"Se una macchina può provare emozioni e pensare, è sempre una macchina? E se non lo è, che cos'è: un umano? A questo punto, che cosa vuol dire essere umani?
Queste le parole di Adam Williams, Lead Writer di Detroit: Become Human, che nel corso della nostra intervista ci ha spiegato per filo e per segno quali sono le intenzioni del nuovo progetto di David Cage, con il quale ha collaborato nella stesura delle ben tremila pagine di sceneggiatura che compongono il tessuto narrativo del gioco.
Prima di fare quattro chiacchiere con chi il gioco l'ha creato, però, abbiamo avuto il piacere di dedicare due ore abbondanti al gameplay: una sessione di prova corposa, pregna di contenuti e perfettamente esplicativa di quella che è l'anima della produzione; un racconto interattivo stupefacente dal punto di visto tecnico e che aspira anche a raccontare una storia indimenticabile, ricca di significati impliciti e di personaggi di un certo spessore. Insomma, Detroit: Become Human ha dimostrato di avere tutte le carte in regola per essere un'altra esclusiva di peso all'interno dell'ecosistema Sony.
Detroit, anno 2038
Il futuro distopico in cui è ambientata la nuova opera di Quantic Dream affonda le radici nella possibile deriva che potrà prendere la nostra società contemporanea. La tecnologia è ormai uno degli aspetti fondamentali della quotidianità e gli androidi sono solo una delle ramificazioni che quest'ultima ha preso. Queste macchine al confine fra umano e meccanico svolgono tutte le mansioni possibili e immaginabili: poliziotti, dottori, baby sitter, qualsiasi cosa.
Sono ormai ramificati nel tessuto sociale e questa sotto specie d'invasione di intelligenza artificiale ha -almeno in parte- soppiantato la presenza umana. Una buona parte della popolazione ha perso il lavoro proprio a causa dei robot, e questo ha creato dei malcontenti oltre che due linee di pensiero: da una parte chi è entusiasta dell'upgrade tecnologico, dall'altra chi teme che quest'eccessivo utilizzo degli automi possa in qualche modo compromettere inesorabilmente il futuro dell'umanità. D'altra parte gli androidi di Detroit: Become Human sono a tutti gli effetti -almeno nell'estetica- degli esseri umani, e farci l'abitudine potrebbe essere il primo passo verso il baratro collettivo.
La storia prende piede quando un gruppo di macchine inizia a mostrare segni di quella che potremmo chiamare coscienza artificiale. Parliamo di emozioni, umanità, empatia; libero arbitrio. I modelli che presentano questo preoccupante "difetto" vengono chiamati "deviati" e il gioco ci metterà nei panni proprio di tre di essi. Ognuno ha una vita, un carattere e uno scopo diverso, ognuno di loro racconta una storia che però potremmo plasmare e influenzare a nostro piacimento. L'interattività di Detroit porta proprio a questo: noi diventiamo i protagonisti, noi avremo l'opportunità di scrivere il nostro percorso.
Vita artificiale
Nel corso del nostro hands-on abbiamo avuto il piacere di giocare quello che dovrebbe essere il prologo di tutti e tre i protagonisti. Markus è il leader di un gruppo di deviati che vive nei bassifondi di Detroit ed è braccato dalle autorità. La sua storia ci porterà a chiederci cosa è giusto fare per difendere la propria vita e i propri ideali. Kara è una babysitter che empatizza con la bambina di cui deve prendersi cura: il suo amore per la piccola risveglierà la sua coscienza, decidendo così di difenderla ad ogni costo.
Connor infine è un androide molto avanzato, dotato di abilità uniche: la sua missione è quella di trovare e terminare i deviati, in pieno stile Blade Runner. Ognuno di loro ci porterà dunque a vivere gli sviluppi della trama in modo diverso e con punti di vista sempre differenti, con l'intento di farci capire quale sia la vera natura di queste macchine al contempo perfette e imperfette. David Cage tiene molto all'argomento emozionale, a tratteggiare storie che tramite pretesti più o meno astratti raccontino di emozioni e viaggi all'interno dell'animo umano.
