Spesso ci chiediamo, tra una cosa e l’altra, come sia godersi un videogioco senza arrabbiarsi a causa della sua longevità. Intanto è una domanda che spesso, almeno una volta, tutti noi ci siamo fatti durante la prosecuzione di una nostra esperienza virtuale nei meandri pixellati di un mondo creato da una casa sviluppatrice alla ricerca della gloria. Non importa quale sia il videogioco in questione, non importa chi sia a svilupparlo e non importa, ovviamente, in che modo si proponga al pubblico, facendosi conoscere a sua volta, diventando fruibile a tutti. Spesso, infatti, ci dimentichiamo che il videogioco non è solo proposto agli appassionati, bensì a un pubblico vasto e non molto informato su tutte le produzioni che escono frequentemente.
La comunicazione agisce spesso in modo poco chiaro, e si finisce per inseguire così la rabbia del momento, il click e la polemica senza prima contare fino a dieci e capire cosa ci si trovi davanti. Ma partiamo dall’inizio: un videogioco viene sviluppato, aggiustato, passa il suo periodo in un costante editing per alcuni mesi, per poi essere presentato e pubblicato sugli store digitali e in copia fisica. Ovviamente, c'è chi non si preoccupa di scaricarlo illegalmente, togliendo un eventuale guadagno alla casa sviluppatrice che si appoggia su un publisher che deve guadagnare su cosa sta pubblicando. Questa è un’industria che macina denaro e il guadagno è spesso improporzionale al resto di tutti gli altri meccanismi rilevanti ma al tempo stesso problematici. “Quando ti craccano, significa che sei al top”, e sarebbe vero, ma a perdere è lo sviluppatore e anche il giocatore che ha speso dei soldi per accaparrarsi questa ipotetica produzione.
Ci approcciamo ai videogiochi pensando che tutto, in un modo o nell’altro, ci sia dovuto a oltranza, e non sappiamo mai effettivamente come rivolgerci verso un’opera simile, portandole rispetto. Idealmente, il videogioco è inteso come “Gioco” e che, quindi, debba essere giocoso o divertente, anche esso un termine che sarebbe da rivedere attentamente, specie quando riflettiamo sul significato semantico della parola. Eppure, le polemiche sui social alle volte si concentrano su altro, diventando sterili e di troppo, mai estese al pubblico in modo sano e costruttivo. Un videogioco viene sviluppato, pubblicizzato e pubblicato e dopo lo giochiamo. Ma come lo viviamo? E se non esistesse un modo giusto? Se ognuno di noi, infatti, avesse una propria maniera per goderselo?
Questo senza scomodare spiegazioni, meme di dubbio gusto ed altre castronerie, che alle volte nella conversazione videoludica prendono il sopravvento, anestetizzando lo scopo di un discorso che meriterebbe di essere affrontato con la sensibilità giusta. Tuttavia, questa è una lettura che alle volte, come è ovvio, mette in secondo piano un dibattito che, al contrario, potremmo affrontare con maggiore serenità e curiosità, non partendo rispondendo a tutti i perché, ma dedicando il nostro tempo a giocare per arrivare a chiedercelo, che è sostanzialmente il motivo per il quale analizziamo se un videogioco arriva al suo scopo. È complesso, non è da tutti fermarsi e pensare a cosa si ha di fronte e perché esiste un’ipotetica meccanica durante un combattimento contro un boss agguerrito, pronto a tutto pur di fermarci; oppure, perché dobbiamo viaggiare da un punto A a un punto B, trasportando non soltanto un peso sulla schiena per connettere il mondo, ma per ridare all’umanità una speranza in più. E sì, stiamo parlando di Death Stranding.
