Di Skull and Bones, fino a quattro giorni fa, si erano perse le tracce. Nel mare sconfinato del panorama dei videogiochi, d’altronde, può accadere: produzioni annunciate che diventano fumo, come se scomparissero dal nulla. Opere di cui non si sa più nulla, videogiochi sulla bocca di tutti che poi non escono più, che magari vengono annunciati in un altro momento.
Può succedere, non giriamoci attorno: è un mercato caotico. Come lo è, se ci pensiamo, il mare dell’Oceano Indiano, l’ambientazione scelta da Ubisoft Singapore per il suo nuovo videogioco open world. Un altro, direte voi? Ormai sembra la caratteristica che contraddistingue tutte le serie videoludiche Ubisoft, a parte un nome che suscita rispetto come For Honor, l’unica opera che non ha ancora tradito la sua anima.
Qualche anno fa avremmo pure citato Assassin’s Creed ma, considerando la sua natura da mondo aperto, è diventato difficile collocare la serie a cuor leggero, se pensiamo alle ultime pubblicazioni della casa sviluppatrice francese. Assassin’s Creed ha fatto la storia del panorama dei videogiochi ed è stata per Ubisoft la proverbiale gallina dalle uova d’oro, ed è utile sottolinearlo e metterlo in grassetto, perché l’indimenticabile storia di Ezio Auditore da Firenze è rimasta nel cuore di tanti appassionati. Allo stesso modo, rimanendo in tema piratesco, il racconto di Edward Kenway in Assassin’s Creed IV Black Flag è stata uno delle produzioni più interessanti e coinvolgenti degli ultimi quindici anni.
Dalla sua uscita è passata un’era geologica e, abituandoci a solcare i mari di Sea of Thieves, ci siamo dimenticati delle onde del Mar dei Caraibi, intenti come eravamo a immergerci in un’esperienza unica e travolgente per vivere un racconto coraggioso, lontano dai marmi di Firenze e dalle fredde pianure delle Americhe in lotta.
Ora che il testimone è passato a Skull and Bones, la nuova opera targata Ubisoft Singapore, viene complesso immaginare l’Ubisoft di Ashraf Ismail, che si occupò dello sviluppo della quarta opera del franchise di Assassin’s Creed, primeggiando tra gli studi di sviluppo più rinomati. E viene complesso, come è inevitabile, immaginare una Ubisoft diversa da quella che conosciamo oggi, rimasta ancorata al 2014, l’anno della pubblicazione del deludente Assassin’s Creed Unity, ambientato nella Parigi del fiammante 1789, nel pieno della Rivoluzione Francese.
Ubisoft, insomma, è cambiata: ora predilige opere bulimiche, esagerate, immense e maestose, che però si riassumono spesso nel proverbio “Il troppo stroppia”. In tal senso, è il discorso che potremmo applicare a Skull and Bones, di cui abbiamo osservato il trailer esteso chiedendoci quale sia il suo reale scopo, in che modo potrebbe collocarsi nel mercato e, soprattutto, se le sue intenzioni sono quelle di spodestare Sea of Thieves, un tentativo che potrebbe rivelarsi fallace. C’erano quindici uomini sulle casse del morto, sì, ma a noi bastano cinque motivi per spiegarvi perché Skull and Bones non ci ha convinto appieno e quali rischi potrebbe correre con la sua struttura ludica fin troppo simile a Black Flag e alle sue altre opere. Ma procediamo con ordine.
5) Il classico stile Ubisoft: c’è bisogno di altro, all’orizzonte
Dicono che il mare sia pieno di pesci, e lo crediamo davvero: quello dell’Oceano Indiano propone creature marine esotiche e rare, che potrebbero fare gola ai vili marrani più pericolosi dei Sette Mari quanto i tesori che si nascondono sugli isolotti, pronti solo per essere. Che bello esplorare e perdersi nell’immaginario dei pirati, non è vero? Lo è sicuramente, certo, perché davanti a noi si stagliano le immagini dell’orizzonte, e ci perdiamo osservando il firmamento. Magari, appena schiarisce, notiamo dei delfini fare a gare gli uni con gli altri, mentre la schiuma viene alzata dallo scafo e il nostromo, intento a dare ordini, reclama la nostra attenzione.
È così che mi immagino un’avventura piratesca, ma non è detto che sia la stessa visione di Ubisoft, che invece sembra preferire le sue solite meccaniche che ripete in ogni suo videogioco, da Assassin’s Creed a Far Cry. In tal senso, l’esplorazione via mare sembra l’unica percorribile e, almeno, non ci sono un corvo e un drone a segnalare le imbarcazioni nemiche o quelle che vorremmo attaccare. Tuttavia, la libertà d’approccio ci sembra in realtà estremamente guidata e ora, considerando le tante alternative presenti sul mercato, è necessario una maggiore differenziazione delle meccaniche di gioco per proporre al giocatore modi più sfaccettati per esprimere al meglio la propria attitudine piratesca.
