Non ho mai acquistato una console al day one prima della mia vita professionale, laddove “professionale” si intende quel momento in cui, grazie al mio lavoro di giornalista e recensore, ottenere una console sia diventato molto più semplice e immediato. Prima, però, sono stato schiavo, come tutti, dell'incertezza economica che deriva dalla gioventù in cui, salvo una famiglia particolarmente generosa, qualsiasi “bonus” che non fosse il piatto a tavola, i vestiti e la scuola andava faticosamente sudato a colpi di salvadanaio. Sto divagando.
Il punto è che, pur non ricevendo PlayStation 1 il giorno della sua uscita, e non avendo neanche lontanamente i soldi per poter noleggiare la scatola vuota, le generazioni console del mio passato le ho vissute tutte con una certa eccitazione o, se vogliamo, una tensione spasmodica che mi ha portato a pensare, sognare, desiderare quell'oggetto di plastica attorno a cui si creava, generazione dopo generazione, un chiacchiericcio incessante ed un notevole fervore. Era il desiderio, nella sua forma più pura. Il bisogno ossessivo di possedere un qualcosa oltre ogni immaginazione. Un desiderio che era figlio tanto di una comunicazione parimenti ossessiva, tanto di quella sorta di sensazione che ci rendeva tutti partecipi di un momento, unico e forse irripetibile, che ci permetteva di entrare in risonanza.
PlayStation faceva la storia. Cambiava le carte in tavola e noi, inebetiti dal bisogno di averla, eravamo parte di un'evoluzione storica che avrebbe cambiato per sempre il mondo di concepire, ed anche comunicare e soprattutto vendere, il videogioco. Un qualcosa che Sony è stata in grado di ripetere non 1, ma ben 2 volte, anche se penso che i più concorderanno che una svolta, un momento in cui le parole sono state sostitute dai soli “wow” fu con PlayStation 2. Il “monolito nero” era qualcosa di assurdo dal punto di vista tecnico e, in quanto tale, glissò via ogni dubbio sul fatto che quello che stavamo vivendo fosse il futuro. Il videogioco si evolveva e con esso, in fin dei conti, ci stavamo evolvendo anche noi, tanto nell'approccio quanto nei bisogni, ma non nel desiderio, che restava lì a rosicchiarci il cervello con una foga immane.
Eppure, oggi come oggi, non mi frega nulla di PlayStation 5. Dopo tutta questa passione e questo “piacere”, mi rendo conto che della nuova generazione non me ne frega davvero niente. Desidero la nuova console Sony come desidererei un tablet nuovo, un nuovo orologio, o l'ennesima action figure messa a prendere polvere sullo scaffale. Sostanzialmente parlo di tutta quella roba che accumuliamo nelle liste Amazon o nei nostri pensieri, che pensiamo di comprare prima o poi , qualora ci siano i soldi, o anche solo la voglia di spenderli, salvo forse non comprarle mai. Non c'è la foga, non c'è più quella “tensione evolutiva”, quella sensazione darwiniana di dover compiere un passo in avanti sulla scala dell'evoluzione tecnica. Quello sprono che mi veniva da dentro, e che mi obbligava moralmente ad acquistare.https://www.youtube.com/watch?v=HbwvnaNJVZ4
La cosa paradossale è che le mie possibilità economiche di oggi sono (grazie al cielo) profondamente diverse da quelle dell'epoca. Oggi acquistare una console non sarebbe un problema, non dovrei racimolare chissà quanto, e non dovrei neanche dar conto a nessuno: potrei comprarla e basta, ammesso che fosse liberamente disponibile ovviamente, ma se anche lo fosse non mi importerebbe granché.
E badate perché, come spero abbiate capito dal mio racconto, non sono di quelli che hanno patteggiato per Microsoft, Nintendo o chissà quale altra bandiera del mondo dei videogame. Non sono qui a fare l'hater PlayStation o a dirvi che è meglio Series X. Perché amo il videogame in ogni forma, certo, ma il mio amore è per PlayStation, ed è un amore che è stato coltivato da quando le cartucce hanno lasciato spazio al CD. Allo stesso tempo non è una questione di “volpe che non arriva all'uva” perché, credetemi, di possibilità per acquistarla ne ho avute parecchie (anche grazie a Tom's Hardware ed alla sua sezione offerte), dunque arrivo al punto da penate che, semplicemente, non mi importa nulla. Il dubbio però, è nel capire il perché, complice la sensazione di non essere il solo a trovarsi in questa strana e, per certi versi nuova, situazione.
