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Metaphor: ReFantazio, il fantasy secondo Studio Zero | Recensione

La nostra recensione di Metaphor: ReFantazio, il nuovo JRPG fantasy realizzato dagli autori di Persona e Shin Megami Tensei.

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a cura di Marco Patrizi

Editor

Il 2024 è probabilmente uno dei migliori anni di sempre in cui essere un fan dei titoli Atlus. Dopo Persona 3 Reload (e il relativo DLC uscito da pochissimo) e Shin Megami Tensei V: Vengeance - titoli importanti per il fandom core della software house, anche se per motivi diversi - è giunto finalmente il momento di sollevare il sipario su uno dei progetti più anticipati di sempre, a metà strada tra novità e continuità con i successi del passato.
Metaphor: ReFantazio è il primo titolo originale di Studio Zero, team interno di Atlus formatosi subito dopo l’uscita di Persona 5 e comprendente autori di alto profilo come il director Katsura Hashino, il character designer Shigenori Soejima, il compositore Shoji Meguro e gli sceneggiatori Yuichiro Tanaka e Azusa Kido. Un team con una grande esperienza, insomma, ben radicata in alcuni dei titoli più influenti e di successo della software house giapponese. Esperienza che vediamo dare ottimi frutti anche in questo nuovo titolo.

Fantasy idealista

Il principio cardine su cui Katsura Hashino ha fondato la sua visione del progetto è quello di fantasy, inteso sia come genere di setting che come tema del gioco in senso più ampio. Il regno fantastico di Euchronia in cui è ambientato il gioco è difatti utilizzato per tracciare dei paralleli con la nostra società e per parlare dei suoi aspetti. È un regno in cui convivono individui di varie tribù etniche, ma in cui non vi è alcuna armonia tra di esse, anzi; le disuguaglianze sociali sono ormai normalizzate e creano un circolo vizioso di ghettizzazione, pregiudizio e intolleranza che alimenta un diffuso disagio nel popolo.

Questa situazione inquieta è destinata a inasprirsi quando il sovrano del regno viene assassinato nel suo stesso palazzo, lasciando un vuoto di potere che certamente non preannuncia tempi tranquilli. Per risolvere la situazione si innesca autonomamente una particolarissima magia, che concederà il ruolo di nuovo re a chi otterrà il maggior consenso tra il popolo di Euchronia, senza distinzione di status o tribù. In teoria, dunque, chiunque può ambire ad ottenere la corona, ma, proprio come un’elezione democratica, di fatto a essere favoriti sono pochi personaggi di spicco che già in posizioni predominanti delle istituzioni.

Il protagonista del gioco è un Elda, una delle tribù più emarginate del regno, amico intimo del principe di Euchronia, da tutti creduto morto ma in realtà vittima di una maledizione che lo ha costretto in uno stato comatoso per anni. Tale maledizione è opera di Louis Guiabern, popolare e ambizioso comandante militare del regno, nonché tra i favoriti alla successione reale. Le circostanze porteranno il protagonista a prendere parte alla corsa per il trono da perfetto underdog, e lo farà propagandando una visione politica del regno in cui si impegna all’uguaglianza tra le tribù e all’aiuto di tutti coloro che sono in difficoltà.

Lo spirito idealista del protagonista è alimentato dalla lettura di un libro che porta sempre con sé, dove viene descritta sostanzialmente la nostra società, anche se in termini completamente utopici; una società moderna in cui vigono equità, giustizia sociale e prosperità. Dalla prospettiva di un abitante di Euchronia, il mondo descritto nel libro è una fantasia, una società ideale che sembra irrealizzabile all’atto pratico, ma che nondimeno stimola l’immaginazione e la voglia di cambiare le cose in quel regno così iniquo.

