Purtroppo, la prima parola che mi viene in mente pensando alle ore spese fino a ora assieme a Rise Of The Ronin è: mediocre.
Il ché è un vero peccato considerando quanta stima io riponga in Team Ninja, quanto apprezzi la loro visione del genere souls-like e, soprattutto, quanto mi attraggano, da sempre, le produzioni ambientate nel periodo Eno.
Eppure, almeno sulla carta, l’insieme di generi, stili e ispirazioni di cui si compone l’ultima produzione di Team Ninja, dovrebbe essere ben più che convincente, eppure qualcosa non funziona, ancora, come dovrebbe.
Ovviamente vi parlo in seguito a una prova di una manciata di ore, troppo poche per concretizzare un verdetto definitivo, ma abbastanza per consolidare una prima impressione che sarà davvero difficile, per Rise Of The Ronin, stravolgere completamente.
Un combat system interessante ma a tratti eccessivo
Il motivo principale è anche dovuto da una prima mezz’ora di gioco al limite del soverchiante per la quantità di elementi di gameplay messi sul piatto da Team Ninja.
Tutto comincia, difatti, nel tardo diciannovesimo secolo, durante la guerra Boshin. In uno scenario martoriato dagli orrori della guerra, uno dei fronti che si oppongono allo shogunato è quello delle Lame Velate, un ordine che vede i suoi combattenti crescere in coppia, generando una sintonia emotiva, e una sinergia sul campo di battaglia, talmente elevata da risultare come una persona sola.
Con questo incipit, nei primi momenti di gioco, verrà chiesto di definire l’aspetto fisico, e le caratteristiche che definiranno la classe iniziale, di due personaggi: un maschio e una femmina, i quali rappresenteranno, almeno apparentemente, i due protagonisti che controlleremo durante il corso dell’avventura.
L’editor è, come da consuetudine, di buona fattura, così come le molteplici statistiche, che ci verranno presentate mentre creeremo la classe iniziali, profumano fortemente di Ni-Oh.
È solo una volta terminata la classica creazione del personaggio, in perfetto stile Team Ninja, che tutto prende una piega eccessivamente convoluta.
Ci si trova, difatti, a controllare due personaggi nello stesso momento (premendo L1 e freccia in alto per scambiarli in tempo reale durante i combattimenti), una dinamica decisamente interessante se non fosse che questo elemento si inserisce in un combat system che pesca a piene mani sia da Ni-Oh che da Wo-Long, offrendo al giocatore: stance differenti, armi di varia natura, barra del Ki (molto banalmente la stamina) da tenere in considerazione e, ovviamente, tutto quell’ingranaggio composto da attacchi, schivate, contrattacchi, rottura della postura avversaria e tecniche speciali, che rendono i primi momenti di Rise Of The Ronin eccessivamente convoluti.
Non fraintendetemi, non si tratta di un gameplay complesso, ma semplicemente di un esercizio di stile mal realizzato. Per farvi capire meglio cosa intendo, vi basti pensare che con R1 si assume una stance che permette di innescare le varie abilità offensive speciali, allo stesso tempo però, servirà premere R1, assieme a una delle frecce direzionali, per cambiare armi in volata. Alla stessa stregua, L1 permette di parare gli attacchi, mentre unirlo alle frecce direzionali permette di cambiare personaggio in tempo reale. Ah… e se volete compiere un parry o un contrattacco, ovviamente non dovrete premere L1 ma triangolo, il quale, però, è anche associato agli attacchi pesanti.
Insomma un calderone di input diversi che richiedono una curva di apprendimento fin troppo ripida per un semplice tutorial.
Messo agli atti che Team Ninja molto probabilmente non ha mai sentito il detto “Less Is More”, quello che stupisce è come, una volta terminato il primo tutorial e lanciati nella prima missione del gioco, si venga introdotti a tutta una serie di meccaniche stealth (che ai più anziani riporteranno alla mente Tenchu) che permettono, letteralmente, di ignorare tutto quello appreso fino a quel momento, in favore di un approccio silenzioso e letale.
Un Giappone forse troppo tradizionale
Una virata che, per quanto sensata se si riflette sull’economia generale del ritmo di gioco, stranisce proprio per il cambio repentino di stile di gioco.
È, però, solo una volta che si è superato il primo boss di Rise Of The Ronin, che la produzione di Team Ninja si apre davvero, ma nel farlo stravolge ancora una volta tutti quegli input che si era prodigata di trasmettere al giocatore.
Rise Of The Ronin, infatti, è di base un open world che, nel provare a replicare quanto fatto da Sucker Punch con Ghost Of Tsushima, prova a mescolare tutte le regole che il genere si porta dietro da quasi due decadi a quelle dinamiche che rappresentano quel combat system che oramai è un marchio di fabbrica per Team Ninja.
