Il prossimo 16 luglio Nintendo pubblicherà su Nintendo Switch The Legend of Zelda: Skyward Sword HD, riedizione in alta definizione e con varie altre migliorìe del capitolo della serie originariamente uscito su Wii. Delle iterazioni tridimensionali della serie pre Breath of the Wild era rimasto l'ultimo a non essere stato ancora riproposto in una nuova versione: Ocarina of Time e Majora's Mask sono passati da Nintendo 64 a Nintendo 3DS grazie a una mirabile operazione di rinnovamento, The Wind Waker da GameCube a Wii U, ottenendo il beneficio dell'alta definizione e di un'illuminazione totalmente nuova, Twilight Princess da GameCube e Wii a Wii U, anch'esso con un aumento della risoluzione, e per il resto praticamente inalterato.
È abbastanza difficile categorizzare tali operazioni nei termini che generalmente le inquadrano, remaster e remake, perché di fatto non esiste una linea netta che segna tra essi una distinzione. È chiaro che un gioco del tutto nuovo, e l'esempio più immediato è quello della recente riproposizione di Final Fantasy VII, è un remake, ma lo stesso gioco con asset totalmente rifatti, tra modelli tridimensionali e texture, non sarebbe da considerare lo stesso come nuovo? Diversa la situazione quando è solo la risoluzione a essere aumentata, in tal caso sono più o meno tutti concordi nell'utilizzare il termine remaster, ma anche lì, è una parola che spesso serve un po' a imbellettare un qualcosa che potrebbe semplicemente essere definito come “riedizione in alta definizione”. Ma non fa lo stesso effetto, vero?
Facciamo allora che delle definizioni non ce ne importa nulla e proviamo ad analizzare caso per caso le singole operazioni. Le riedizioni di Ocarina of Time e Majora's Mask non solo sono del tutto superiori alle versioni originali in termini tecnici, ma sono molto coerenti con la direzione artistica che le aveva partorite: modelli e texture sono nuovi, ma basta un rapido confronto con le immagini dei giochi su Nintendo 64 per appurare una certa conservazione della visione originaria. Che non è quanto possibile affermare già nella riedizione per Wii U di Wind Waker.
L'originale per GameCube è in assoluto uno dei videogiochi dallo stile visivo più particolare di sempre, grazie a un bellissimo cel shading, e su Wii U solo a un'occhiata superficiale sembra lo stesso gioco, ma in alta definizione. In realtà la versione per la console con il paddone ha un sistema di illuminazione totalmente diverso, con un bloom particolarmente accentuato, che cambia tutto: non solo come si proiettano luci e ombre, ma soprattutto la palette cromatica (i verdi in particolare all'aperto tendono quasi all'acido) e il contrasto, nettamente inferiore. Si tratta di un gioco comunque meraviglioso da vedere, che molti potrebbero tranquillamente preferire nell'estetica rispetto all'originale, ma non è questo il punto. Il punto è che ne è diverso al punto da quasi tradirne la visione artistica originaria, perché quel bloom così generoso quasi non lo fa sembrare più un gioco in cel shading, altera l'originale aspetto da cartone animato.
Si potrebbe pensare che il semplice passaggio dalla bassa all'alta risoluzione sia del tutto conservativo, ma non è vero, e le riedizioni di Twilight Princess e Skyward Sword stanno lì a dimostrarlo. Il motivo non risiede però tanto nei giochi, quanto nel dispositivo che li mostra: la TV. I giochi in bassa risoluzione erano concepiti non per LCD, LED e OLED, ma per gli schermi a tubo catodico: differenti caratteristiche, differente funzionamento, differente immagine. Il bloom di Twilight Princess, così connotativo di quel mondo perennemente immerso nel crepuscolo, non è meno percepibile e quindi meno di atmosfera su Wii U perché è stato attenuato; lo è sia perché l'aumento di risoluzione ha ripulito un'immagine sporca (anche in maniera affascinante, ma sempre sporca), ma soprattutto perché si trattava praticamente dell'effetto perfetto da far riprodurre dall'incandescenza del catodo, in una maniera non esprimibile dai pannelli moderni. Lo stesso vale per l'effetto acquerello di Skyward Sword, che spalmava i colori dei paesaggi non nelle immediate vicinanze di Link e che quasi sembra assente su Nintendo Switch (anche se stavolta forse qualcosa è stato modificato proprio nell'implementazione dell'effetto stesso).
