Il viaggio, secondo qualcuno, vale la pena di essere vissuto a dispetto di cosa offra realmente. Non importa con chi lo si vive, perché e come mai si parte senza guardarsi attorno, tanto è solo un percorso, lo stesso che chiunque intraprende per liberare la propria mente. A volte sono esperienze, in altre occasioni incontri speciali inaspettati, la nascita di nuovi amori e, soprattutto, l’inizio di qualcosa che va ben oltre gli astri e le stelle. Road 96, sviluppato dal team francese DigixArt, è stato un videogioco che ha parlato non solo unicamente di una tappa che parte da un luogo remoto dominato dall’oscurantismo e dalla prepotenza di una dittatura ignobile, ma è il viaggio che racconta cosa ci sia lungo il percorso e cosa valga la pena effettivamente vivere e conoscere assieme a qualcuno.
Può essere chiunque, perché la vita è così: imprevedibile e beffarda, e non si fa tanti scrupoli a raccontarsi in modo ilare e scapestrato. E chi vive da scapestrato, indossando le stesse scarpe sgualcite, non ha bisogno di altro che non di una strada da percorrere. “Di tutti i poeti e i pazzi che abbiamo incontrato per strada ho tenuto una faccia o un nome, una lacrima e qualche risata”, cantano i Modena City Ramblers, una band popolare italiana proveniente dall’omonima città dell’Emilia-Romagna. Eddie Vedder, al contempo, strimpellava la chitarra intonando “Society”, comparso nel film Into the Wild, ispirandosi alla storia di Christopher Johnson McCandless, noto con lo pseudonimo di Alexander Supertramp, un viaggiatore statunitense celebre per un autoscatto appoggiato a un camioncino hippie abbandonato.
Partire per l’ignoto, non guardarsi indietro e non pensare a nient’altro è la combinazione che rende unico ogni genere di esperienza nel mondo. A piedi, a cavallo, su una barca, sui roller o su uno skate, la cosa importante è che si parta con la consapevolezza che, oltre a un universo fatto di speranze e nuove conoscenze, c'è qualcuno, magari proprio quell’io impossibile da trovare in un singolo luogo. Road 96, però, parlava di una situazione ben diversa dal solo viaggio per ritrovare sé stessi nel bel mezzo di una società ipocrita. Parlava di una dittatura spietata dominata da tabloid corrotti e da una larga fetta di popolazione completamente succube del potere di un singolo uomo che governa con decisione e spietatezza Petria, un Paese che potrebbe ricordare a qualcuno le aree desertiche del Nevada e le stazioni di rifornimento della California, che vive totalmente in balia del disprezzo e della paura, controllato da un potere subdolo e calcolatore.
Alcuni giovani rimangono e altri fuggono verso il confine, con la speranza di trovare oltre esso una nuova vita che possa dare loro un po’ di serenità. Qualcuno ce la fa, qualcun altro no: non è la vita, ma è la spietatezza di Petria, di un mondo affinché chiunque colga il peso del viaggio nel cuore di chi fugge dalla propria casa, abbracciando l’ignoto, la sconfitta e l’amore, la conquista e la pace. Il riferimento principale, rinforzato da un contesto che parla al cuore della realtà odierna, è stato proposto da Yoan Fanise in modo deciso e significativo, in un’ispirazione che va oltre il viaggio, abbracciando un racconto di vita che passa dalle scelte di chi lo vive e ne affronta le intemperie.
Il mondo è burrascoso, irto di pericoli, disseminato di lame appuntite pronte a tagliuzzare e a vibrare nel vento. Lo vivevamo negli occhi degli anonimi protagonisti dell’esperienza di Road 96, e l’ho vissuto negli ultimi giorni con Zoe e Kaito, il suo migliore amico. Il mio nuovo viaggio, infatti, mi ha portato a partecipare a un evento privato dedicato alla stampa che ha mostrato l’attesissimo Road 96: Mile 0, prequel del capitolo pubblicato nel 2021, un’opera intenzionata a parlare degli avvenimenti antecedenti della trama raccontata in passato da Yoan Fanise.Come ho accennato prima, la vita è fatta di incontri speciali e inaspettati, e quello che ho vissuto assieme al creatore di Valiant Hearts e 11-11: Memories Retold può certamente essere fra questi. Qualunque sia il motivo per cui si viaggia, come ha scritto Alex Garland in “L’Ultima Spiaggia”, lo si fa per trovare una parte di sé stesso. Perché cercare per cercare il Paradiso, in certe occasioni, basta guardarsi dentro. Si può commettere un passo falso, perché è inevitabile, ma quel tentativo resta impassibile.
È lo stesso commesso da Zoe in Road 96 per sfuggire da una vita che non le apparteneva. Esiste il passato, però, e da esso non si può sfuggire. Road 96: Mile 0, infatti, è quel caleidoscopio necessario per capire al meglio una delle figure più iconiche dell’opera sviluppata da DigixArt. Ogni storia ha un inizio, soprattutto se non è affatto scontata.