Il vero problema è che nel farlo, il team di sviluppo non è riuscito a restituire un’esperienza diversa dalla massa e che, anzi, in molteplici occasioni risulta, almeno per ill momento, realizzata con eccessiva superficialità.
Fin dai primi momenti spesi sulla mappa di gioco, ci si ritroverà a utilizzare un solo personaggio, confinando il “combat system a due” esclusivamente ad alcune missioni circoscritte in cui il protagonista potrà fare affidamento su alleati di diverse fazioni.
Il mondo di gioco, per quanto apparentemente contenuto nelle dimensioni, non risulta eccessivamente vuoto ma le attività iniziali si limitano alla liberazione di avamposti, al cercare punti d’interesse, a dare la caccia a dei latitanti e… ad accarezzare gatti, il tutto rinforzato da quest principali, e missioni secondarie, che nelle prime ore non osano mai, limitandosi a chiedere costantemente al giocatore di recarsi in un punto specifico, eliminare le minacce e reperire oggetti.
Un modello di gioco che sembra pensato per sfruttare al meglio il combat system ma che pecca nel farlo per via di un’intelligenza artificiale davvero sommaria e che, per chiunque abbia un pelo di dimestichezza, non riesce mai a offrire una sfida degna di questo nome, almeno nelle attività disponibili nell’open world.
Per farvi un esempio molto breve di quel che vi sto dicendo: durante il mio peregrinare, mi sono imbattuto in un avamposto ricolmo di nemici parecchi livelli sopra al mio. È bastato colpirli alle spalle per togliergli una porzione di vita, allontanarmi per uscire dal loro campo visivo e ripetere quest’operazione, più e più volte, per liberare un intero avamposto di nemici potenzialmente letali e ottenere dell’equipaggiamento parecchio potente oltre che un sacco di esperienza.
Un episodio tanto ilare, quanto demotivante, e che rappresenta il problema principale di Rise Of The Ronin, ovvero aver voluto realizzare un Open World, molto canonico e di stampo action, introducendo a forza delle meccaniche da action-GDR di chiara ispirazione souls-like, senza tenere conto di tutti quei dettagli che avrebbero garantito un’esperienza più coesa, divertente e bilanciata.
Non è un caso, infatti, che le missioni principali siano delle “fasi a se stanti”, dove bisognerà scegliere equipaggiamento, e alleati, prima di entrare in un’area “circoscritta e lineare” dove si svolgerà la missione e il combat system, per quanto convoluto, emergerà in tutto il suo tecnicismo.
Per quanti riguarda l’esplorazione del mondo di gioco è spiccatamente arcade e mette a disposizione un cavallo, un rampino e un deltaplano, per favorire la dinamicità e accorciare i tempi morti che si spenderebbero a correre fra le brughiere giapponesi.
Molto interessante, almeno in seguito a queste prime ore di gioco, la meccanica delle alleanze, la quale permette, attraverso un sistema di scelte, di allearsi con altri personaggi provenienti dalle varie fazioni in guerra contro lo shogunato. Ovviamente questi personaggi cercheranno di spingere il protagonista verso la loro causa ma il potersi alleare con diversi personaggi, tutti controllabili direttamente e caratterizzati da stili di combattimento diversi, per portare a termine diverse missioni è un aspetto decisamente interessante che, se sviluppato a dovere, potrebbe riservare delle piacevoli sorprese.
Tecnicamente: rimandato!
Vorrei evitare, almeno per il momento, ogni commento sul comparto tecnico di Rise Of The Ronin, ma purtroppo non credo che basti una patch correttiva per sistemare le troppe sbavature, e le evidenti arretratezze, da cui è afflitto.
Animazioni dozzinali, compenetrazioni costanti, artifici grafici, sbavature nelle texture e una un doppiaggio italiano che, per quanto apprezzabile in termini di sforzo, risulta davvero poco convincente sotto quasi ogni punto di vista.
Non si tratta di un disastro, sia chiaro, ma siamo di fronte a un titolo che sembra, in linea di massima, realizzato dalla Team Ninja del periodo PS4 e non dinnanzi a una produzione, esclusiva, per PlayStation 5. Vedremo comunque da qui alla sua uscita se la situazione migliorerà o meno.
Quello che però vorrò scoprire in fase di recensione è il perché, un titolo che apparentemente non sembra brillare sotto molteplici aspetti, sia capace da qualche giorno di tenermi incollato alla PS5, riuscendo, al netto di tutti i suoi difetti, a divertirmi e a farmene volere ancora.