I mondi videoludici e gli NPC, da sempre, hanno un valore aggiunto nella creazione di un universo. Immaginate vivere, per un momento, all’interno di un videogioco, di sentire i sapori di un pasto in Monster Hunter, il profumo di un fiore in What Remains of Edith Finch e di sfiorare l’erba con le vostre dita in The Legend of Zelda: Breath of the Wild. Poi immaginatevi ad attraversare un ponte di pietra in Skyrim e a riconoscere i laghi e i fiumiciattoli di Ard Skellig in The Witcher 3: Wild Hunt che magari nella vita reale, tangibile e probabilmente più noiosa, potrebbe addirittura ricordarvi un posto qualunque che avete visitato nel cosiddetto mondo reale. Bene, ho reso l’idea? Perfetto, perché è probabile che forse, tra una produzione e l’altra, qualcosa vi sia rimasto attaccato nell’anima. Se ve lo state chiedendo no, non si può staccare: fa parte di voi, che lo vogliate o no.
Di fronte a una cosa simile, io ormai mi ci sono abituato, e da quando ho iniziato a vedere le produzioni sotto un’ottica differente, studiandole non solo in termine analitici ma assorbendole soprattutto con un approccio più intimista, ho compreso che la costruzione di un videogioco di qualunque genere parte dalla semplicità. O almeno, la maggior parte dei videogiochi memorabili comincia così: a volte da un carretto, altre volte da una tomba centenaria, un’altra in un universo lontano lontano e in altrettante occasioni da una promessa infrangibile. Un’opera non inizia mai come ci aspetteremmo, perché la parte embrionale di un racconto, proprio come avviene in alcuni libri della letteratura mondiale, è solo il preludio ad avventure che non ci aspetteremmo affatto.
Legami ormai sempre più indissolubili
Qui si va oltre una porzione di mappa da conquistare in Master of Magic, una principessa in pericolo e un reame da salvare, perché ora le storie, in particolare le più significative, cominciano da un sentiero e una casa nel bosco. Non che salvare una principessa non sia interessante, altrimenti la povera Peach avrebbe dovuto attendere il suo Mario per chissà quanto tempo, o magari Ciri – che di principesco, nonostante il suo lignaggio, non ha molto - non si sarebbe mai svegliata dopo l’abbraccio di Geralt. Cosa compone, però, una storia? Cosa significa vivere in un mondo videoludico, e cosa nascondono i segreti al suo interno? E perché, soprattutto, non riusciamo a farne a meno?
Il mercato attuale, ormai infarcito di diverse produzioni, è così ricco da aver proposto avventure sfaccettate e incredibili. Il reale contorno, però, sono i vari universi che ospitano i personaggi, che vivono routine giornaliere, parlano e si raccontano magari attraverso la nascita di un re, una vittoria qualunque, o il dono di un fiore, proprio quello che ha legato Cloud ed Aerith poco prima che la sua missione iniziasse. Di esempi, a riguardo, ne potremmo fare molti altri, citando videogiochi usciti recentemente come Chained Echoes. Il mondo ideato da Matthias Linda, in tal senso, è la dimostrazione incredibile di quanto scrivere un universo sia una delle parti certamente più interessanti e divertenti di un videogioco. In questo approfondimento analizzeremo i mondi, i protagonisti e i vari NPC che vivono in queste terre, mai del tutto trattati in modo consono poiché in tanti hanno solo analizzato le peripezie di un protagonista che suscitava rispetto e fascino, assicurandosi in questo modo molto più del classico spazio consentito, diventando agli occhi dei giocatori l’unico abitante che contasse davvero. Sia chiaro, è naturale che un protagonista come Cloud si prenda la scena, facendosi amare per il suo tono truce e freddo, il suo carattere schivo e scontroso, e per i suoi sogni.