“Una mattina mi sono svegliato” …
Secondo il dizionario di lingua italiana, la consapevolezza è la capacità di intuire, percepire, riconoscere e dare un nome alla realtà. Nel caso di Road 96: Mile 0 il sentimento non è può che essere differente dalle classiche maglie della costrizione e della pretenziosità, caratteristiche tipiche di qualunque forma di dittatura. È il 1996 a White Sands, la modernissima capitale di Petria, un luogo dominato da statue del Presidente Tyrak, che domina impunemente sul Paese con il pugno di ferro, convincendo le persone che non esista niente di più importante di un suo governo. È necessario, dice qualcuno. È la giusta scelta, afferma qualcun altro. Può salvarci dalla corruzione, afferma chi dipende direttamente dal Presidente e dalle sue brame, e omette le brutalità commesse da quest’ultimo, comprese le innumerevoli sparizioni di persone che hanno tentato di fuggire da Petria, con la speranza di un futuro migliore lontano dal suo oscurantismo.
Il racconto, infatti, si concentra sul periodo antecedente all’estate del viaggio di Zoe e dei vari protagonisti impersonati dal giocatore che hanno tentato di fuggire verso il confine. Il preludio della demo, che parla celermente del disastro avvenuto nell’86, si concentra su Zoe Muller e Kaito, un ragazzo abile con lo skate che consegna giornali per racimolare qualcosa per i suoi genitori, degli abitanti poveri della capitale che, al contrario della protagonista, vivono nella miseria in un luogo abitato da persone poco raccomandabili. Zoe Muller è invece la figlia del Ministro del Petrolio, un magnate ricco che abita nel quartiere più altolocato della città, protetto da un’ampolla di vetro che non gli consente di vedere cosa c’è oltre il suo naso e le sue stesse certezze. Un incontro del genere, soprattutto in un contesto simile, metterebbe in difficoltà chiunque.
Oltre a dare una breve ma fondamentale infarinatura sui protagonisti, lo spaccato brutale dedicato ai due protagonisti parla in modo deciso di cosa sta accadendo all’interno del Paese, con una differenza sostanziale fra poveri e ricchi che sta cominciando a diventare importante soprattutto per i giovani, che cominciano a interessarsi sul mondo e sulle possibilità di vita altrove. Una cosa simile, tuttavia, va in contrapposizione con le idee del regime attualmente in atto, che si focalizza sul patriottismo e una forma radicale di autarchia e potere assoluto, in cui in pochi possono esercitare le proprie idee ed essere realmente liberi. Anche se ho provato tre sezioni di gioco, di cui parlo più sotto, ho comunque colto ogni messaggio subliminale dell’esperienza e la potenza narrativa di un gioco che, oltre ad abbracciare un approccio più maturo e completo, offre una visuale migliore del prodotto.
Visuale che ho percepito in modo diretto e profondo, e che mi ha portato con la mente alla mia esperienza passata con Road 96. Temevo infatti che questo prequel, non riuscendo a mantenere lo stesso livello narrativo, avrebbe perso la sua atmosfera iconica e trascinante. Sebbene sia stato soltanto un piccolo assaggio, ammetto che ho pregustato ogni sezione in modo attento, catturandone ogni sfaccettatura. Ho approfondito, per l’appunto, il rapporto d’amicizia fra Zoe e Kaito, due giovani che si ritrovano a vivere in un Paese che sta invecchiando e non offre possibilità agli adolescenti e alle nuove generazioni. Studiando e interfacciandosi con il mondo, imparano ad amare, ad ascoltare musica diversa e ad approcciarsi alla vita con maggiore intensità, scoprendo idee che non avrebbero mai pensato di abbracciare.
Chiunque, da giovane, si è sensibilizzato a tal punto da cambiare le proprie certezze sul mondo, nutrendo dubbi nei confronti di qualunque cosa lo circondasse, specialmente sulla società. Se in Road 96 avevamo la certezza che solo un viaggio potesse risolvere ogni patema dei protagonisti, in Road 96: Mile 0 sembra esserci un altro tipo di approccio, strutturato con ancora maggiore intensità e cura.
Misurato e coinvolgente nel proporre una breve ma fresca cornice, non potrà che essere approfondito in un’altra sede per sviscerarlo e approfondirlo al meglio. Conoscere meglio Zoe e Kaito mi ha permesso di visitare il loro luogo del cuore in cui si rifugiano per scampare alla società di Petria e alla sua ipocrisia. Nonostante abbiano creato uno spazio dove sentirsi liberi non è una colpa, i loro dialoghi di queste prime due ore e mezzo di gioco si concentrano sulla città, la fuga e i discorsi di libertà portati avanti da Kaito, sicuro di poter andarsene senza guardarsi indietro.