Questa riflessione è partita dall'analisi delle riedizioni dei vari capitoli di The Legend of Zelda per un duplice motivo: il primo è semplicemente che queste si prestavano benissimo, per numero e tipologia, a essere messe sotto la lente di ingrandimento, il secondo è sottolineare come anche un'azienda da sempre estremamente attenta alla visione artistica dietro le proprie produzioni quale è Nintendo possa avere dei problemi nel cercare di rispettare quella originaria nelle loro riproposizioni. Chiaramente, però, si tratta di una questione che investe l'industria videoludica tutta, a maggior modo in questa epoca, molto interessata da operazioni di recupero di un passato più o meno remoto.
La riproposizione dei grandi videogiochi di qualche anno fa è sempre positiva, a mio modo di vedere, fosse anche solo per la necessità, sempre più stringente, di slegare la singola produzione dalla sua data di pubblicazione attraverso la risoluzione dei problemi legati alla sua reperibilità e alla sua fruibilità o alla vetustità di certe meccaniche di gioco. Non bisogna essere integralisti, non si può far finta che non siano passati anni di innovazioni tecnologiche e che esistano questioni di semplice comodità: per fare un esempio, con lo splendido remake di Resident Evil 2 disponibile, così curato tecnicamente e così rispettoso dell'originale, chi si sognerebbe mai di consigliare o giocare l'originale per PlayStation? O ancora, Shadow of the Colossus: invecchiata male la versione originale, PlayStation 2, ingiocabile a causa dei problemi di frame stuttering quella PlayStation 3, ecco come il remake per PlayStation 4 sia perfetto per godere dell'opera di Fumito Ueda. È del tutto rispettoso della visione artistica originaria? Forse no, perché anche lì si ripropone la stessa identica questione relativa a Twilight Princess, con quelle particolari atmosfere del mondo di gioco, veicolate da un diffuso bloom, che un po' si perdono. Ma l'alternativa sarebbe giocare alla macchinosa versione PlayStation 2 su TV dotata di tubo catodico. Fattibile?
Dobbiamo quindi accettare che si perda una parte della visione artistica dietro un videogioco quando questo passa attraverso remaster, remake e simili? Temo di sì. A volte una piccola parte, altre una rilevante, ma è probabilmente inevitabile. Ma lo facciamo già in realtà, da anni, ogni volta che facciamo partire sulle nostre console di nuova generazione, collegate a pannelli moderni, i grandi classici dell'epoca 16 bit, per esempio, o comunque qualunque gioco pensato per una fruizione su tubo catodico. Non ci credete? Date un'occhiata al progetto CRT Pixels, per avere un'idea di quanto un'immagine cambi a seconda della tipologia di schermo. Ma non tutti possiamo avere l'abbondanza di setup del buon Jordan Starkweather, che lo cura.
Si tratta quindi di accettare dei compromessi, tra la massima fedeltà all'opera originale, dal punto di vista artistico, e la possibilità di fruire di quanto di significativo questa esprime, come videoludo nel complesso. Possiamo anche augurarci che i team di sviluppo implementino soluzioni atte a conservare quanto più possibile la visione originaria, ma con la consapevolezza che si tratterebbe di espedienti di relativa efficacia (pensiamo all'emulazione delle linee di scansione dei CRT in alcuni giochi bidimensionali, che può ricordare, ma non replicare, l'immagine generata da un TV a tubo catodico). È tutto sommato un piccolo prezzo da pagare, per godere oggi di quanto di bello offriva il passato, anzi per andare verso un futuro nel quale la data di pubblicazione di un gioco, con tutto quanto comporta, non sarà più un discrimine, esattamente come in altri medium, dalla letteratura alla musica al cinema.
The Legend of Zelda: Skyward Sword è comunque uno dei capitoli più particolari della serie, potete prenotarne la versione Nintendo Switch su Amazon Italia.