Qualcuno, però, si è mai chiesto cosa nasconde Midgar e perché ancora oggi affascina tanti appassionati della serie Final Fantasy? E qualcuno si è mai domandato come un ruolo di un NPC qualsiasi, anche slegato alla storia di Cloud, Tifa ed Aerith, sia fondamentale per la costruzione di un mondo che catturi, convinca e faccia sognare? Se nella letteratura è complesso, immaginatevi cosa accade quando si scrive un videogioco. Di sicuro, deve essere facile incastrare ogni avvenimento, mettendo nel frattempo d’accordo i personaggi, affinando e sistemando le loro caratterizzazioni, e dando a cosa compone il mondo un’identità tangibile e riconoscibile, che sappia conquistare e non attaccarsi all’anima del giocatore.
Mondi videoludici e NPC: come si costruisce un contesto
In molte opere, tutto inizia da un avvenimento che stravolge le fondamenta stesse del mondo in cui è ambientata la storia. Nel corso degli anni, specie grazie alle tematiche della società odierna, comprese le battaglie per i diritti civili, l’approccio ai vari contesti è cambiato radicalmente. In GRIS, per esempio, c’è un mondo incolore da riempire, privo di personaggi secondari, ma abitato da creaturine dolci e sensibili che vivono all’ombra di alberi in fiore e strane rocce appuntite che un tempo probabilmente formavano imponenti strutture.
What Remains of Edith Finch, invece, fa conoscere i membri della famiglia Finch in un modo diverso, spingendo il giocatore fra la braccia di un contesto completamente inedito, in storie e in mondo fiabeschi che raccontano gli spaccati di vita di queste persone. Si imparano a conoscere, infatti, attraverso le parole di Edith, in una casa che era il suo mondo. In questo modo, si è costruito un contesto intimo, che rimane ancorato tra quelle mura domestiche un tempo sicure ma ora del tutto sconosciute. In What Remains of Edith Finch, però, Giant Sparrow ha fatto in modo che si vivessero le situazioni dei protagonisti attraverso le loro esperienze. Si diventa protagonisti dei loro racconti e, mentre Edith Finch legge quelle pagine, in automatico diventa spettatrice di quei racconti. È una delle poche produzioni che, al contrario di molte altre, racconta un contesto e un mondo attraverso i ricordi, le persone e loro esperienze. Non sono presenti NPC come nei grandi open world, eppure è un esempio vincente di cosa significhi scrivere una storia e cercare di renderla struggente, appassionante e toccante. Ed è tutto racchiuso in una casa, come se si potesse soltanto entrare al suo interno e uscirne quando si è compreso cosa si ha di fronte.
Quando si pensa a un contesto, subito qualcuno immagina una linea retta precisa in cui non sono presenti strade o bivi, perché la storia deve raccontare un tema nel modo miglior modo e come qualcuno se lo immagina. Non funziona così, non nel mondo videoludico attuale e non in cosa si è stati abituati a vivere nel corso di questi ultimi anni. 9Immaginatevi di aprire un armadio, sentire un ruggito e ritrovarvi a Narnia. È lo stesso modo, però non dobbiamo per forza diventare re, a meno che non stiate giocando a Ni no Kuni II: Il Destino di Regno.
Insomma, i contesti sono vari e non sono sempre come ci aspetteremmo, perché cambiano in base al racconto che si vive. Questo è ovviamente un dato di fatto, e lo si appura nelle opere letterarie. Tanti mondi letterari sono stati costruiti in trent’anni, ma Matthias Linda ne ha impiegati tredici, e nel panorama attuale un tempo così lungo equivale a un’era geologica. Come si costruisce, però, un contesto che abbia senso? Attraverso la semplicità, le conoscenze, lo studio dei mondi letterari e anche di quelli cinematografici. Poi ci sono i perfetti casi in cui ogni universo è eretto in maniera differente, perché deve raccontare una storia inedita e necessita, quindi, di un altro tipo d’approccio. Se prima ho parlato di What Remains of Edith Finch, ora è il caso di citare Kingdom Come Deliverance, un esempio di studio del periodo storico per ricreare un contesto capace di arrivare all’obiettivo e prendere per la mano il giocatore nella Boemia nel Basso Medioevo, nel cuore pulsante del Sacro Romano Impero. Proprio come Pentiment, lo studio qui è stato oculato e attento, perché ogni cosa fosse capace di raccontare le vicende del popolo e le sue battaglie.
