Avviare Onimusha 2: Samurai's Destiny nella sua veste rimasterizzata oggi, nel 2025, è un'esperienza che va oltre la semplice riscoperta di un titolo del passato; è quasi un'immersione diretta in un'epoca specifica del game design, quella dei primi anni 2000 su PlayStation 2. Si viene catapultati in un mondo con regole e ritmi che appartengono a un'altra generazione videoludica.
Ci si confronta immediatamente con scelte stilistiche e meccaniche che definivano molti action-adventure di quel periodo: l'uso di fondali pre-renderizzati che conferivano un dettaglio visivo notevole per l'hardware dell'epoca, abbinati a personaggi poligonali che si muovevano al loro interno; un sistema di telecamere prevalentemente fisse, che dettavano la regia dell'azione sacrificando talvolta la libertà di visuale del giocatore; e un combattimento più ragionato, meno frenetico rispetto agli standard odierni, incentrato sulla difesa, sul posizionamento e sull'attesa del momento giusto per colpire o per eseguire la celebre contromossa "Issen".
Giocare Onimusha 2 oggi significa fare i conti con questa filosofia di design. Non si tratta tanto di valutare l'ennesima operazione di recupero di Capcom, quanto di capire se e come un'impostazione ludica così radicata nel suo tempo possa ancora comunicare qualcosa al giocatore moderno. Le prime ore passate in compagnia di Jubei Yagyu suggeriscono che questa rimasterizzazione punta a essere una fotografia fedele di quell'esperienza, conservandone l'ossatura originale nel bene e nel male, quasi a voler sfidare il giocatore ad adattarsi ai suoi meccanismi piuttosto che adattare il gioco alle aspettative moderne.
Un viaggio nel tempo
È quasi un riflesso condizionato, ripensando a Onimusha 2: Samurai's Destiny (datato 2002), tracciare parallelismi con la coeva serie di Resident Evil. Condividevano, è innegabile, parte della tecnologia, una certa impostazione "cinematografica" data dalle telecamere fisse e un approccio all'esplorazione cadenzato da enigmi ambientali. Eppure, fermarsi a questa somiglianza superficiale significherebbe ignorare l'anima specifica, l'identità unica che Capcom riuscì a infondere in questo capitolo, distinguendolo nettamente dal suo illustre predecessore e dai survival horror puri.
L'ambizione di Onimusha 2, infatti, non era semplicemente replicare una formula di successo in un contesto diverso, ma piuttosto forgiare un'esperienza che fondesse in modo originale l'ambientazione storica del Giappone feudale del periodo Sengoku con elementi fantasy oscuri e un sistema di combattimento action più marcato. L'introduzione del nuovo protagonista, Jubei Yagyu, e il suo personale percorso di vendetta contro le orde demoniache al servizio di Nobunaga Oda, pur narrativamente diretto, serviva da veicolo per spingere l'acceleratore proprio su questa commistione. Il risultato fu un gioco che respirava un'atmosfera diversa: meno horror claustrofobico, più cappa e spada demoniaco, intriso di folklore nipponico.
Certo, la gestione parsimoniosa delle risorse, come le immancabili erbe curative, o la struttura esplorativa potevano far eco ad altre produzioni Capcom. Ma l'esperienza sensoriale e ludica prendeva una sua strada ben definita. L'esplorazione di villaggi devastati, foreste infestate da Yokai e imponenti castelli giapponesi restituiva un feeling peculiare, mentre il combattimento, pur mantenendo una componente tattica, si arricchiva di combo, armi elementali e della tensione letale legata al perfetto tempismo dell'Issen. Onimusha 2 utilizzava forse una grammatica parzialmente condivisa, ma la declinava per raccontare una storia d'azione e avventura dal sapore unico, profondamente radicata nell'immaginario samurai e nella mitologia giapponese. Era, e questa rimasterizzazione lo ricorda, un titolo con una sua forte e riconoscibile personalità.
Un restauro visivo
L'impatto tecnico iniziale di questa rimasterizzazione è positivo. L'aggiornamento tecnico fondamentale, ovvero l'incremento della risoluzione nativa, ha conferito nuova nitidezza e definizione a un comparto grafico che già all'epoca si difendeva egregiamente. Interfaccia utente, font, fondali pre-renderizzati, modelli poligonali dei personaggi e dettagli ambientali beneficiano ora dell'alta risoluzione, e il confronto con l'originale PS2 mostra un divario netto e immediatamente percepibile.
Sul fronte dei miglioramenti all'esperienza utente, due interventi spiccano per la loro efficacia: l'introduzione di una funzione di salvataggio automatico, che allinea il titolo agli standard contemporanei risparmiando potenziali frustrazioni, e la possibilità di cambiare arma istantaneamente tramite la pressione di un tasto, evitando di dover accedere al menu e interrompere il flusso dell'azione. Sebbene possano sembrare aggiunte scontate nel 2025, entrambe fluidificano notevolmente la progressione e permettono di godere al meglio del sistema di combattimento.
Meno impattante, se non come vezzo per puristi, la possibilità di alternare tra il formato 16:9 (default) e l'originale 4:3, data la predominanza degli schermi widescreen moderni. Durante le nostre prove, effettuate sulla versione PS4 eseguita in retrocompatibilità su PS5, non abbiamo rilevato criticità prestazionali degne di nota, ma verificheremo la stabilità su tutte le piattaforme in sede di recensione.
Tirando le Somme
È decisamente ancora presto per formulare un giudizio complessivo sull'operazione di restauro condotta da Capcom su Onimusha 2: Samurai's Destiny. Tuttavia, queste prime ore di gioco indicano certamente un approccio conservativo e rispettoso dell'opera originale, unito all'intenzione di modernizzare l'esperienza laddove necessario, smussando alcune delle asperità dell'epoca senza stravolgere l'identità del titolo. La volontà di rendere nuovamente accessibile un classico finora intrappolato su hardware datato aggiunge indubbio valore all'iniziativa di rimasterizzazione. Resta da vedere se l'intera avventura manterrà le promesse di questo buon inizio.