Red Dead Redemption 2: Sadie Adler e le altre, la figura della donna nel Far West

Molte delle figlie e nipoti di queste donne esuberanti, che nel West trovarono e sfruttarono opportunità altrove ancora negate, vivono e guardano a queste eroine della frontiera – troppo poco riconosciute – con l’orgoglio che meritano.

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a cura di Alessandra Borgonovo

Red Dead Redemption 2
offre una serie di personaggi memorabili, sia maschili sia femminili, ma uno in particolare colpisce per la sua incredibile caratterizzazione: Sadie Adler, il cui comportamento da dura e le reazioni autentiche – di pancia potremmo dire – la adattano così bene alla banda di Van Der Linde da avermi fatto sperare più volte di poterne prendere il controllo. Un’ipotesi che non si può escludere del tutto, non sapendo quali piani futuri abbia Rockstar, ma restando con i piedi per terra c’è una certezza definitiva sotto gli occhi di tutti: Sadie è una delle migliori donne videoludiche mai sviluppate, la miglior fuorilegge che si potesse avere in un gioco come Red Dead Redemption 2 ma soprattutto lo spunto per una riflessione più ad ampio respiro. Il ruolo della donna nel Far West.

Un cowboy solitario cavalca nel sole al tramonto, lasciandosi alle spalle una donna bianca grata per il suo aiuto, ma al contempo dispiaciuta nel vederlo andare via; un colono preoccupato di questa affezione da parte della moglie e tuttavia in debito con il pistolero per aver salvato la sua fattoria; gli abitanti del villaggio scossi dalla recente violenza, eppure sicuri del fatto che il loro piccolo paese sia sulla strada della civilizzazione; infine, l’eco del pianto di un ragazzino. Questa scena conclude il film del 1953, Shane (Il cavaliere della valle solitaria, in italiano), vincitore dell’Academy Award ma anche perfetto contenitore dell’esperienza western messa a disposizione del pubblico per almeno cent’anni. Eroi e antagonisti sono uomini, le donne bianche esistono solo come personaggi di supporto ma sono prive di una qualunque autorità decisionale, mentre le minoranze etniche – se mostrate – vengono raffigurate come prostituite o in generale donne dalla cattiva influenza. Fino a pochi decenni fa, la storia della frontiera americana nella saggistica, nella narrativa e nel cinema era solamente questa: la “sua” (di lui) storia del West.

Una terra di opportunità

Nell’immaginario americano, i selvaggi e aspri paesaggi dell’Occidente sono punteggiati da uomini solitari a cavallo, fuorilegge, sceriffi, cowboy… ma la frontiera era anche casa di donne le cui storie stridono con la stereotipata sceneggiatura hollywoodiana. Quali ragioni le spinsero in territori come California o Wyoming e che tipo di vita potevano condurre lì? Godevano delle stesse libertà e della vita avventurosa delle loro controparti maschili? Si tratta di un argomento complesso per il quale un solo articolo non è naturalmente sufficiente, non quando sono stati scritti libri e libri a riguardo, ma vuole dare almeno un’infarinatura sulla figura femminile – che il pensiero collettivo vuole spesso limitata a esempi come “Calamity Jane”, la cui storia conta aneddoti molto leggendari e poco reali.

Anzitutto specifichiamo che le donne abitavano il cosiddetto Occidente ben prima delle migrazioni dall’Europa – o dallo stesso est americano – con testimonianze risalenti al XII secolo. L’articolo si rifà agli anni successivi alla guerra di secessione americana (1861-1865), a seguito della quale le donne trovarono a ovest molte opportunità che altrove non erano concesse: dal diritto di voto, a una equa retribuzione per l’insegnamento fino a leggi più liberali in materia di divorzio. Il Wyoming approvò ad esempio nel 1869 una serie di norme simili, sebbene le intenzioni dietro guardassero ad attirare più insediamenti da parte dei bianchi e al contempo disturbare le popolazioni indigene. In generale comunque l’Occidente è stata la prima area degli Stati Uniti ad accettare il suffragio femminile – in Read Dead Redemption 2 si possono difatti incontrare le suffragette – concedendo il diritto di voto alle donne molto prima che lo stesso accadesse negli stati orientali. Per quanto selvaggio, dunque, l’ovest rappresentò una terra di opportunità non soltanto per gli uomini e permise alle donne di emergere persino nella letteratura: dalla loro vita quotidiana trassero materiale per lettere, diari, schizzi, saggi e storie da mandare alla stampa e che, soprattutto a est, ricevettero consensi popolari.

