Se è vero che la vita è come un viaggio in treno, pieno di salite e discese e occasioni da prendere al volo, i fratelli fanno di questa metafora un atto concreto. Insieme come sono sempre stati fino a quel momento, saltano su un convoglio che li porta verso l'ignoto, dove ritrovano due vecchie conoscenze: Finn e Cassidy, gli hippie giramondo visti brevemente in quel di Beaver Creek. Comincia così il loro viaggio nelle Wastelands e il terzo capitolo di una storia sempre più orientata verso quei toni cupi e maturi che, in maniera diversa, hanno caratterizzato anche le vicende di Max e Chloe.
Non è mai semplice parlare di un gioco narrativo senza poter entrare più nel merito della narrazione stessa con esempi concreti, a maggior ragione se questa è frammentata in episodi; se c'è però un aspetto che accomuna bene o male tutti i videogiochi a puntate nel momento in cui si arriva al punto di svolta, è che un episodio deve sacrificarsi facendosi transizione il prima e dopo, con tutti i compromessi che questo comporta: nel caso di Life is Strange 2 tocca a Wastelands. Il viaggio di Sean e Daniel ha una battuta d'arresto, un po' come accaduto nel secondo episodio ma in questo caso copre l'intero arco narrativo; dall'inizio alla fine resteremo sempre nello stesso posto, l'accampamento raffazzonato della loro nuova famiglia che porta entrambi i fratelli - in particolare Daniel - a un cambiamento fisico e ancor più emotivo, costruito su un crescendo di contrasti fra i due che culminerà nella prevedibile caduta dell'eroe (Sean) aprendo le porte alla ripresa finale.
Gli sviluppatori si sono presi il tempo di realizzare un episodio molto complesso non soltanto in termini di scelte ma di costruzione stessa: è la maledizione degli episodi "di mezzo" essere dei semplici riempitivi senza sostanza, lenti nel ritmo e pesanti nello svolgimento, ma nonostante Dontnod non riesca a evitarlo del tutto fa comunque un interessante lavoro di introspezione tanto dei comprimari quanto di Sean e Daniel, il cui rapporto si incrina a mano a mano che il fratello minore si scopre più consapevole dei propri poteri. Per contro, però, la sensazione che ne emerge è una "stereotipizzazione" di Daniel stesso nella figura del piccolo ribelle che va contro l'autorità dell'adulto - in questo caso Sean - come se le esperienze vissute, nonché l'incessante lavoro del fratello per provare a responsabilizzarlo, non gli abbiano insegnato nulla.
Sicuramente un bambino di nove anni ragiona più di pancia e istinto che di testa, e l'influenza di un gruppo di hippie dove tutto è concesso non gioca a favore di Sean, ma se la direzione presa con Daniel vuole essere così netta e telefonata (come gran parte dell'episodio, non ci sono veri e propri colpi di scena) deve essere affiancata da uno Sean nel ruolo di contraltare severo, assennato. Ne risultano invece sforzi un po' troppo deboli persino quando si sceglie di andare più "a muso duro" nei riguardi di Daniel, poco credibili dopo due episodi passati a essere costantemente preso in giro e disatteso nella fiducia riposta in lui.
È una scrittura del personaggio con il preciso scopo di arrivare a quel punto di rottura annunciato, ma il fatto che sia così chiamato come risultato e soprattutto non possa essere più o meno manipolato tramite le nostre decisioni - ovvero non importa che proviate a essere comprensivi, perché Daniel è una scheggia impazzita che da un giorno con l'altro cambia atteggiamento - lascia una costante sensazione di amaro in bocca. Non sono rare le occasioni in cui si pensa che Sean sia troppo morbido nei confronti del fratellino, trovandosi costretti a una marcia indietro che solo in parte può essere giustificata con il suo timore nei confronti di poteri sempre più pericolosi.
È un continuo sbagliare qualunque cosa si faccia che poteva andare benissimo nel primo episodio, bene nel secondo ma giunti ormai al terzo ne deriva un senso di frustrazione che più volte infrange l'immersione: questo non significa che l'esito non debba essere quello cui assisterete giocando, ma un approccio più verosimile avrebbe sicuramente giovato alla scorrevolezza del tutto. C'è un particolare momento verso la fine in cui è così ovvio cosa accadrà che riesce difficile pensare sia potuta succedere senza alcun impedimento.
Sempre il finale è però il momento di maggior ripresa di un episodio certo complesso ma al contempo traballante sotto diversi aspetti, complice la stagnazione di cui sono vittima i capitoli di mezzo: fare da collante tra due fasi è un compito ingrato e Wastelands non è esente da un simile peso, ma con un esito ovvio fin dal principio era essenziale costruire una narrazione che fosse più un crescendo di tensione che non di frustrazione, sfruttando un'esperienza che - volenti o nolenti - in mesi di fuga i due fratelli avrebbero dovuto sviluppare. Messa da parte l'eccessiva permissività di Sean verso Daniel, il resto delle sue interazioni e in particolare quella con Cassidy rappresentano un punto di forza dell'episodio, che riesce a far emergere l'adolescente impacciato intrappolato in Sean dal giorno in cui si è consumata la tragedia di Seattle - piccoli momenti di normalità che, nel suo piccolo e comprensibile egoismo, vuole concedersi.
In conclusione, questo terzo episodio soffre di alti e bassi soprattutto per quanto riguarda il rapporto fra Sean e Daniel, complice anche la staticità della situazione, ma inizia a suggerire il profondo cambiamento dal quale con molta probabilità sarà Sean a essere investito con più forza. Date le premesse per il quarto episodio, Life is Strange 2 riaccende l'interesse verso un titolo che si destreggia sul baratro della dimenticanza e del disinteresse dovuto a un calo di popolarità dei videogiochi a episodi.
Se ancora non hai giocato Life is Strange e Before the Storm, forse è arrivato il momento di recuperarli!