La trama di Metaphor: ReFantazio mostra una chiara influenza stilistica dei vari capitoli di Persona ed è ricca di eventi, alcuni colpi di scena efficaci (anche se non esattamente imprevedibili) e diversi momenti di riflessione sulla società, sull’impulsività delle masse, sul ruolo di un leader ecc. Temi importanti e decisamente non facili da maneggiare che a tratti vengono affrontati con discreto vigore, mentre altre volte vengono lasciati su un piano fin troppo astratto e idealistico. In particolare devo dire che per il finale del gioco mi aspettavo qualcosa di più; qualcosa che valorizzasse meglio il discorso del rapporto tra realtà e fantasia e l’allusivo collegamento al nostro mondo.

Sebbene i personaggi comprimari non siano esenti da cliché del genere, ho apprezzato la loro caratterizzazione e le loro storie personali. Persino i vari NPC con cui il protagonista instaura dei rapporti personali (con tanto di classico Social Link) veicolano delle storie ben più elaborate rispetto alla media della serie Persona, e in generale sono trattati in modo meno superficiale.

L’unico aspetto zoppicante dal comparto narrativo riguarda la credibilità di certe situazioni che occasionalmente mal si armonizzano con la struttura di gioco. In modo del tutto simile a Persona 5, proseguendo nella trama si arriva in vista di missioni da portare a termine entro una certa data; ma mentre in P5 si trattava per lo più di “rubare il cuore” del villain di turno, in questo caso possono essere anche circostanze gravi di emergenza.

In più di un’occasione mi sono ritrovato nella situazione in cui accadeva qualcosa (non farò spoiler) che verosimilmente avrebbe richiesto un intervento immediato degli eroi, ma il gioco sostanzialmente mi diceva: “Dobbiamo assolutamente aiutarl*! Abbiamo solo 10 giorni per prepararci prima che sia troppo tardi.” Nonostante capisca le esigenze dietro, l’incoerenza narrativa inevitabilmente si fa sentire e mette a dura prova la sospensione dell’incredulità.

Classe personale

È soprattutto nella struttura di gameplay che riconoscerete subito il DNA di Persona. È evidente che gli autori non nascondono minimamente il loro background, sono coscienti di quello che sanno fare bene e lo ripropongono con orgoglio anche in Metaphor: ReFantazio. Potrà forse essere una delusione per chi si aspettava qualcosa di fresco e innovativo (me compreso, lo ammetto), ma quanto meno è una scelta che garantisce qualità ai fan, i quali si sentiranno subito a casa.

Ritroviamo l’avanzamento dell’avventura dosato in giorni (con tanto di calendario), i già menzionati Social Link, le statistiche caratteriali del protagonista. Il gioco eredita anche gran parte delle dinamiche base dei combattimenti, in particolare il sistema di debolezze dei nemici.

La vera differenza nel battle system è che il sistema di evocazione di demoni/persona è ora molto più simile a un sistema di classi. Nel corso dell’avventura ciascun comprimario otterrà il proprio Archetipo (e altri se ne sbloccheranno tramite i vari Social Link), ovvero un potere sopito nelle persone capace di travaricare la paura e l'indecisione evocando degli spiriti di eroi del passato, che conferiscono ai protagonisti capacità magiche e fisiche straordinarie. Questi si manifestano nella forma delle tipiche classi che gli amanti dei giochi di ruolo conoscono bene: guerriero, paladino, mago, chierico, ecc.

A differenza dei moderni Persona, però, qualunque personaggio può veicolare qualsiasi Archetipo; quindi teoricamente è anche possibile creare, ad esempio, un party di soli guerrieri o soli maghi. Una volta assegnato un Archetipo, è anche possibile assegnargli alcune abilità imparate di Archetipi diversi, in modo molto simile al classico Job System insomma.

Il risultato può sembrare semplicistico, ma è in effetti un connubio tra due sistemi estremamente efficaci. Studio Zero ha messo a frutto tutta la sua esperienza nel genere per trovare un equilibrio ottimale. Il risultato è un grande livello di personalizzazione del party, capace di far fronte a diverse situazioni e avversari. Soprattutto per certe quest secondarie il gioco richiederà una certa capacità strategica nel preparare il team; le giuste abilità equipaggiate possono fare la differenza tra la vittoria e una sconfitta in pochi turni.

