Una regia da premio Oscar, ma la perfezione è un'utopia
Scrivere la recensione di un gioco come BioShock Infinite è un compito decisamente complesso. La voglia di comunicare al mondo la propria passione verso quello che si può considerare uno dei candidati al titolo di miglior gioco dell'anno è molto elevata, ma al tempo stesso non si può negare che limando qualche difetto questo gioco, pur essendo molto bello, sarebbe potuto essere ancora più affascinante.
BioShock Infinite - Clicca per ingrandire
Se BioShock Infinite fosse stato un film avrebbe sicuramente vinto l'Oscar per la migliore direzione artistica e avrebbe agguantato qualche nomination in diversi altri campi. La mano "magica" di Ken Levine, colui che ha diretto il primo apprezzatissimo BioShock, è ritornata e si vede fin dalle prime battute del gioco.
Columbia è una città fantastica, utopistica e bellissima da esplorare. I palazzi volanti che si appoggiano su enormi palloni aerostatici sembrano quasi galleggiare in un mare fatto di aria e nuvole. Scordatevi gli abissi e la luce artificiale di Rapture, Columbia è un sogno molto più luminoso e perennemente baciato dal Sole.
La sensazione di smarrimento che proverete appena ci metterete piede non vi abbandonerà nemmeno quando poserete il mouse e la tastiera (o il joypad) per ritornare al mondo reale. Tutto sembra fatto per essere esplorato con calma, assaporando ogni dettaglio e ogni chicca nascosta dagli sviluppatori.
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Sembra quasi un vero peccato che il gioco stesso incentivi poco l'esplorazione, grazie a una trama intricata e ricca di misteri, che invoglia il giocatore ad andare avanti spedito per cercare di trovare le risposte a tutte le domande. Uno dei primi difetti di BioShock Infinite è proprio questo, non saper valorizzare uno degli aspetti meglio riusciti del gioco, cioè l'ambientazione.