seguire degli ideali basati su una forte chiusura mentale di fondo.

Questi casi, così come la maggior parte di quelli presenti in GTA V, sono caratterizzati da un forte tono satirico di fondo: prendendosi gioco dei caratteri del singolo stereotipo negativo, il gioco riesce a ridicolizzare quelle ideologie antiquate e obsolete che ancora oggi fanno parte della società. L’obiettivo però è ben chiaro: descrivere in maniera soft ma allo stesso tempo incisiva una deriva culturale che troppo spesso si tende a sottovalutare.

I videogiochi e la fine del mondo come lo conosciamo.

Un altro esempio in grado di portare valore alla nostra analisi, seppur in modo molto diverso da GTA e da altri titoli simili, è rappresentato da Bioshock: saga iniziata nel 2008 e che, al momento, si è fermata al 2013 con l’ottimo Bioshock Infinite di Irrational Games. Il filo comune che lega i tre capitoli della serie è uno scenario politico singolare, figlio di una società costruita con tutti i caratteri del filone conosciuto come dieselpunk: un sottogenere fondato su un certo tipo di tecnologia che parte dalla Prima Guerra Mondiale per arrivare agli anni Cinquanta.

Prendiamo ad esempio Bioshock Infinite, titolo ambientato nel 1912 nella città volante di Columbia la quale, diverso tempo prima, si è staccata dagli Stati Uniti d’America proclamando la propria indipendenza. Personaggio centrale è qui il fondatore Zachary Comstock, da tutti riconosciuto come "il Profeta": una guida, un messia che ha portato la popolazione a perseguire ideali di un razzismo volto al narcisismo. Altro personaggio molto importante è l’industriale Jeremiah Fink: uomo che sfrutta la forza lavoro della città scatenando una rivolta contro questo suo sistema capitalistica, che si tradurrà nel partito di opposizione dei Vox Populi.

Anche qui i riferimenti alla situazione politica, sociale ma anche economica dei nostri tempi – e non solo – sono evidenti. È chiaro in primis un forte messaggio rivolto contro la rivoluzione industriale che, per quanto abbia portato il mondo ad essere quello che è oggi, ha generato inevitabilmente enormi differenze all’interno dei medesimi gruppi sociali. Accanto a questa tematica troviamo ancora la glorificazione, non più di una celebrità ma di una sorta di messia: Comstock è infatti visto come colui che ha la risposta ad ogni cosa, ma che a conti fatti si dimostra portatore di principi che vanno gradualmente ad accecare la società stessa.

Il culto promosso dal Profeta è descrivibile nella celebre frase scritta da Marx nell’introduzione de Per la critica della filosofìa del diritto di Hegel: “La religione è il singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito. È l'oppio dei popoli.”. In Bioshock Infinite la religione promuove valori che spingono l’uomo ad elevarsi agli altri, a credersi superiore e, infine, a rinnegare gli stessi principi morali in preda all’esasperazione. E sì, un “semplice” videogioco è in grado di raccontare tutto questo.

Un diverso tipo di situazione politica è quello narrato nella serie Wolfenstein dove, pur utilizzando un tono palesemente più scanzonato, si racconta di un mondo dove tutto è politica e dove la società è stata sconvolta per sempre dopo che i nazisti hanno trionfato nella Seconda Guerra Mondiale.

Pensiamo a Wolfenstein 2: The New Colossus, titolo uscito un paio d’anni fa che ha raccolto sin da subito il plauso unanime di pubblico e critica. Grazie anche a un comparto tecnico in grado di costruire un’ambientazione di un certo tipo, il gioco dipinge nei minimi particolari una società segnata dal dominio nazista con la morte di ogni opposizione. Nel capitolo ambientato a New Orleans troviamo parate, manifesti e strade colorate in onore del nuovo regime, con il giocatore che riesce a immergersi in un’America – fortunatamente – completamente diversa da quella reale.

Ciò non ha però il solo scopo di intrattenere, che resta comunque il fine principale per un’opera dalle sfumature umoristiche qual è Wolfenstein: il titolo riesce infatti a colpire il giocatore e a spingerlo a una riflessione, alternando scenari divertenti e paradossali a momenti crudi e spietati. Prestare la giusta attenzione a questi particolari rende il giocatore più sensibile a determinate tematiche, oltre che maggiormente incline a condannare determinati comportamenti nella vita di tutti i giorni. Dallo “scherzo” si riesce insomma a comunicare qualcosa di serio, immergendo il giocatore in una società dove egli stesso non vorrebbe mai vivere.

L’ultimo esempio di spessore che vogliamo portare oggi è rappresentato da una delle opere più importanti di inizio millennio, ovvero Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty. Se anche nel recentissimo Death Stranding Hideo Kojima ha offerto un’esperienza ricca di riferimenti critici alla società moderna, calcando la mano sulla tematica della presenza (e contemporanea assenza) di connessione, possiamo definire il secondo Metal Gear Solid come un precursore di questi temi. Tutta la serie, lo sappiamo, fa leva sulla politica e sui lati più oscuri di essa, ma il monologo di Solid Snake con cui si va a concludere Sons of Liberty è e resta tutt’ora uno dei passaggi più potenti dell’intera storia dei videogiochi.

Vivere non vuol dire solo tramandare i geni alle future generazioni. Possiamo lasciare molto di più di noi che il solo DNA. Con le parole, la musica, la letteratura e i film... quello che abbiamo visto, sentito, provato – odio, amore e dolore – queste sono le cose che lascerò io. È per queste cose che vivo. Dobbiamo tramandare agli altri la fiaccola e lasciare che i nostri figli leggano con la sua luce, nella nostra storia. Abbiamo tutta la magia dell'era digitale per farlo. [...] Costruire il futuro e lasciar vivo il passato sono la stessa cosa.”

In questo breve estratto si parla esplicitamente di trasmettere valori, di tramandarli in un’era appena precedente a quella dell’esplosione del social media. Kojima aveva di fatto predetto la società di oggi, dove la maggior parte della comunicazione avviene proprio da dietro uno schermo e dove, a fronte dell’incredibile mole di informazioni in nostro possesso, non siamo sempre in grado di distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è. E questo va inevitabilmente a scontrarsi con la politica e con tutto ciò che rappresenta: disporre di un mezzo di comunicazione potente come un social network permette, potenzialmente, di raggiungere la stragrande maggioranza della popolazione mondiale. Uno strumento così potente deve però essere utilizzato nel modo corretto, e Metal Gear ci mostra in maniera nuda e cruda cosa può succedere se si decide di optare per un approccio teso a tutelare esclusivamente i propri interessi.

In conclusione possiamo dunque affermare quanto i videogiochi siano uno strumento di fortissimo impatto per descrivere nel modo giusto la deriva sociale e politica di un qualsiasi contesto culturale. Un videogioco può raccontare, spiegare ma anche criticare una società e gli elementi che la compongono: proprio per questo è bene prestare un’attenzione sempre maggiore agli stimoli offerti da un’opera del genere, in quanto possono contribuire in maniera concreta ad ampliare l’apertura mentale di una persona. Riflettere sul passato e sul presente, insomma, può essere il modo migliore per costruire un futuro.

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