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a cura di Ecleto Mucciacciuoli

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Lies of P fa rumoreggiare il web. Il palco della Gamescom ha sempre chiamato a sé dibattiti controversi e dialetticamente roventi. Sebbene l’edizione di quest’anno sia stata un piacevole ritorno a una pseudo normalità, le polemiche puerili e sterili hanno ancora una volta contaminato l’informazione di settore. L’evento ha sollevato il sipario in un delicato momento storico per l’industria, va detto. L’aumento dei prezzi Sony, la strategia di Kojima e console war a colpi di acquisizione, il tutto scosso dai continui terremoti indotti dai rimandi incessanti di opere d’alto calibro. È normale, dunque, lasciarsi quantomeno trasportare dalle illazioni di divulgatori e canali comunicativi che, ingolositi dall’effetto domino che solo l’indignazione può causare, hanno gonfiato le notizie per far proliferare il malcontento.

È proprio da queste premesse che nasce il querulo dibattito su Lies of P e sull’assegnazione del premio come “Titolo più atteso su PlayStation”. Inutile a dirsi, ormai associare giochi di terze parti a una piattaforma fa sempre fischiare qualche orecchio e sibilare qualche lingua. Si dà il caso, inoltre, che Lies of P sia un’opera dark fantasy con marcati parallelismi con Bloodborne, gioco che da troppo tempo è orfano di un seguito e vanta di una community di estimatori in costante attesa di risvolti. Il motivo di questo articolo è presto detto: come mai il collegamento tra Lies of P e Bloodborne è sacrosanto e perché discuterne fa bene? Andiamo con ordine.

Partiamo da un assunto: Bloodborne è uno dei giochi più apprezzati dello scorso decennio per numeri. È oltremodo condivisibile che il lavoro di FromSoftware abbia percorso una meritata ascesa e che il genere souls like sia ormai immortale in molti intimi immaginari. Lo stesso Elden Ring, chiamando in causa progetti meno vetusti, è stato uno dei giochi più brillanti dell’anno in corso e ha tutte le carte in regola per presentarsi all’ombra della statuina del GOTY a testa alta. Le orgogliose opere della FromSoftware non sono solamente meri spauracchi per chiunque volesse sviluppare titoli dello stesso genere, ma sono anche vascelli di un’arte silenziosa: lo storytelling ambientale.

La fama dei giochi sotto la bandiera degli sviluppatori giapponesi è cresciuta principalmente per l’ineffabile capacità del mondo di gioco di raccontare tutto, senza però scivolare mai tra i tentacoli della banalità. Da questo assunto, e senza decantare per altri paragrafi l’importanza di tali dettagli, è logico dedurre che l’importanza di un mondo di gioco rievocativo e di un design accattivante siano comunque elementi alchemicamente da non sottovalutare nella formula del souls like “perfetto”. Non a caso i vari protagonisti del mondo comunicativo si agganciano proprio all’aspetto estetico di Lies of P per sedimentare nel fruitore l’idea che Bloodborne potrebbe tornare. In fin dei conti sono paragoni legittimi e tratteggiati da uno stile che risente degli echi del passato. Ciò che credo è che sia tutto frutto di un’allucinazione collettiva derivata dallo spasmodico bisogno di credere ancora in Bloodborne.

Trainati dalla nostalgia e dal bisogno di opere di questo stampo, in molti sono caduti nell’errata visione che Lies of P possa essere la reincarnazione dei propri desideri. È d’obbligo, però, argomentare con cauta decisione che sì, l’opera sperimenta qualcosa di nuovo sulla falsa riga di Bloodborne, ma necessita anche di una sua identità. È corretto, dunque, che Lies of P sia sul palco della Gamescom con in braccio il premio? Assolutamente sì, ed è un bene per tutti. Da un lato ci sono gli appassionati dell’opera di FromSoftware che meritano di provare qualcosa che possa far riaffiorare alcuni dei ricordi più belli del loro passato videoludico. Dall’altra parte c’è invece un team di sviluppo ambizioso che vorrebbe elogiare e rispettare il passato, promuovendo un embrione di qualcosa di nuovo e, forse, inaspettato.

Un souls like su Pinocchio con quello stile? Un mondo di gioco dark fantasy al confine tra orrore e fiaba? Un personaggio letale con parti intercambiabili? L’onestà intellettuale impone che perlomeno ci sia della sana curiosità e del moderato ottimismo. Potrei anche ciondolare con voi in quest’articolo - come preferirebbero tanti -, inneggiando al plagio e affogando nella paranoia, tirando a indovinare cosa - dopo la visione di un gameplay - mi sembra di intravedere o no. A cosa servirebbe? A nulla. La fase di recensione rimane l’unico meticoloso banco di analisi su cui stilare giudizi, ad ora sarebbero solo vaporosi pettegolezzi senza criterio. Ciò che va discusso è l’amore di un pubblico che da tempo desidera titoli del genere sul fronte PlayStation, perché orfano di un gioco che gli ha regalato esperienze spacca mascella. Un grande in bocca al lupo a un team che scende in campo con l’onore di provare una storia intrigante e l’onere di attingere da un mostro sacro come Bloodborne.

Concludo con un'epistola ai detrattori del gioco che non hanno accolto bene il velo di Sony sopra di essa. Se per voi il legame con la console non è così tangibile anche dopo l’analisi, ciò che mi preme è sottolineare l’esigenza di non inciampare nell’ennesimo puerile tentativo di console war. Dobbiamo aprire gli occhi e constatare che dopo God of War, Lies of P apre a un 2023 pregno di contenuti massicci sul lato artistico, e serve molto un gioco che possa rievocare una delle opere passate più importanti degli ultimi anni. Potremmo certamente andare incontro a un progetto senza identità e barcollante dal punto di vista del level design, tutto può essere espresso sul fronte ipotetico, ma mai usare il gioco per ostentare faziosità.

Riportare il focus della discussione sui binari giusti è fondamentale, ricordando che etichettare qualcosa come “l’erede di Bloodborne” impone delle pressioni notevoli, così come si potrebbe andare incontro alla catastrofica delusione degli appassionati della filosofia targata FromSoftware. Fare i giusti paragoni alimenta le interazioni e stimola la viralità, ma sono questi i momenti in cui andare con i piedi per terra. Ciò che va, invece, elogiato con il sorriso è il genuino desiderio di tanti utenti che, come il sottoscritto, amano mettere il naso in ambientazioni del genere e che bramano immergersi in mondo distopico-fiabeschi. Che sia un ritorno memorabile a quelle corde dark che ci avevano fatto sussultare in Bloodborne, solo Neowiz Games può dircelo.

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