Road 96: Mile 0 | Recensione - Il viaggio è nella testa e nel cuore
La nostra recensione di Road 96: Mile 0, il videogioco autoriale di Yoan Fanise che parla in modo approfondito della scoperta di sé stessi
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a cura di Nicholas Mercurio
Fuggire o restare? È questa la domanda che Road 96: Mile 0 pone al giocatore sin dalle prime battute. Se fuggire è l’unica speranza, rimanere invece cancella ogni possibilità di una vita appagante. Con Road 96 sapevo che viaggiare per raggiungere il confine era l’unico modo per lasciarmi alle spalle un passato burrascoso e funesto, che mi aveva quasi cancellato e smantellato l’esistenza, diventando un peso insopportabile da sostenere. Voglio fuggire per ritrovare me stesso, voglio fuggire per scappare dalla modernità e voglio fuggire perché è l’unica caratteristica che mi rende ancora vivo. Chi non vorrebbe staccare la spina e scappare via, abbandonando la modernità e tante altre situazioni accessorie esistenti? Chi scapperebbe volentieri da una società sempre più opprimente e insopportabile, che non ha pietà per i suoi figli? Quanti sono ancora certi che farne parte dia in qualche modo un’aura quasi mistica alle proprie esistenze?
È complesso prendersi del tempo per sé, specie in un mondo che pretende tu segua uno stile di vita senza alcun genere di deviazioni. È così, non puoi scampare, è già deciso e non puoi farci nulla: è il tuo destino. Sicuri davvero che qualcuno è disposto ad accettarlo senza fiatare? Se per Alexander Supertramp fuggire dalla società era l’unico modo per staccare finalmente dai dettami da lei imposti, in Road 96: Mile 0 è l’unico modo per liberarsi da una realtà perfida e opprimente, da quella che comunemente tutti chiamano “Dittatura”. Lo è davvero, lo è eccome, non restano giovani a vivere e quei pochi che rimangono sono disperati, soli o emarginati. Chi invece scappa sa che là fuori c’è una speranza, e che oltre al confine, un luogo ricco di tante possibilità di ogni tipo, c’è davvero la vita in ogni sfaccettatura che attende solo di essere abbracciata.
Sviluppato da DigixArt e scritto dalla penna di Yoan Fanise, in Road 96: Mile 0 si entra in contatto con un mondo di mezzo fatto di menzogne, paure e tanta, troppa propaganda, in una realtà dominata da un potere che non ammette repliche né alcun genere di contestazione. Potrebbe essere equiparato ad alcuni paesi poco democratici, sorretti a loro volta da ideali consumistici e conformisti, non intenzionati a curare i giovani e la loro libertà. A Petria, luogo scelto per raccontare le vicende di Road 96: Mile 0, non esiste speranza per chi è nato dopo l’86, un evento catastrofico che ha coinvolto tutte le persone a quel tempo libere e felici. Neanche prima, però, si stava bene: c’era lo stesso presidente, Tyrak, che governava con il pugno di ferro e poca umanità. Che futuro può essere quello già scritto e deciso da qualcuno che pretende di avere tutto fra la mani? Quali reali cambiamenti esistono per chi sa bene che finirà a fare un lavoro opprimente? Cosa accadrà quando sarà totalmente, e non solo parzialmente, così tanto occupato da non riuscire neppure a inseguire le sue stesse passioni?
Queste domande, se poste ai giovani d’oggi e ad alcuni millennials, probabilmente riceverebbero le medesime risposte. Immagino addirittura con lo stesso tono, a questo punto, con quella tipica amarezza e quel triste rimpianto che delinea occasioni perdute e momenti impossibili da rivivere come una volta. La nuova opera di Yoan Fanise, pensata per condurre il giocatore a queste conclusioni, riflette inoltre su un altro grande dramma del tutto sottovalutato ma che ora, specie nelle ultime settimane, ha raggiunto l’intera opinione pubblica. Perché qualcuno scappa dal proprio Paese? Cosa lo porta ad attraversare il mare o in questo caso un confine? E perché va sostenuto e aiutato?