Il dibattito sui social, per quanto esagerato, spesso è calzante e azzeccato: in tanti sognano un videogioco sui pirati che riesca a contenere tutto quello che potrebbe renderlo unico e ben delineato. Invece, spesso ci troviamo davanti a opere striminzite, intente più a vendere che a farsi ricordare. Skull & Bones, almeno nella struttura ludica, non sembra un’opera diversa dalle tante sviluppate in passato sui pirati.
Promette al suo interno le classiche lotte navali che hanno reso celebre Assassin’s Creed IV Black Flag, e che non sembrano differenziarsi poi molto dal quarto capitolo del franchise. Se in quest’ultimo la visuale era posta alle spalle di Edward Kenway, nel caso di Skull & Bones c’è una visuale in prima persona mentre manovriamo la nostra nave. Questa è un’idea interessante che però va giudicata sul lungo corso perché un’implementazione simile, con tutte le caratteristiche del caso, potrebbe inevitabilmente costare caro sul resto della struttura ludica.
4) L’assenza di un racconto in Skull and Bones
Sembra impensabile, ma è una mancanza che noi consideriamo grave, dato il contesto. Non pretendiamo, chiaramente, un’esperienza longeva che parta da un momento triste e traumatico, e neppure una classica storia di vendetta che potrebbe tanto e con cui Hollywood ha fatto fortuna nel corso degli ultimi vent’anni, mettendo al timone il famigerato capitan Jack Sparrow. Per qualcuno potrebbe essere un’ottima notizia, ma per noi rappresenta la strada più facile da intraprendere, con una rotta già segnata.
Raccontare una storia simile, ambientata lontana dal Mar dei Caraibi e in generale nell’Atlantico, dovrebbe spingere l’inventiva di chiunque non veda l’ora di sviluppare un videogioco sulla pirateria. Tuttavia, a Ubisoft Singapore non sembra interessare: vuole concentrare la storia sui noi stessi, come se fossimo noi a tessere il nostro destino, cosa che sarebbe da analizzare una volta che il gioco verrà pubblicato. Ma per quello, d’altro canto, esiste già Sea of Thieves, dove di storie al suo interno ne abbiamo vissute innumerevoli.
Gli sviluppatori, in una recente intervista, hanno dichiarato di voler inserire dei personaggi secondari con storie e contratti, ognuno di essi concentrati per farci godere appieno il contesto. È una decisione che temiamo enormemente, perché ultimamente, vuoi per andare di corsa e vuoi per non arzigogolarsi in terreni inesplorati, Ubisoft non se la passa bene neanche nella scrittura delle missioni, e il riferimento al vichingo per eccellenza che risponde al nome di Eivor è puramente casuale, ma neanche troppo. L’esperienza di Morso di Lupo ci è rimasta nel cuore, tanto da convincerci appieno, due anni fa. Chi vi scrive, però, lo ha trovato esagerato e troppo grande, nonché pieno di attività vuote e di troppo, longevo fin sopra ogni logica.
3) Tante, troppo ispirazioni da Black Flag
Nonostante ci siano implementazioni interessanti e idee che potrebbero confezionare un prodotto convincente, Skull & Bones corre il rischio di essere una copia evoluta di Black Flag uscita otto anni dopo dalla sua pubblicazione. Si parla di mantenere la ciurma felice durante le scorribande; perciò, tutto si focalizza sulle relazioni al suo interno per evitare che tutto quanto si esaurisca con l’ammutinamento. Eppure, manca una componente narrativa, che saprebbe non soltanto incalzare il giocatore, ma fargli provare l’essenza totale di essere un pirata.
Se Black Flag – che abbrevieremo così per comodità – è riuscito al tempo ad esprimersi al meglio, è perché aveva una storia intensa a sorreggere la produzione. Skull & Bones, al contrario, mette al centro noi ma non lo fa capire appieno, dando una libertà che invece potrebbe non esistere, dove la cura della ciurma appare in realtà estremamente superficiale e non in linea. In che modo avverrebbe un ammutinamento? C’è la possibilità di morire, una volta accaduto? E ancora, verremo abbandonati su un isolotto con un solo colpo in canna?
