Ci risiamo. È arrivata l’ennesima botta per i videogiocatori di casa Playstation. Questa volta la grana tocca solo in parte la community, ma non per questo il dispiacere è meno consistente. Soprattutto se la nicchia in questione è quella dei fedelissimi di Playstation VR, segmento di videogiocatori che segue una branchia del videogioco non ancora di massa, diciamo, e che insieme ai colleghi di casa Meta & Co su PC stanno riuscendo a sostenere l’evoluzione di un media a sé stante, giovane, acerbo, ma con prospettive infinite, e assolutamente di rilievo per il futuro dei videogiocatori.
La notizia (già più volte sussurrata tra i corridoi del colosso giapponese) è quella che infatti molti si aspettavano, ovvero: Playstation VR 2 non supporterà i titoli di Playstation VR. E dove sta la notizia? Non dove la cercate, appunto. La parte più importante di quest’annuncio sta infatti nella reazione che potreste avere nel leggere l’annuncio stesso: la non-sorpresa. Già dalle prime reazioni che incontrerete in rete noterete malcontento ma, un po’ perché qualcosa si era già intuito a riguardo, un po’ perché appunto la scelta colpisce “una nicchia”, non noterete - e non ci sarà - alcuna levata di scudi.
Tra le motivazioni di questa reazione passiva (tra cui va annoverata anche la mia), oltre quanto già citato, ci va però di diritto anche un altro elemento, ed il peggiore se vogliamo, ovvero: il fattore d’abitudine. Sony ha ormai abituato la sua utenza a lasciare indietro pezzi, senza troppi fronzoli. E, seppur le ultime scelte della compagnia nipponica sembravano aver fatto intuire un modico cambio di rotta (i possessori di Playstation VR avevano ricevuto gratuitamente un adattatore per permetterne il funzionamento su Playstation 5) ora la solfa torna ad essere sempre la stessa.
Considerando che tutti ce lo aspettavamo si riflette e si prende atto della costruzione, e della diffusione, di un’immagine di brand pericolosa per il futuro sul lungo termine dell’azienda, soprattutto quando su altri lidi si respira aria del tutto diversa, con una Microsoft sempre particolarmente attenta alle richieste dei giocatori (sul fronte servizi, poi di grane lì ce ne sono altre). Su quest’aspetto, però, la forbice che distanzia l’azienda dalle concorrenti sta iniziando a diventare pericolosamente ampia. Se si continua ad alimentare questo storytelling la qualità delle produzioni, da sempre elemento distintivo del brand, nel futuro, potrebbe non bastare.
Same old story
La nota con cui viene annunciata la notizia ha effettivamente un che di lascivo, trascurato, trasandato. Hideaki Nishino, dirigente dell’azienda nipponica, conferma il mancato supporto ai vecchi titoli (che potranno comunque essere giocati su PS5 avvalendosi del primo PS VR) perché “PS VR2 è stato progettato per offrire un’esperienza VR di nuova generazione”. Si allude poi a ragioni dettate dall’approccio che i nuovi titoli avranno, elemento che renderebbe particolarmente gravoso il fattore retrocompatibilità (che dovrebbe fare i conti con giochi pensati per componenti tecnologiche preistoriche come PS Move e Ps Camera). Evitando di addentrarci nel tecnico, nessuno si aspettava di certo che l’operazione non avrebbe richiesto impegno e risorse.
Quello che ci si aspettava invece (o non ci si aspettava, in realtà, si sperava, forse) era che Sony impiegasse forze appunto per garantire una libreria già folta di titoli al lancio di PS VR 2 (tramite appunto la retrocompatibilità) con cui saziare la fame dei nuovi “early adopter” (che tanto early non lo sono più) che decideranno di sborsare il malloppone richiesto per salire sul treno della realtà virtuale, magari proprio quelli che avevano mancato il suo primo passaggio.
Non siamo ingenui, per cui neanche alludiamo a motivazioni che parlino di preservazioni delle opere videoludiche, né tantomeno di valorizzazione dei veri early adopter, quelli che a suo tempo avevano deciso di investire il loro denaro nell’acquisto di un visore quando ancora quel mercato era praticamente inesistente. Ci concentriamo su regioni più pragmatiche, che porteranno quella che sarebbe dovuta essere una svolta, un momento 2.0 forse (o anche solo un notevole sprint) per la realtà virtuale, ad andare invece incontro agli stessi problemi con cui si era scontrato il visore primogenito, ovvero: la scarsità di titoli da giocare al lancio.
Attenzione: la line up di titoli annunciati da Sony è in realtà di tutto rispetto. Come fu per il capostipite, il nuovo visore promette di sfoderare già delle carte non certo di poco conto, offrendo a chi deciderà di voler credere in questo “nuovo” medium più di una valida ragione per salire sulla carrozza delle meraviglie. Considerando però la limitatezza di questi titoli, il loro rilascio graduale e la loro durata generalmente esigua rispetto a quelle a cui siamo abituati sui titoli ordinari (e viviamo in un’epoca dove piccole gemme come The Order sono morte sotto uno shitstorm causato dalla bassa longevità), non è difficile immaginarsi che i nuovi possessori di Playstation VR, esauriti i primi mesi di novità, riporranno il loro costosissimo caschetto nel bellissimo packaging con cui gli sarà venduto.