Altre domande, direte voi. Vi darei ragione. Le domande giuste, se composte da valide riflessioni, sono le migliori cui qualcuno può rispondere. Road 96: Mile 0 è un progetto nato subito dopo il successo di Road 96, in cui il peso del viaggio in ogni sua sfaccettatura raccontava qualcosa al giocatore di inedito e originale. Il prequel ad esso dedicato, invece, racconta delle origini del viaggio di due ragazzi diversi fra loro ma uniti da una profonda amicizia, sorretta da sogni e speranze continue che sperano di concretizzare. È il sogno che chiunque vorrebbe per essere libero, felice e appagato, quel genere di sogno che appartiene a tutti e a non pochi. Il sogno di una vita nuova, fatta di diverse chiavi di lettura e magari di serenità. La vita che tutti – me compreso – inseguono, sperando di stringerla fra le mani quanto prima.
Dubbio o consapevolezza?
Il prequel racconta le esistenze di Zoe Muller e Kaito, due giovani che si isolano dal mondo e dalla realtà di White Sands per non essere completamente assorbiti dalla dittatura di Tyrak, un presidente crudele che governa Petria con il pugno di ferro, confezionando per il suo popolo l’illusione di una vita felice e serena, con false speranze attorniate dai soliti grandi proclami. Chi prova a contestarlo, o cerca di mettere in discussione la sua autorità, viene immediatamente arrestato e allontanato dalla società. Le accuse di far parte delle Brigate Nere, un gruppo battagliero di opposizione, sono all’ordine del giorno e tanti cittadini di White Sands, come di tutta Petria, vengono arrestati con la presunta accusa di collaborarci. A volte vengono addirittura inventate delle motivazioni a causa della paranoia del presidente e altre perché è sicuro di essere circondati da serpi in seno. Un uomo senza fiducia nel suo popolo non dovrebbe governare, soprattutto se le sue misure politiche, pensate per lo sfruttamento delle persone e dell’ambiente, rendono il tessuto sociale ormai totalmente frastagliato.
Scappare è l’unica possibilità, l’unica via di salvezza per chi è un creativo, una persona libera e sa bene che un prezzo per la libertà esisterà sempre. Ma sia chiaro, anche se il cattivo ha un nome, un cognome e un ruolo, non significa che altri siano tanto diversi. Zoe e Kaito vivono queste condizioni da ragazzi che, fino a qualche tempo prima, non si sarebbero mai interrogati se fossero realmente liberi e felici. Sapevano soltanto di essere in un’ampolla di vetro, e finché qualcuno resta al suo interno, non proferendo parola né pretendendo alcunché, si è sempre nel giusto. Mai mettere in discussione la società, le regole e tanto meno chi comanda. La pena è esemplare, e non porta immediatamente all’uccisione o alla sparizione improvvisa. Prima c’è l’isolamento, che avviene in maniera metodologica e brutale, senza alcun tipo di pietà.
A Kaito e a Zoe, invece, non sembra importare molto di essere isolati. Anzi, lo preferiscono: meno contatti hanno con la realtà di Tyrak, più sono felici e liberi di essere loro stessi. Sono due ragazzi provenienti da ceti sociali diversi, con Zoe Muller figlia del ministro del petrolio, mentre Kaito vive nei sobborghi con i due genitori immigrati da un altro Paese, ridotti a fare gli spazzini per pochi spiccioli e tanta povertà. Contano i soldi che guadagnano onestamente ogni giorno e non bastano mai. La società di Petria non regala agli altri le stesse opportunità: chi è povero viene lasciato indietro, mentre un ricco può fare cosa vuole impunemente, anche commettere crimini per cui non verrebbe in alcun modo condannato da una magistratura imparziale. Quest’ultima, per l’appunto, è tenuta sotto scacco dallo stesso Tyrak, che si assicura che ogni legge venga eseguita alla lettera.