Tralasciando però le storie che si ispirano a fatti reali e a contesti già conosciuti, immaginatevi quanto sia complesso costruire un mondo da zero, con i suoi boschi, i suoi grattacieli, i suoi fiumi e le sue ipocrisie. Di universi, come ho già detto in precedenza, ce ne sono tantissimi ma pochi, però, sono riusciti a lasciare il segno. Skyrim, ad esempio, è una terra ostile e contesa, ma al tempo stesso affascinante. Ancora oggi, infatti, credo di aver esplorato solo una sua piccola porzione della sua immensa mappa, perdendomi magari ulteriori dungeon. Ma ad avermi affascinato molto più di quanto avrei immaginato, è stato l’universo di Dragon Age, strutturato da BioWare in maniera che fosse capace di raccontare la storia dei suoi popoli, inventati da un team esperto.
In tal senso, quando si costruisce un mondo per farlo vivere ai giocatori, si deve sempre considerare la storia dei popoli che si creano. Dragon Age, proprio come Skyrim, è un gioco di ruolo che è stato contaminato con diversi approcci di gameplay, basti pensare al secondo, che abbraccia uno stile certamente più action. Al netto di questo, però, in Dragon Age esistono tante razze, tante città e molti luoghi da conoscere e visitare. La letteratura fantasy, a riguardo, è piena zeppa di mondi fantastici che hanno spinto tanti sviluppatori a reimmaginarli e reinterpretarli, restando fedeli ai classici rimandi del genere.
In Dragon Age, infatti, il linguaggio degli elfi dalish, infatti, fa parte della linfa vitale di questo popolo abituato a vivere nelle foreste ma anche nelle grandi città come Kirkwall. Ogni lingua che si impara, si parla e si studia è parte integrante della cultura e del retaggio di parole imperfette, frasi sconnesse e spesso incomprensibili. Il panorama dei videogiochi, in tal senso, ha raggiunto questo apice in altrettante produzioni, alcune delle quali hanno trattato di universi e realtà molto più vicini a noi.
Un esempio è Night City, un mondo che si evolve, che cambia e muta poiché dipende dalle persone che lo abitano. Quei grattacieli nascondono una società banale, che vive alla giornata, scontentando tutti e approfittando di chiunque. Cyberpunk 2077, infatti, è l’esempio perfetto di un contesto che ricorda le particolarità più tristi della realtà, ma le affronta con maturità e attenzione proprio perché Night City rappresenti lo specchio che riflette sul mondo odierno.
I contesti decisamente più inediti, d’altronde, sono proprio quelli più interessanti. Tornando a Pentiment, quanto si scopre nel mondo di gioco è una ricca disamina storica e letteraria su un periodo assolutamente affascinante. Ed è proprio qui che entrano in gioco gli NPC, la loro importanza nei vari mondi videoludici e, in generale, la loro scrittura. Senza di loro, pensate un po’, tante cose non esisterebbero. Un esempio? Quel simpatico “Sparatemi in faccia” in Borderlands 2 che forse in pochissimi ricorderanno, ma che ha un’importanza storica essenziale per il panorama, perché a richiederlo è un nemico che, però, non attacca, richiedendo di morire.
La dura vita di un NPC
Recentemente, anche grazie alla pubblicazione di diverse opere, il ruolo dei personaggi non giocanti è diventato decisamente ancora più speciale. Penso a Elden Ring, che ha vinto recentemente il premio come migliore gioco dell’anno, in cui gli NPC hanno trame, bivi narrativi e tanto altro ancora. È il marchio di FromSoftware, ma non è di sicuro un mistero, quanto piuttosto un elemento ormai sempre più funzionale e ben implementato. Quando però rifletto sugli NPC, specie durante le missioni secondarie (anche se non per forza legate a quest’ultime), ricordo che parte delle loro storie fa parte di una routine che si apprende solo quando si interagisce con loro. Può avvenire in diversi modi, ma quello che preferito maggiormente è il dialogo, poiché consente di capire chi si ha di fronte, cosa sta affrontando e quali sono i suoi sogni, le sue ansie e persino le sue aspirazioni. Grazie ad alcune opere degli ultimi dieci anni, il rapporto fra il protagonista impersonato dal giocatore e un qualsiasi NPC è cambiato radicalmente. L’ho avvertito, in realtà, molto tempo fa: Sacred, la prima opera della serie sviluppata da Ascaron, aveva già implementato una sorta di approccio differente rispetto agli altri.