Non vogliamo rovinarvi la sorpresa, per questo motivo abbiamo deciso di omettere qualsiasi dettaglio inerente alle scene da noi giocate, piuttosto ci teniamo a rendervi partecipi di cosa significhi toccare con mano un titolo così interattivo e ramificato. Il gameplay di Detroit: Become Human si basa principalmente nello svolgere le varie scene che vedranno alternarsi i vari personaggi. Queste sequenze saranno caratterizzate dal profilo del protagonista, per questo motivo Connor vi trascinerà in indagini degne di questo nome, Markus in momenti più movimentati e Kara invece in parentesi dal carico emotivo più viscerale. Ci si muove all'interno dell'ambiente e s'interagisce con esso: più informazioni si raccolgono, più attività si svolgono, più opzioni si sbloccano.
Si perché il cuore della produzione risiede proprio nelle alternative in mano al giocatore: dialoghi e azioni saranno completamente malleabili, si potrà quindi scegliere in che modo interpretare la storia, rendendola il più possibile unica e personale. In questo senso Detroit ci è parso audace, proponendoci una panoramica sbalorditiva. Ogni qual volta termineremo una porzione di gameplay, comparirà un diagramma che vi mostrerà le diramazioni da voi intraprese e quelle invece potenziali; in alcuni casi il quadro è davvero spaventoso. Parliamo di decide di opportunità, tutte con epiloghi e risvolti differenti. Sarà addirittura possibile uccidere uno dei protagonisti per poi proseguire senza di esso. Non esistono game over, solo checkpoint molto utili dai quali è possibile ripartire per poi sperimentare altre decisioni.
Il risultato di quest'ecosistema ludico e narrativo si prospetta essere qualcosa di straordinariamente immersivo: le due ore di gameplay ci hanno lasciato un sapore in bocca dolciastro, di quelli talmente piacevoli da creare quasi una certa dipendenza. Colpi di scena uno dopo l'altro, momenti palpitanti e carichi di pathos; gli ingredienti perfetti per un interactive drama che punta quanto meno a rappresentare il massimo esponente del genere d'appartenenza.
Parliamo di una produzione che eccelle anche dal punto di vista tecnico: ogni personaggio è stato riprodotto tramite il motion capture, capace quindi di restituire un feedback in termini d'animazioni facciali e corporee quasi senza precedenti. I dettagli e le texture, inoltre, sono tra le migliori che abbiamo potuto recentemente ammirare: una volta avviato il gioco rimarrete folgorati dalla qualità e dell'attenzione che Quantic Dream ha riversato in Detroit. Dopo The Nomad Soul, Fahrenheit, Heavy Rain e Beyond, la software house parigina sembra aver trovato la giusta maturità per poter creare il loro videogioco migliore, sempre che la meraviglia vista e provata in queste prime due ore di gioco si espanda anche a tutta la durata del titolo.
Verdetto
Detroit ci ha sinceramente incantato: David Cage e Adam Williams sembrano aver trovato la chiave di volta per scrivere una storia affascinante, misurata e ficcante, ambientata in un setting futuristico che si riflette in qualche modo nella società moderna. Il gameplay, capillarizzato, vario e che basa il suo focus sulle decine di scelte è un perfetto veicolo per quelli che sono gli obbiettivi della produzione: portarci in un mondo che ha tanto da raccontarci, facendoci empatizzare con i protagonisti, che promettono di regalarci momenti indimenticabili, plasmabili a nostro piacimento. Gli unici dubbi risiedono nella persistenza di queste caratteristiche: se ciò che abbiamo visto e provato durerà per tutta quanta l'esperienza, allora Detroit può davvero puntare a rappresentare, dopo God of War, un'altra esclusiva memorabile pronta ad arricchire la già numerosa raccolta delle IP Sony. Per chi avesse difficoltà con l'inglese, vi segnaliamo inoltre che il gioco è completamente localizzato in italiano, sia scritto che parlato.
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Per preparati all'uscita di Detroit, ti consigliamo di giocare i due precedenti giochi scritti da David Cage, Heavy Rain e Beyond: Two Souls