Questa società, ai due ragazzi, comincia a stare così stretta da essere ormai completamente insopportabile. La vivono con costernazione, appesantendosi le giornate perché consapevoli che possibilità ulteriori non ce ne sono e continueranno a non essercene. Le uniche possibilità per restare ancorati al futuro sono provare a cambiare le cose e a migliorarle. Un sogno in cui Kaito crede fermamente, mentre Zoe nutre dei dubbi e non è ancora del tutto consapevole di cosa le accada attorno. È sicura che suo padre sia un uomo saggio e ponderato, capace di trovare soluzioni in modo semplice ed efficace, non andando in difficoltà, ma è solo un’ennesima illusione.
La narrazione di Road 96: Mile 0, proprio come il precedente capitolo che si colloca qualche mese dopo gli avvenimenti qui raccontati, esalta soprattutto il legame fra Zoe e Kaito, due anime che si ritrovano a correre e a pensare a un modo per collegarsi al resto. Trattata in modo maturo e con intelligenza, la loro storia risulta efficace e semplice, raccontata in maniera chiara con lo scopo di far scattare un ragionamento interiore al giocatore che era già presente nel capitolo precedente. In tal senso, Road 96: Mile 0 risulta un’opera matura non solo per le tematiche trattate ma perché esalta in modo sfaccettato e unico ogni particolarità con intelligenza e capacità.
Yoan Fanise, alla regia di questa nuova e toccante opera, si dimostra come al solito una sicurezza quando si tratta di dover raccontare una storia ed esaltarne i personaggi. Se lo scopo di Road 96 era raggiungere il confine, in Road 96: Mile 0 è la fuga alla base di tutto. Una fuga che Kaito pensa e sogna da parecchio tempo, mentre Zoe, indecisa sul da farsi, non sa come interfacciarsi con le notizie che arrivano dal palazzo governativo, dalle voci per le strade di White Sands che parlano di ragazzi scomparsi chissà dove e persone completamente allo sbando, ridotte alla fame. Due giovani che si confrontano per cercare un nuovo modo per fuggire da qualunque genere di piano esistenziale già impostato per vivere realmente. Non esiste moralità, in un mondo del genere. Non esiste etica, non esiste più e non esiste speranza. La fuga è l’unica speranza.
Road 96: Mile 0: un gameplay efficace e stratificato
Dimenticate le meccaniche già viste in passato con Road 96. Come accennavo, Road 96: Mile 0 abbraccia uno stile totalmente diverso, adattandosi in modo esemplare a una struttura di gioco che colpisce e intrattiene. A metà fra un’avventura narrativa con una forte presenza di dialoghi e a metà fra un’avventura dinamica, Road 96: Mile 0 è una produzione che arriva all’obiettivo senza strafare, aggiungendo un’esplorazione più libera del mondo di gioco e in generale di White Sands, al netto dell’assenza di missioni secondarie e di attività simili. Lo scopo di Road 96: Mile 0 è essere un collante con la narrazione del capitolo antecedente, proponendo quindi una struttura di gioco inedita e lineare. Nonostante siano presenti delle scelte che possono determinare la trama, con delle inevitabili conseguenze che possono cambiare il destino dei personaggi e in generale il mondo di gioco, Road 96: Mile 0 risulta un’opera ricca di sfumature soprattutto sul piano ludico. Forte e coraggioso, in grado di intrattenere e impressionare, l’opera ha la capacità di esaltare in modo particolare l’ossatura del game design.
Sebbene non proponga nulla di troppo diverso dal passato, Road 96: Mile 0 è un’avventura in prima persona che spinge il giocatore a prendere tutto il tempo necessario per esplorare in modo appassionato e sfaccettato un mondo di gioco piccolo ma comunque strutturato in modo preciso. Non aspettatevi ovviamente un open world che sappia travolgervi, perché non è questo il piano dell’opera né è il principale obiettivo di Yoan Fanise. Il game designer francese è celebre per unire diversi approcci nei suoi videogiochi, e in questo caso ha aggiunto una linea morale ben diversa dal passato. Durante l’esperienza, infatti, sarà possibile impersonare sia Zoe che Kaito, vivendo attimi delle loro esistenze. Cambieranno punti di vista, si emozioneranno e dovranno pure capire chi essere. Se Zoe è indecisa e in dubbio sul regime di Tyrak, è soprattutto grazie a Kaito, che non sembra mai pensare totalmente con la sua testa. L’obiettivo dell’opera, infatti, è proprio rendersi consapevoli delle proprie scelte. Questo avviene attraverso la scoperta delle proprie sensibilità e in generale in momenti a bordo di uno skateboard o sui rollerblade, in cui delle composizioni autoriali provenienti dalla musica pop, rock e metal accompagnano i protagonisti per l’intero arco narrativo della produzione.