Apprezzabile anche l’introduzione di opzioni più attive fuori dai combattimenti a turni. Mentre si esplora un dungeon è possibile attaccare in tempo reale i nemici che brulicano al loro interno. Se gli avversari sono deboli basteranno uno o due colpi di spada per levarceli di torno, senza rinunciare all’esperienza e senza essere costretti a interrompere l’esplorazione con un combattimento. Se invece gli avversari sono più o meno al nostro livello o anche più forti è possibile colpirli, magari alle spalle, per indebolirli e stordirli, e con la semplice pressione di un tasto passare immediatamente al classico combattimento a turni.

Questa nota “action” inserita, quindi, non è niente che snatura lo stile di gioco, ma solo uno strumento per rendere le esplorazioni e il grinding molto più fluidi e rapidi. Anche in virtù del fatto che i dungeon sono (a parte qualche eccezione) ben più articolati rispetto a quanto visto in altri titoli passati di Atlus.

Stile e magia

Anche se la struttura ludica alla base di Metaphor: ReFantazio risulterà molto simile a Persona 5, l’apparato artistico che lo riveste lo rende un’esperienza diversa dal solito, soprattutto considerando che il team di sviluppatori fino a questo momento ha sempre rappresentato contesti moderni o futuristici.

La direzione artistica del gioco è davvero fenomenale, il chiaro risultato di un lavoro approfondito e raffinato sin nelle fasi di concept art. Tutto, dal character design alle varie location, fino all’immancabile vagonata di stile dei menu, trasuda la cura e l’immenso talento degli artisti di Studio Zero.

Tuttavia dal punto di vista tecnico non aspettatevi una rivoluzione del genere o un titolo che spreme le attuali piattaforme. Città e dungeon appaiono sicuramente più spaziosi rispetto a Persona 5, ma mantengono ancora la tipica divisione in “stanzone”, mentre le animazioni dei modelli poligonali rientrano senza infamia e senza lode nel livello della generazione passata. L’aspetto visivo resta comunque più che piacevole, anche considerando che non sono mai state le prodezze grafiche a fare breccia nel cuore dei fan.

A coronare le atmosfere di Euchronia troviamo un comparto sonoro eccezionale. Dopo anni di grandi prove in un’ampia varietà di generi (rock, hip hop, jPop, strumentale, lo-fi…), Shoji Meguro ha riconfermato il suo sconfinato talento dando vita a una colonna sonora che interpreta in modo straordinariamente peculiare le tonalità epiche adatte a un’epopea fantasy. A impressionarmi sono stati soprattutto i temi di battaglia e il loro sontuoso impiego di cori, che non hanno mai mancato di esaltarmi durante i combattimenti clou; oltre che rimanermi irrimediabilmente impressi nella mente anche quando ero lontano dal joypad.

 

Voto Recensione di Metaphor: ReFantazio, il fantasy secondo Studio Zero | Recensione


9

Voto Finale

Il Verdetto di Tom's Hardware

Pro

  • Storia coinvolgente dai temi sociali interessanti

  • Gameplay solido e poliedrico

  • Direzione artistica eccezionale

  • Ottima colonna sonora

Contro

  • Molte dinamiche di gioco ereditate da Persona

  • Qualche incertezza di scrittura

  • Tecnicamente non sorprendente

Commento

L’unico aspetto che potrebbe deludervi di questa prima opera del team guidato da Katsura Hashino è di non osare abbastanza, non rappresentare una vera e propria novità nella scuderia Atlus. Allo stesso tempo considerare Metaphor: ReFantazio una sorta di reskin fantasy di Persona 5 sarebbe ugualmente semplicistico e ingiusto. In un’epoca in cui fin troppe software house tendono a prediligere la caccia ai trend a scapito della certezza di qualità, l’impronta autoriale e la cura del lavoro di Studio Zero, sia sul lato artistico che di game design, sono certamente qualcosa da lodare. Sia che siate degli amanti di Persona che dei neofiti dei titoli Atlus, troverete in Metaphor: ReFantazio un JRPG di qualità e spessore fuori dal comune. 

Informazioni sul prodotto

Immagine di Metaphor: ReFantazio

Metaphor: ReFantazio

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