A chi non è mai capitato di accedere a “How long to beat”? Per chi non la conoscesse, è una pagina dedicata che riguarda la longevità di un’opera videoludica, la quale include informazioni utili sulla sua lunghezza, dove è presente il totale delle ore. Chi vi scrive, spesso, lo frequenta per capire effettivamente quanto dura un videogioco e per comprendere su quale piattaforma sia più giocato. Sono presenti tutte le informazioni del caso, e non serve neanche andare troppo lontani: quanto dura Resident Evil Village o quanto è lunga la campagna principale di The Witcher 3 Wild Hunt?
Sono domande legittime; d’altronde, i videogiochi costano e noi siamo curiosi, e semplicemente speriamo che durino molto e mai il tempo necessario. La domanda giusta sarebbe, dunque, se un videogioco si esprime al meglio con le sue tempistiche. A volte succede, ma altre volte no. È la croce e delizia di un mercato che corre a ritmi forsennati, esaurendo il fiato. E noi, adeguandoci a quest’ultimo, lo perdiamo a nostra volta, non pensando a cosa potrebbe offrire un’esperienza e perché. Ci fermiamo, sbuffiamo e ci domandiamo quanto potrebbe durare ancora prima di averlo avviato. È davvero così importante sapere quanto è lungo un videogioco quando, invece, dovremmo chiederci se arriva all’obiettivo con il tempo che si prende per raccontarsi? Ora che gli standard si sono alzati e il panorama dei videogiochi è ricco di tante opere diverse le une dalle altre, sarebbe il momento di riflettere quanto valgono le esperienze che giochiamo.
Un videogioco non è mai come lo vorremmo noi: primo lo accettiamo, e prima potremmo godercelo appieno
Anche se può sembrare scontato, è importante capirlo: il videogioco perfetto non esiste. Di conseguenza, non esiste neppure il videogioco che vorremmo a tutti i costi, magari quello che sogniamo e con una lunghezza spropositata, una qualità da far invidia a tutti e un messaggio importante al suo interno. Primo, ogni casa sviluppatrice ha una sua visione creativa e secondo, è un mondo talmente vasto che diventa difficile aspettarsi qualcosa che soddisfi appieno tutte le nostre aspettative. Può sicuramente avvicinarsi alle nostre speranze, ed è proprio questo che succede con le produzioni che ci capitano a portata di pad, dove esploriamo un mondo ricco di sfumature inaspettate. Se non altro, ciascuna esperienza è diversa a modo suo e godersene una significa interfacciarsi con stili e approcci molteplici.
Prendiamo Elden Ring, per esempio, che possiamo giocare a nostro piacimento e farlo durare parecchio grazie alla sua sconfinata rigiocabilità. Oppure potremmo parlare di NieR e di Cuphead, nonché di Tales from the Borderlands e delle avventure grafiche di Telltale Games. Oppure, se proprio dobbiamo scegliere le esperienze che durano meno in assoluto, potremmo citare What Remains of Edith Finch e The Order: 1886. O magari direttamente Unpacking, che dura tre ore e non entusiasma affatto per la rigiocabilità che potremmo invece trovare in Dragon Age Inquisition.
La produzione di Witch Beam concentra tutte le sue energie sulla prima run, come ha fatto in passato Hellblade: Senua’s Sacrifice e tanti altri videogiochi più narrativi, che non fanno della rigiocabilità il loro punto di forza. Se ci basassimo su questo, infatti, opere come Gris non dovrebbero prendersi valutazioni eccellenti ma percentuali ribassate all’osso perché non offrirebbero altro al giocatore, non permettendo di comprendere un’opera nella sua interezza nel modo adeguato. In sostanza, dipende dal videogioco che abbiamo davanti e da qual è il suo scopo e se arriva, soprattutto, all’obiettivo. Detta così sembra facile ma non lo è per niente: confezionare un videogioco che tratta tematiche delicate è ancora più complicato, perché significa scegliere un approccio diverso durante lo sviluppo per renderlo fruibile e accessibile al giocatore.