Sembra che Ubisoft, quando ha pensato a questa caratteristica di game design, non abbia tenuto in considerazione che non è affatto semplice delineare un approccio simile e renderlo soprattutto funzionale e fedele a come si comportavano i pirati. Ovviamente non possiamo aspettarci altro dallo studio di sviluppo francese, che in questo caso ha coinvolto direttamente il team di Singapore, il quale sta cercando di offrire un’opera unica e capace di intrattenere. Al netto di questo, tuttavia, lo scopo del gioco non sembra dedicato a un approccio single player, nonostante sia pensato anche per questo. Sarà da capire in che modo le situazioni si evolveranno e come verranno affrontate e approfondite man mano che avanzeremo al suo interno, da bravi e grandi filibustieri.
2) L’esplorazione via terra non appare entusiasmante: il mare è bello, certo, ma lo è anche la terra…
“Parte della nave, parte della ciurma”, recitavano gli uomini dell’Olandese Volante, pronti a dare il benvenuto a un nuovo capitano ogni volta che un uomo pugnalava il cuore, diventando a sua volta l’uomo più importante del vascello, traghettando chiunque moriva in mare.
Questo, per quanto potrebbe essere intrigante, non è il nostro destino: siamo pirati e viaggiamo per mare per il profitto, e in Skull & Bones è questo che muove le redini del game design, che non sembra innovare e proporre caratteristiche inedite. Anzi, in realtà preferisce basarsi su quanto abbiamo già visto e provato con Assassin’s Creed IV Black Flag, esprimendosi inevitabilmente in un modo non troppo diverso da quello cui siamo abituati, ma limitato nel principio.
Skull and Bones permette di scendere sulla terraferma per fare rifornimenti, sistemare la nave dopo gli attacchi e acquistare ulteriori aggiornamenti, nonché nuove imbarcazioni e vascelli, che, a detta del team, sono tanti, diversi e utili. Tuttavia, rappresenta un pretesto qualunque per scendere, rifocillarsi e non fare altro, se non le classiche e innumerevoli azioni che ci vedono protagonisti.
Capiamo che potrebbe essere complesso riuscire a costruire un videogioco con uno scopo e che non metta solamente al centro i combattimenti navali in single player o multigiocatore, ma una maggiore immersione non avrebbe guastato, permettendoci così di sentirci realmente dei pirati. In tal senso, non stiamo capendo le intenzioni di Ubisoft: da una parte insegue la fedeltà, ma dall’altra si contraddice. Skull & Bones, a cinque anni dal suo annuncio, ancora è un grande punto interrogativo.
1) Le battaglie navali: il rischio di un game design che potrebbe risultare imperfetto
Se analizziamo lo scopo di Skull & Bones, non può che essere così: vuole intrattenere attraverso i combattimenti navali, lasciando da parte tutte le altre implementazioni che lo renderebbero un videogioco unico nel suo genere, capace allo stesso di tempo di confezionare un’opera memorabile e iconica, sia per gli appassionati che per coloro che stanno cercando un videogioco che vada oltre le aspettative.
Ubisoft Singapore non sembra nascondere le sue intenzioni e vuole concentrare le sue energie – tutte quante – verso una struttura semplice, ma forse fin troppo, non dando la sensazione di brillare e proporre così un videogioco con uno scopo. Visionando più volte il trailer, restando in ogni caso delusi dalla grafica di gioco, che è ancorata al passato, ci siamo domandati spesso quale sia l’obiettivo della produzione e cosa nasconda realmente al suo interno. Dipendere solo dalle battaglie navali potrebbe essere un rischio per l’intera struttura ludica del prodotto, che, a detta degli sviluppatori, potrebbe durare nel tempo.
Ubisoft, è questa la soluzione?
A inizio articolo abbiamo parlato dei problemi dello studio di sviluppo francese e delle sue ultime fatiche, argomentando un discorso che lo includesse, mettendolo in discussione. Normalmente, spesso ci siamo trovati di fronte a criticare le sue scelte e a considerarle fin troppo inferiori e limitate, nonché problematiche e pericolose. Ubisoft ha perso, subito dopo la pubblicazione di Assassin’s Creed Unity, la sicurezza necessaria per confermarsi ed emergere nuovamente dalle ceneri. In parole povere, a Ubisoft manca il coraggio di andare avanti e di creare produzioni diverse, con stili e approcci più definiti e sfruttati a dovere.
Con Skull and Bones, al netto di qualche ottima trovata, ci siamo trovati davanti una produzione che al momento non può rispondere pienamente alle necessità attuali dello studio francese. D’altronde, l’opera deve ancora uscire, presentarsi al pubblico e farsi apprezzare, per quanto sia complesso farlo. Essere pirati non significa evitare le regole o evadere da un vascello in fiamme. Essere pirata è uno stile di vita e un modo per essere felici. Come dovrebbe esserlo qualunque corsaro in fuga dalla Compagnia delle Idee Orientale e in lotta con il mondo intero. Cosa può esserci di meglio?