Parlare con qualcuno, oltre a risultare interessante, permetteva di conoscerlo meglio, cosa che ora si può dire soprattutto per produzioni certamente più leggere come The Artful Escape e tante avventure narrative che, ovviamente, hanno mostrato quanto un’ottima sceneggiatura sia necessaria per far comprendere al prossimo cosa nasconde un mondo. A riguardo, i videogiochi di Telltale Games e l’ultimo New Tales from the Borderlands sono fra le produzioni più indicate. Nel corso degli anni, tuttavia, l’esempio perfetto è stato soprattutto The Witcher 3: Wild Hunt. La scrittura, già ottima sin da The Witcher del 2007, ha subìto infatti un aumento della qualità particolarmente invidiabile, specie nelle conversazioni più classiche. Lì è stato il momento in cui ho compreso quanto siano importanti gli NPC nei mondi videoludici, perché compongono una parte fondamentale dei mondi che si imparano ad amare di volta in volta.
In tal senso, se in BioShock Infinite non ci fosse stata Elizabeth, difficilmente mi sarei innamorato così tanto dell’ultima opera del franchise creato da Irrational Games, perché la ragazza rappresenta non solo un personaggio ben scritto, ma soprattutto un valore fondamentale aggiunto per il protagonista principale, Booker DeWitt. Columbia, infatti, rappresenta il luogo migliore in cui ogni cosa che accade, raccontata durante le peripezie dell’investigatore della Pinkerton, vede gli NPC seguire una routine. C’è chi vende del gelato, c’è chi pulisce le scarpe ad altri cittadini, c’è chi accompagna un figlioletto in strada e c’è chi, invece, cerca di prendere il sole, facendo un bagno nel mare che si affaccia sulla città. Se non altro, è proprio qui che il contesto e la caratterizzazione dei personaggi si incontrano, unendosi definitivamente per proporre, infine, quel mondo che tanto appassiona e coinvolge e per cui in tanti sarebbero disposti a viverci almeno per un giorno.
Mondi videoludici e NPC in costante mutamento
Le evoluzioni narrative degli ultimi anni, ormai più fluide e condensate meglio, hanno contribuito a confezionare produzioni con NPC non più soltanto marginali ma anche fondamentali per la prosecuzione stessa di una qualsivoglia avventura. Grazie a questi approcci, appunto, se ne sono radicati diversi negli stili proprio degli sviluppatori. In Red Dead Redemption, infatti, Rockstar Games ha dato modo ai suoi NPC di prendere parte a chiacchiere di circostanza con Arthur Morgan, il protagonista delle vicende, ampliando di conseguenza la loro importanza, dando in tal senso un tono ancora più realistico.
Ci sono ancora i personaggi non giocanti che vendono pozioni di salute, di mana o di protezione, come ce ne sono tanti altri che seguono una loro routine: Bethesda Softworks lo implementò in Skyrim, mentre Dragon Age Inquisition comunicava in modo differente, parlando di popoli e culture che si sono fatti apprezzare ma soprattutto amare. In letteratura è normale e in tanti lo danno per scontato, ma nei videogiochi tutte queste sinergie sono rilevanti all’interno di un’opera perché rappresentano le ossature stesse di quegli universi. Il fascino, in fin dei conti, è trascinante: scoprire l’ignoto e conoscere nuove visioni e terre, parlare con chi quei mondi li vive ogni giorno. Forse si dovrebbe proprio prestare più attenzione a quei dialoghi, a quegli stili di vita e alle richieste di ogni NPC, e allo stesso modo si dovrebbe andare oltre l’estetica di un paesaggio che si stende per chilometri, ritrovando la gioia della semplicità e della profondità. Il trucco è proprio questo.