La Zoe che tutti hanno conosciuto in Road 96 in questo prequel non sembra la stessa, poiché è spaventata dall’ignoto che potrebbe farsi largo all’improvviso, pronto a fare la sua insopportabile comparsa e a rovinarle i piani di vita che le sembrano ormai scritti. Non posso dire molto altre a riguardo, se non che la profondità narrativa, considerate le premesse, sembra superiore al predecessore.
Tra le strade di una città che non dorme mai
White Sands, la cittadina più importante di Petria, è la rappresentazione del potere del Presidente Tyrak. Ci sono piazze con le bandiere del suo partito, graffiti che lo raffigurano trionfante e statue che svettano nel cielo accarezzando le nubi, come a dimostrazione che neppure gli uccelli sono realmente liberi di svolazzare dove vogliono. Proprio come Road 96, questo nuovo capitolo applica una visuale in prima persona in cui è possibile muovere il personaggio ovunque si desideri, interagendo con gli oggetti e parlando con le persone, alzando lo sguardo con la rotellina destra nel pad per selezionare la risposta indicata. Ogni azione, proprio come in passato, corrisponderà a una conseguenza, che intaccherà inevitabilmente la morale, indicata da una barra in alto posta a lato dello schermo.
In seguito, ho esplorato le tre aree disponibili, ognuna collegata al rifugio, e al loro interno mi sono imbattuto in personaggi e missioni che mi hanno ricordato inevitabilmente il capitolo antecedente. Ad esempio, ho aperto una finestra e rubato delle pile, trasmettendo della musica heavy metal, sostituendo una cassetta. A causa di questo avvenimento, per scampare alle Tute Blu, il gioco si è trasformato in un’avventura tridimensionale in cui ho evitato ostacoli muovendomi con i roller di Zoe e lo skate di Kaito, cercando di arrivare all’obiettivo nel minor tempo possibile per assicurarsi una valutazione positiva. Anche se ci ho provato, non è stato semplice, poiché è necessario essere rapidi e fulminei. Ogni area propone un’esplorazione di semplice approccio che necessita di essere approfondita meglio in futuro, così da capire al meglio ogni lato della struttura di gioco. Quanto ho provato, considerando le due ore in sua compagnia, confermano una maggiore cura per quanto concerne la struttura ludica, migliore e pensata proprio per rendere l’esperienza fluida. Il ritmo, condensato meglio, passa da parti esplorative, narrative e di gameplay vero e proprio rapidamente, non annoiando mai.
Nonostante sia soltanto una piccola porzione della nuova opera di DigixArt, sono soddisfatto per quanto ho provato, e non vedo l’ora di scoprire ulteriori suoi lati. Nel menu principale, inoltre, è possibile controllare i progressi compiuti e i vari percorsi, permettendo così al giocatore di rigiocare le sequenze a bordo dello skateboard o sui roller. La produzione, come accennavano in precedenza, mette in evidenza il rapporto fra Zoe e Kaito, costruendo attorno a loro una notevole profondità sotto il profilo del rapporto interpersonale, rafforzato inoltre dai dialoghi duranti i momenti concitati, soprattutto durante queste corse su piste ripide e pericolose, capaci di mettere in pericolo non sia capace a stare su uno skate.
È stato tutto rapido, forse troppo, e avrei voluto passare tempo ulteriore in compagnia dei due ragazzi proprio per capire maggiormente la profondità ludica e le sue tante alternative. Di sicuro, la struttura di gioco appare decisamente migliorata rispetto al passato, specie sotto la luce del game design, che risulta migliorato e sfaccettato, aggiustato per proporsi anche a nuovi giocatori oltre ai classici appassionati. In tal senso, l’opera non rinuncia al suo genere d’appartenenza, abbracciandolo e perfezionando quel vincente lato narrativo che reso celebre il predecessore.
Cosa aspettarsi da Road 96: Mile 0?
Lo ammetto, aver avuto l’opportunità di provare in anteprima Road 96: Mile 0 è stato meraviglioso e inaspettato, ma me lo sarei dovuto aspettare. Da qualche anno a questa parte, Yoan Fanise dimostra di essere un ottimo creator e game designer, riuscendo ad amalgamare le sue idee e i temi che intende raccontare con intelligenza e tatto. Un risultato del genere è complesso da raggiungere, specie se rifletto sulle tante opere pubblicato dallo sviluppatore francese negli ultimi otto anni, e ognuno di essi ha sempre avuto un ottimo successo.
Road 96: Mile 0, infatti, si prospetta come un’opera che intende raccontare le particolarità della vita in ogni modo, parlando al cuore dei giocatori di libertà, amore e accettazione. Uno scopo nobile, uno scopo che notiamo in Zoe e Kaito nelle loro peripezie, proiettati entrambi a scoprire tutti quanti i lati umani che ancora non conoscono e visitando luoghi delle loro menti ancora del tutto inesplorate. A volte basta un viaggio, in altre occasioni una fuga improvvisa chissà dove e spesso, invece, serve pensare e capire come migliorare, non guardandosi indietro ma solo davanti, pronti a vivere per davvero avventure significative. Un nuovo viaggio ha inizio.