"Donne selvagge"

Questi privilegi erano ovviamente legati allo status sociale, non tutti potevano goderne allo stesso modo, ma una qualità in particolare accomunava queste donne: per vivere a ovest serviva coraggio. Il cosiddetto “sesso debole” incontrava sulla propria strada ogni sorta di ostacolo ma nonostante tutto, o forse proprio per questo, la frontiera americana attraeva legioni di donne anticonformiste, solitarie, eccentriche e avventuriere che a dispetto delle difficoltà non persero il loro umorismo. Se poteste tornare indietro a quel periodo non sarebbe strano sentire una vedova alla guida di un ranch commentare: “Ho avuto trecentocinquanta capi di bestiame e un figlio: non so chi di loro sia stato più difficile da allevare”. O ancora, non mancava in loro un radicato pragmatismo, testimoniato da una frase piuttosto ricorrente per cui “quando c’era qualcosa da fare, si faceva senza troppe storie”.

L’esempio migliore in questo senso è certamente quello di Barbara Jones, conosciuta come Ma’am Jones e la cui storia è stata raccontata dalla storica Eve Ball nel suo libro “Ma’am Jones of the Pecos” del 1973, per il quale intervistò i membri della famiglia venendo a conoscenza di quanto segue: con il marito e i suoi dieci figli, Barbara Jones si stabilì nei pressi del fiume Pecos, Nuovo Messico, negli anni ’70 del XIX secolo. Aprirono un negozio vicino a Seven Rivers e mentre il marito si occupava di trasportare provviste, Ma’am Jones, come la chiamavano amici e figli, amministrava negozio e prole. Il medico più vicino distava quasi duecentocinquanta chilometri ed era inevitabile che prima o poi ci sarebbe stata una qualche tragedia: prevedibilmente accadde e un giorno uno dei suoi dieci figli la raggiunse di corsa per dirle che “Sammy è stato ferito!” Corsa fuori, Ma’am Jones scorse il figlio faccia a terra e quando lo sollevò per pulirgli il volto da sangue e sporcizia si rese conto che era stato spinto contro delle schegge di vetro. A un esame più attento notò inoltre che una palpebra era stata quasi recisa da un frammento ed era letteralmente appesa a un filo. Ignorando il pianto isterico del figlio lo portò a casa, lo stese sul tavolo della cucina e si fece portare il suo corredo da cucito: mentre il giovane Sammy si dimenava, Ma’am Jones ricucì la palpebra con molto – appunto – pragmatismo. Ma non è la sola vicenda per cui vale la pena ricordarla: sembra infatti che la donna si fosse presa cura di un bimbo, il cui nome non dovrebbe suonare nuovo agli appassionati. Un certo Billy Bonney

Aneddoti a parte, che in ogni caso concorrono a ricostruire una figura troppo spesso dimenticata, la storia delle donne nell’Ovest è ulteriormente complicata dalla definizione di Ovest come luogo: per molti è una frontiera, una regione caratterizzata da scarse piogge, una terra di opportunità e luogo immaginario dove il bene e il male sono ben delineati. Eppure, nonostante la moltitudine di possibili descrizioni che portano, di conseguenza, alla definizione di confini, le vite di queste donne non sono da racchiudere entro una qualche specifica categoria, come non lo è la storia delle loro esperienze. C’erano donne che già abitavano l’Occidente prima dell’arrivo dei coloni e subirono una dislocazione forzata a livello fisico, culturale, economico e politico per fare spazio ai cosiddetti pionieri; oppure c’era chi faceva dell’individualismo la propria bandiera e raggiungeva l’ovest con il solo obiettivo di ottenere di privilegio di poter fare ciò che voleva – un modo edulcorato per dire che alcune donne erano di facili virtù e volevano sentirsi libere di esercitare prendendo da sé le loro decisioni. Vite e storie si sviluppavano dunque in base al periodo e alle opportunità, alla classe sociale e all’etnia, rendendo il lavoro di ricostruzione più complesso di quanto non sia stato dato credere negli anni.

Perciò se da un lato abbiamo donne come Margaret Chung, prima donna cinese di origini americane a diventare medico partendo da una situazione famigliare molto difficile, dall’altro abbiamo figure più radicate nell’immaginario comune come Annie Oakley e Calamity Jane, avventuriere e pioniere per antonomasia; nel mezzo migliaia di altre vite e storie che potrebbero non avere nulla da invidiare ai protagonisti di un West sinonimo di opportunità anche per tante donne. La storia delle “donne selvagge” di un altrettanto selvaggio ovest non finisce nel profetico 1899, anno in cui la frontiera si trovò a cedere con maggior forza il passo alla civilizzazione: le ragazze da saloon, le pioniere grintose e le scaltre señoritas lasciano semplicemente il posto a una nuova discendenza di donne occidentali, persino più selvagge e, in diversi casi, più forti delle loro madri. Molte delle figlie e nipoti di queste donne esuberanti, che nel West trovarono e sfruttarono opportunità altrove ancora negate, vivono e guardano a queste eroine della frontiera – troppo poco riconosciute – con l’orgoglio che meritano.

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