Coinvolgente, efficace e preciso, rappresenta una struttura di gioco adattata per indirizzare al giocatore un valevole messaggio di speranza. Scoprire è il lato più umano e confortevole che esista, capire sé stessi è il migliore in assoluto, assorbire le proprie esperienze e capire dove si vuole andare sono il segreto per essere felici. Lo scopo dell’opera, sorretta da una struttura di gioco efficace e caratteristica, arriva un’altra volta all’obiettivo. Era semplice? Non saprei, ma di sicuro non è da tutti condensare delle ottime idee ben sfruttate in così sei ore di gioco, che possono raddoppiarsi inevitabilmente se si decide di affrontare l’opera scegliendo dei percorsi differenti. È la rigiocabilità, infatti, la portata principale della produzione, perché consente di capire cosa accade a un personaggio e quali siano le sue reali emozioni.
In fuga per sé stessi, e non solo…
Sul lato tecnico non abbiamo nulla da eccepire, tant’è che lo stesso motore grafico e lo stesso stile utilizzato sono i medesimi già visti con Road 96. È solo stato aggiustato in generale l’impatto visivo, che propone di conseguenza paesaggi, scorci e ambientazioni belle da vedere e da vivere. La direzione artistica, sapientemente adattata allo scopo, è da sempre il punto di forza delle opere di Yoan Fanise. Se in passato in tanti se ne sono resi conto grazie a Valiant Hearts: The Great World e 11-11: Memories Retold, è perché il game designer d’Oltralpe sa come coniugare gameplay, storia e arte visiva, incastrando in modo oculato e appassionato tutte queste caratteristiche.
Quando un’opera di questo calibro arriva sul mercato, penso proprio che dovremmo esserne tutti felici. Se un gioco di questo calibro, per l’appunto, parla al cuore dei giocatori e lo fa in modo politico, mettendo quindi la politica dentro ai videogiochi, questa è una buonissima notizia. Significa che il giocatore è visto in modo intelligente, che c’è realmente un interesse a capire come affrontare certe situazioni e che, magari, esiste pure un modo per dimostrarsi diversi. Per dimostrarsi liberi. Ed è la libertà la reale speranza, un mare al di fuori di tutto, oltre i confini.
Voto Recensione di Road 96: Mile 0 - PC
Voto Finale
Il Verdetto di Tom's Hardware
Pro
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Una storia più matura e scritta con coraggio, capace di entusiasmare e toccare corde delicate dell'animo umano
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Un gameplay buono e appagante, con tante possibilità di scelta
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Un'opera ampiamente rigiocabile e approcciabile in qualunque modo possibile
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Imperdibile per chiunque cerchi sé stesso
Contro
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La longevità è alquanto risicata
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I collezionabili da ricercare sono più un riempitivo che una vera e propria esperienza, risultando inutili
Commento
In conclusione, Road 96: Mile 0 è un videogioco coinvolgente e narrativamente eccelso. Un videogioco politico che ne sa parlare in modo diretto e per nulla scontato, prendendo solo il meglio da un tema così importante. La narrazione, inoltre, racconta quanto la libertà sia fondamentale per essere veramente liberi e felici. Sotto questo aspetto, infatti, c'è da dire che la storia ha dimostrato tanto coraggio e passione. Sorretto da un game design ben orchestrato e semplice, Road 96: Mile 0 è il prequel degno del suo predecessore in tutto per tutto. Un'esperienza travolgente e toccante.