Mentre Hollywood continua a saccheggiarele proprietà intellettuali del gaming per trasformarle in film e serie TV, alcune dichiarazioni che mettono in discussione questa pratica sempre più diffusa. Il CEO di Microsoft Gaming, Phil Spencer, ha recentemente espresso una posizione controcorrente che sta facendo discutere gli addetti ai lavori: i videogiochi, secondo lui, non necessitano di adattamenti cinematografici o televisivi per affermare il proprio valore culturale ed economico. Una dichiarazione che contrasta con l'attuale corsa agli adattamenti che vede protagonisti titoli di ogni genere e dimensione.
L'industria dell'intrattenimento digitale ha raggiunto una maturità artistica ed economica tale da potersi sostenere autonomamente, senza il bisogno di validazioni esterne provenienti da altri media. "Il business dei videogiochi ha successo di per sé, non ha bisogno di questo sbocco", ha affermato Spencer in un'intervista rilasciata a Variety. Il dirigente ha aggiunto un monito: "Non trasformiamo questo fenomeno in qualcosa che deve essere fatto a tutti i costi, dove ogni franchise deve avere un gioco, un film o una serie TV, diventando più simile a un'operazione di licensing".
La posizione di Spencer appare paradossale se si considera il coinvolgimento diretto di Microsoft in numerosi progetti di adattamento. Il film di Minecraft ha superato i 500 milioni di dollari al botteghino, con un sequel già approvato e una serie TV in sviluppo presso Netflix. La serie Fallout (proprietà ora di Microsoft attraverso Bethesda) ha ottenuto un successo critico notevole ed è stata rinnovata per una seconda stagione. Persino Halo, nonostante l'accoglienza tiepida, ha ricevuto due stagioni su Paramount Plus. Microsoft ha persino invertito la direzione lo scorso anno, adattando una serie cinematografica in videogioco con "Indiana Jones e il Grande Cerchio" (acquistabile su Amazon).
Le dichiarazioni di Spencer contrastano anche con il successo commerciale degli adattamenti videoludici recenti. I film di Resident Evil hanno incassato complessivamente oltre un miliardo di dollari, "The Super Mario Bros. Movie" ha raggiunto 1,3 miliardi nel 2023, mentre ciascuno dei tre film di Sonic ha generato circa mezzo miliardo di dollari. Cifre che spiegano il rinnovato interesse di Hollywood verso l'universo videoludico.
Nonostante le sue riserve, Spencer ha lasciato intendere che Microsoft continuerà a esplorare il territorio degli adattamenti, imparando dalle esperienze passate. "Abbiamo imparato da Halo, impariamo da Fallout. Tutti questi progetti si costruiscono l'uno sull'altro e ovviamente ne avremo un paio che falliranno, fa parte del gioco", ha dichiarato. "Ma quello che posso dire alla community che apprezza questo lavoro è che ne vedrete altri, perché stiamo acquisendo fiducia e stiamo imparando attraverso questo processo".
Il dirigente ha mantenuto il riserbo su progetti specifici, sottolineando l'importanza di concedere tempo ai processi creativi senza esercitare pressioni indebite. "È difficile per me anticipare qualcosa di specifico, perché sebbene io conosca tutte queste cose che sono in fase di sviluppo creativo, voglio dar loro tempo e non voglio metterle sotto pressione", ha spiegato Spencer. "C'è semplicemente molto interesse da parte dei media tradizionali e ne siamo felici".
Le parole di Spencer sollevano interrogativi fondamentali sul rapporto tra diverse forme di narrazione e sull'identità intrinseca dei videogiochi. Se da un lato gli adattamenti possono ampliare il pubblico e generare profitti considerevoli, dall'altro rischiano di diluire l'essenza interattiva che rende unico il medium videoludico. La sfida per l'industria resta quella di mantenere un equilibrio tra opportunità commerciali e integrità creativa, in un ecosistema mediatico sempre più interconnesso.
In questo contesto di convergenza mediale, la posizione di Microsoft appare emblematica delle contraddizioni che caratterizzano l'attuale panorama dell'intrattenimento: criticare la pratica degli adattamenti pur sfruttandone appieno le potenzialità commerciali. Una strategia che riflette la complessità di un'industria in rapida evoluzione, dove i confini tra diversi media diventano sempre più sfumati e permeabili.