In più, questo discorso riguarda direttamente anche gli sviluppatori, che fanno di tutto per imprimere al meglio la loro personalità nell’esperienza di gioco, con la speranza di proporla in maniera intelligente e godibile. Perché, per quanto sia un mercato e le regole di un mercato prevedano numeri e vendite redditizie per soddisfare percentuali e statistiche, stiamo soprattutto parlando di arte, e negli ultimi anni questo termine ha raggiunto un significato ben più profondo di quanto immaginiamo, considerando gli standard odierni e come adesso il videogioco viene percepito rispetto ad alcuni anni fa.
Da Puzzle Bobble ne sono passate di ere geologiche sotto i ponti, e da allora è cambiato il modo di sviluppare le storie e il game design, complici le lotte sociali e in generale una maggiore sensibilità degli sviluppatori, non soltanto predisposti a creare un viaggio ma un’esperienza vera e propria, con i suoi risultati positivi e negativi. Di sicuro, esistono opere differenti agli esempi che vi abbiamo portato, eppure è impensabile per certe opere immaginare un mondo videoludico senza una storia e un gameplay ben realizzati, con una longevità generosa e un messaggio di fondo memorabile. Poi ci sono altri casi, ed è ovvio: il panorama è immenso.
Eravamo abituati a videogiochi in cui bastava premere un tasto per sparare a qualcuno, divertendoci con poco, perché erano i tempi che lo permettevano e non c’era molta voglia di essere sensibili e farsi travolgere dalle emozioni come adesso avviene con Unpacking. Come accennavamo prima, però, i tempi sono cambiati e adesso sparare contro dei modelli poligonali è diventata la norma, ed era il periodo storico di Quake e di videogiochi come Wolfenstein.
Se pensiamo alla campagna di Call of Duty Moder Warfare, infatti, non possiamo aspettarci una longevità generosa, eppure riesce a convincere perché ha una buona storia, un ottimo gunplay e tante ore di divertimento assicurate. È lo stesso ragionamento che potremmo fare con molti FPS eccetto Doom Eternal, che al momento è il miglior shooter in prima persona sulla piazza ed è ancora oggi complesso da superare per tanti videogiochi che sognano di replicare le infernali gesta di id Software.
Da Ravenous Devils a What Remains of Edith Finch: quando è il viaggio a contare più della durata
Sembra sciocco ripeterlo, ma mai come oggi è importante ripeterlo: un videogioco può durare cinque o centocinquanta ore, ma l’importante è cosa contiene e cosa ha da offrire, e come sfrutta il tempo a sua disposizione per farsi scoprire, facendosi conoscere attraverso il game design, la direzione artistica e sì, persino la storia, che non è mai da considerare inferiore rispetto agli altri compartimenti.
Ravenous Devils, sviluppato da Bad Vices Games, è una produzione italiana che sta avendo un grande successo su Steam per la storia, la sua struttura ludica e le atmosfere, nonché per le idee alla base del progetto. Ed è un videogioco simulativo e gestionale, che prende ispirazione da Sweeney Todd – Il Diabolico Barbiere di Fleet Street e dura quattro ore. Cinque, in realtà, se si raccolgono tutte le ricette, anche se recentemente ne sono state aggiunte ulteriori. Stiamo parlando di una produzione che, nel corso di questi mesi, è riuscita ad aggiudicarsi valutazioni positive dalla stampa specializzata, che ha premiato la visione del team italiano e la sua originalità. Ed è un videogioco venduto a 3,99 euro, un prezzo stracciato.
È un’opera, infatti, semplice nelle intenzioni ma potente nel messaggio: si cucina, si tritura, si cuce e si vendono tartine composte da carne umana, che il duo composto da Hildred e Percival si accaparrano uccidendo brutalmente i clienti che visitano la loro bottega. Un videogioco adatto a chiunque cerchi un’avventura lineare ma comunque divertente.