Perché non mi importa di PlayStation 5? O meglio, perché non mi importa più di PlayStation?
Darsi una risposta è difficile ma diciamo che, per ciò che mi riguarda, spero sia chiaro che non è un problema di soldi, di scorte disponibili o di bandiere. Sarà allora le sensazioni che ho vissuto attraverso questa comune (e frustrante) esperienza del COVID, che ha messo in stand by le nostre vite e, con esse anche buona parte dei nostri interessi. O forse, ancor più a fondo, è la sostanziale pochezza di una lineup che, ad oggi, mi offre sì e no un solo guizzo che mi giustifichi l'acquisto, quello di Returnal. Il resto mi pare tutto di una calma piatta o, se vogliamo, di una noia mortale. È tutto lì, a disposizione della vecchia gen, ed anche se indubbiamente PS5 è diverse volte superiore alla sua sorellina minore, PS4 Pro, la verità è che non ho nessun motivo davvero valido per acquistarla, che i giochi, in fondo, son tutti accessibili.
Anche la comunicazione di Sony, il modo in cui mi è stato detto che questa PlayStation 5 è “la cosa più bella del pianeta” mi pare lontano anni luce dal passato. Non sento il brivido, non sento la passione, sento solo il bisogno da parte di un'azienda di vendermi una macchina. Una macchina potente, certo, ma comunque solo una macchina, che è sostanza ben diversa da un'idea, o anche solo da un pensiero perché, almeno io, sento di aver capito da anni che arte e potenza, o che divertimento e potenza, non sono quasi mai strettamente connessi.
Non a caso, come saprà chi mi conosce (o quantomeno mi legge, visto che ne ho parlato qui), oggi come oggi non gioco ad altro che a Monster Hunter Rise, le cui texture sugli arti di certi mostri sembrano richiamare fortissimo ad un'estetica a metà tra Minecraft e i mattoncini Lego. Ma quando mai è stato importante in effetti? Quando, salvo che per soddisfare un certo onanismo tecnico, un pixel più definito ha effettivamente stabilito quanto un gioco fosse più o meno divertente? Sostanzialmente mai.
Allora penso che forse non desidero PlayStation 5 perché, in effetti, non avrei nulla con cui giocare, ma poi mi rispondo che non è così, è che proprio non sento il richiamo, o anche solo il fascino. Non sento il desiderio, ed è triste, perché come in una relazione, quando il desiderio muore poi muore la relazione stessa, o si resta intrappolati in un limbo di eterna incertezza e, infine, di sofferenza. Forse basterebbe che Sony mi facesse innamorare di nuovo, ma non con i giochi, non con l'ennesimo giocone che fa gridare a tutti, il giorno dopo, “oh mio Dio questa sì che è next gen!”. Vorrei che Sony tornasse a farmi sentire il brivido dell'arte, vorrei che tornasse a comunicare e non a mostrare. Vorrei che mi vendesse un'idea, come ai tempi di PlayStation 2, che ancor oggi mi fa chiedere che diamine fosse quel “Third Place” e cosa dovesse significare. Era importante capirlo? No, ma era importante farne parte.
Vorrei che Sony mi corteggiasse un po' prima di vendermi la scatola di plastica che sì, è bella ed assai veloce, ma è sempre plastica. Liscia o ruvida che sia, con o senza disco, è una scatola che, da sola, non significa poi molto. E se non significa niente, allora non la voglio, non mi serve e – forse – non ne capisco nemmeno il senso. Sony, il punto è capire perché da amanti siamo diventati amici, e poi da amici sono diventato un cliente. Solo un cliente.
Uno dei tanti che ha sulle spalle un peso molto banale, non quello di capire l'idea, leggerla e decifrarla, ma solo di acquistare. Con tutto il rispetto, no grazie.
Nota dell'autore, 6 maggio 2021: i commenti e le reazioni hanno scaturito un secondo editoriale che potete leggere a queste coordinate.
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