Stessa sorte, d’altronde, capitata a molti degli acquirenti del primo visore. E, si sa, una volta che porti lontano dagli occhi un hardware per più di qualche mese diventa davvero difficile convincere le persone a riprenderlo in mano. Anche se pubblichi la perla del secolo, il tasso di reingaggio è via via sempre più complesso da sollecitare. E se col primo visore diciamo che non avevi molta scelta, perchè la libreria ci vuole tempo per costruirla, per forza di cose, qui invece, beh, stai castrando volontariamente il tuo pubblico di riferimento di opere dal valore artistico e tecnologico ancora spendibile, considerando anche le ottime mosse di distribuzione che avevi messo in piedi (giochi gratuiti di volta in volta donati agli utenti mediante Plus e iniziative dedicate) per affollare la libreria dei giocatori di titoli VR.
D’altronde anche Playstation 5 era stata lanciata proprio con quest’arma in più: l’offerta PlayStation Plus Collection permetteva di avere il meglio della generazione precedente già disponibile, così da dare tempo ai nuovi titoli di uscire, senza far spegnere mai la macchina al giocatore, obiettivo che dovrebbe essere chiaro a chiunque lanci un hardware nel 2022. Non conta quanto incassi, è il tempo che le persone ti dedicano a decretare il successo di una piattaforma.
Invece, se gli studi di sviluppo non saranno i primi ad attivarsi con patch varie, cosa succederà? Che opere del calibro di Astro Bot, Farpoint, Moss e un’infinità di altre verranno lasciate indietro, in attesa di remastered di cui forse qualcuno avrebbe anche fatto a meno. Di nuovo, il compito di revitalizzare il mercato, cala sul giocatore, e sulle sue tasche. Ma quanti saranno pronti a farlo? E soprattutto, quanto beneficio possono dare posizioni del genere, in un mercato sempre più orientato alle commodity per il giocatore?
For (all) the players?
Il concetto di “servizio” nel marketing è ormai vecchio, la commodity è il nuovo mantra. Se un servizio, per quanto innovativo, non assume determinati tratti agevolanti per il consumatore avrà le gambe corte, e con tutta probabilità non nascerà nemmeno. Switch vive su questa idea, e vive benissimo. Il Game Pass di Microsoft da tempo lavora per annullare i confini generazionali, per allontanare l’utente dalla scocciatura di pensare a quanto spende per un gioco, e su che piattaforma lo può trovare.
Il problema di Sony, nonostante anche lei si sia lanciata da poco con un’offerta totalmente rinnovata (e di alta qualità) su questo fronte, è che in questo contesto l’essere vista come la compagnia più “monarchica” di tutti, a cui dei “vizi” (chiamiamoli così) dei videogiocatori non importa più di tanto, non è lungimirante. Come anticipavamo, nessuno si è stupito di questa scelta, perché ormai da Sony è facile aspettarsi drastici abbandoni di questo tipo. Vuol dire che ormai l’idea, nella community, è radicata. E come sappiamo è difficile far ricredere le persone quando assumi una certa immagine ai loro occhi.
A Microsoft è servito quasi un decennio per uscire dalle sabbie in cui si era gettata a causa di una gestione scellerata, e ce l’ha fatta unendo impegno, lungimiranza e, soprattutto, un portafogli che nessuno si può concedere. Nintendo, nonostante un price target totalmente a sé stante, per il solo fatto di non aver mai (o quasi) tradito la propria mission e i propri valori, campa da trent’anni, nonostante generazioni di console che avrebbero portato al fallimento di qualsiasi azienda focalizzata su un singolo business. La qualità delle idee, del software e dell’hardware, come sappiamo è altalenante per tutti, è una variabile assoluta che va tenuta in considerazione (e la generazione PS3 ce lo ricorda bene). Quanto può essere roseo il futuro di una società che si mostra disinteressata alla propria utenza in troppe piccole occasioni, quando la curva della qualità sarà discendente?
Playstation con il successo di Playstation VR si è assunta indirettamente una responsabilità, insieme agli altri producer di visori: contribuire alla crescita di un mercato fragile, che necessità più di tutti di continuità. Gli interessi degli hardware manufacturer, publisher e studi di sviluppo sono intrecciati in un gioco che si finalizza nel momento in cui un giocatore decide di prendere in mano il pad, divertirsi e sposare una causa.
Playstation era partita alla grande. Aveva intercettato una nicchia, un mercato nascente in cui tutti avevano avuto il terrore di lanciarsi, e aveva scelto di affrontare una delle sfide più impegnative dell’ultima decade: uscire vincitrice dalla battaglia per rendere di massa il mercato della VR, sfida affrontata al meglio delle sue possibilità, con impegno, passione, e con risultati a tratti incredibili, andando a comporre insieme a PS4 forse la sua migliore proposta commerciale da quando è sbarcata sul mercato.
Ma nell’epoca della fretta, delle aziende viste non più come entità astratte e in dialogo costante con la propria utenza, la cura per le persone che ti scelgono può rivelarsi determinante. E questa cura non la esprimi certo dimenticandoti che 6 milioni di persone hanno una libreria di titoli che potrebbe andare perduta per sempre. O, se lo devi fare per qualsiasi ragione, perlomeno impegnati a far sì che non sembri l’ennesima volta in cui vai avanti senza curarti di cosa lasci indietro.