Ravenous Devils salta subito all’occhio perché è una produzione che prende le caratteristiche giuste di qualunque gestionale, amplificandole e potenziandole all’asintoto, seguendo per l’appunto gli standard odierni delle produzioni indipendenti, che alle volte, come dimostra questo caso, sono gestite meglio rispetto a qualunque altra produzione blasonata che è costretta a sorreggersi su gameplay poco stratificati e magari mondi aperti in cui ci si perde a causa della noia. Se pensiamo a Ravenous Devils, è inevitabile pensare a Freud’s Bones e a Vesper, e come ognuno di essi riesca a mostrare quanto è potenti e ben delineato a modo suo.
È un discorso che vale anche per What Remains of Edith Finch, l’esperienza targata Giant Sparrow che non ha certo bisogno di presentazioni e che, stando a How long to beat, dura due ore e mezzo, una durata comunque modesta, considerando quanto esprime. Al suo interno accade di tutto, c’è una storia intensa e particolareggiata, commovente e scritta con attenzione, una vera e propria fiaba che, oltre a essere coinvolgente, confeziona momenti di riflessione, riuscendo a confezionarsi in maniera egregia. Non c’è una grande rigiocabilità e la storia, per quanto lineare, è però scritta con maturità, dandoci ben altro su cui riflettere.
A differenza di Ravenous Devils, What Remains of Edith Finch è un’opera che, per quanto semplice, preferisce concentrarsi sul racconto della famiglia Finch e sui drammi della giovane Edith, che affronta i segreti peggiori della sua famiglia. In questo caso specifico, infatti, la longevità non è sicuramente entusiasmante, eppure è la dimostrazione di come il viaggio sia più importante della sua durata e di come possa essere affrontato dai diversi studi di sviluppo del panorama dei videogiochi, dimostrandoci come è meglio godersi un’opera invece di criticarla in base alla sua durata.
Di sicuro, se parlassimo di Bright Memory nonché di altri videogiochi che avrebbero meritato di essere approfonditi meglio e gestiti con maggiore cura considerate le loro premesse, potremmo inserirne tanti altri nella lista e fare un discorso decisamente più ampio. Un esempio che ci ha deluso e costringe a tornare indietro nel tempo, è quello di Star Wars: Il Potere della Forza II, che ha visto nuovamente l’apprendista segreto di Darth Vader prendere a colpi di spada laser i malvagi sgherri dell’Impero Galattico, senza però confezionare un’opera degna. È per questo che è importante considerare i videogiochi non solo dei mezzi ma delle esperienze vere e proprie, capendo quali sono i più meritevoli non dalla durata ma da quello che esprimono, se arrivano o meno all’obiettivo, e se sono convincenti e ben strutturati.
Meglio poco ma buono: quando il troppo stroppia
Abbiamo parlato di longevità e fatto degli esempi illustri, e avremmo potuto nominare Stray di Annapurna Interactive, ma il discorso sulla longevità è qualcosa che va ben oltre un singolo videogioco e la sua struttura ludica e che ne include di differenti e sfaccettati. È il momento di riflettere attentamente su cosa vogliamo dai videogiochi e se è giunto il momento di prendere una posizione chiara su un argomento attuale: è meglio che un videogioco duri poco e abbia un senso, oppure che duri troppo e perda il suo scopo?
Gli esempi più eclatanti, vuoi perché ormai sono i più iconici, riguardando gli ultimi videogiochi della serie Assassin’s Creed, nello specifico Assassin’s Creed Valhalla e Assassin’s Creed Odyssey, di cui non abbiamo un ricordo significativo come è invece accaduto mentre abbiamo parlato di What Remains of Edith Finch. Ricollegandoci tuttavia al discorso antecedente agli esempi di cui abbiamo scritto, Assassin’s Creed ha ormai perso il suo obiettivo e ora preferisce aggiungere invece di limitare e affinare. Alle volte basterebbe essere semplici, conoscere cosa si vuole esprimere e poi manifestarlo con passione, non cercando di aggiungere o riempire. Conta più il viaggio, come è sempre stato.