La notizia del ritorno di Kingdoms Of Amalur: Reckoning è stata come un fulmine a ciel sereno, uno di quelli tremendamente positivi che ti mettono il sorriso sulla faccia nel bel mezzo della giornata. Re-Reckoning, stando sia alle indiscrezioni che all’annuncio ufficiale, sarà una remaster del western RPG uscito su PlayStation 3, Xbox 360 e PC, con nuove grafiche, migliorie al gameplay e tutti i DLC inclusi. Niente male per un pacchetto nostalgia, specialmente quando è di così ottima fattura.
La ricezione di Kingdoms of Amalur, nonostante un sonoro 80% su Metacritic, è stata mista. A oggi potreste appartenere alla schiera di chi lo ha amato alla follia o a quella di chi lo ha odiato visceralmente, ed è soprattutto a quest’ultimi che potrebbe interessare una nuova uscita del gioco. Chi lo ama, come il sottoscritto, di certo non si troverà deluso dall’offerta ricostruita di Amalur (nutrendo aspettative ragionevoli), ma sono coloro che hanno gettato via l’occasione di scoprire i regni creati da R.A. Salvatore e Todd McFarlane a potersi ritrovare a chiedersi se ne valga la pena rimanere nell’oscurità del rifiuto.
Kingdoms of Amalur alla sua uscita, nel “lontano” e apocalittico 2012, si era indubbiamente piazzato in una situazione difficile. Oltre ad avere il designer di Morrowind e Oblivion – Ken Rolston – e i nomi citati pocanzi, il titolo di 38 studios e Big Huge Games (nomen omen) possedeva un vasto open world e un combattimento molto fluido di tutto rispetto, con tanto di una marea di armi personalizzabili e la possibilità di alterare il tempo e gli elementi attraverso magie di numerose scuole. Elementi di tutto rispetto ma che non bastarono a conquistare i giocatori dell’epoca, usciti comunque da un 2011 in cui avevano avuto il primo Dark Souls, The Witcher 2 e Skyrim. Dove c’era lo spazio per un gioco che, diciamocelo chiaro e tondo, assomigliava più a un MMORPG a la World of Warcraft? Dove si sarebbe piazzato in un momento in cui il futuro del fantasy veniva proiettato verso nuove coniugazioni?
Alcuni di noi scommisero comunque su Kingdoms of Amalur, pensando che ci fosse qualcosa di valevole in un progetto con tali nomi dietro, o almeno convincendoci che doveva esserci per forza. Da giovane appassionato qual ero, la scintilla mi scoppiò in due occasioni: la prima leggendo alcuni coverage delle varie riviste del settore, capaci di incuriosirmi abbastanza da andare a cercare qualcosa in più. Quel qualcosa arrivò, quasi casualmente, dalla Angry Review di Angry Joe, da me al tempo seguito assiduamente e forse uno dei pochi che riuscì a centrare tutti i punti che vendevano Amalur nonostante ne parlasse in tono molto critico. Del resto non lo si poteva biasimare: bug, errori, superficialità varie e uno stile alle volte troppo incline alla vecchia scuola rendevano l’impatto con il gioco di Electronic Arts amaro seppur generalmente piacevole.
Ma oltre quello strato di fastidi c’era un mondo enorme da scoprire, una progressione del personaggio profonda e libera, tantissime armi da utilizzare in stili di combattimento diversi – tra cui degli innovativi chakram magici - e una marea infinita di quest secondarie dall’alto spessore. Quest’ultime spaziavano dalla classica fetch quest dell’ultimo abitante nel villaggio sperduto nella foresta fino a catene di missioni che raccontavano la storia delle fazioni di gioco, composte da ordini di cavalieri, esseri fatati dall’antico lignaggio e demoni assortiti. Come un MMO, ogni via era piena di eroi, viandanti e pericoli da affrontare, cosa che rendeva Amalur uno dei pochissimi RPG in terza persona con una così vasta mole di contenuti, rimanendo però fedele alla modernità di un combattimento d’azione e una scrittura che veniva fuori da due giganti del fantasy.
Certo la trama principale non era esattamente quel racconto epico simile all’ascesa di un Sangue di Drago, ma faceva della morte e la rinascita la sua unicità, donandovi un protagonista che ha sfidato il tristo mietitore e i demoni dell’oltretomba in pieno stile McFarlane. Tuttavia era ciò che la contornava a renderla interessante, come un vettore che vi conduce lentamente a destinazione, arrestandosi di fermata in fermata per permettervi di assorbire il folklore locale in ogni stop. Ai tempi però l’immediatezza era tutto, il feeling in prima persona era favorito e le ambientazioni iniziavano a essere tanto curate quanto funzionali al racconto, basti pensare a Dark Souls o alla lore nascosta.
Cose che Kingdoms of Amalur difettava, appoggiandosi a testi da scovare in giro e a una verbosità generale forse eccessiva. Inoltre, ai tempi, World of Warcraft andava abbastanza bene da creare una lotta tematica evidente a qualunque giocatore, che sul gioco di EA si ritrovava a gestire equipaggiamenti con rarità e potenziamenti da MMO, un sistema morale molto basilare e le “classi” standard del fantasy da manuale. Aggiungiamo un leggero strato di grinding, un crafting stratificato su più professioni e un menù pieno zeppo di icone per ottenere lo starter pack del gioco online, anche se Amalur non si poneva affatto come un titolo a la .hack o Sword Art Online: Hollow Realization.
E dunque perché Kingdoms of Amalur Re-Reckoning è una nuova possibilità per quel capolavoro nascosto che fu la sua forma originale? Perché è cambiato il contesto storico, sono cambiate le nostre necessità e il passato del fantasy a cui si rifà Amalur è un qualcosa a cui guardiamo con calore. Oggi come oggi siamo pieni di mondi aperti e campi ricchi di quest da perseguire, ma ci siamo persi per strada quella narrativa che Amalur (e i suoi contemporanei) possedevano, quella nata da penne autoriali dal peso imprescindibile.
World of Warcraft sarà anche attivo, ma anche lui è mutato, e nonostante il Classic, manca del feeling romantico impresso nelle menti dei suoi irriducibili amatori, gli stessi che oggi si ritrovano in giochi online pieni di azione e microtransazioni a gogo, affamati di statistiche, menù complessi e possibilità di build libere. Solo al passato possiamo chiedere di rimanere immutato, e Kingdoms of Amalur manterrà tale promessa cercando di compensare sul lato tecnico, ovvero uno dei suoi problemi passati più grossi.
Grazie a questa visione diversa, maturata negli anni in cui siamo andati avanti di opera in opera, ritornare su Amalur ci permetterà di vederlo sotto una nuova luce, apprezzandone le qualità che allora non ci convinsero più di tanto come lo stupendo e fluido combat system, ancora tremendamente innovativo. Certo, ci sarà sempre la possibilità che Kingdoms of Amalur Re-Reckoning possa non avere quel fascino che auspichiamo in queste righe, ma speriamo che tutto sommato il restauro sia abbastanza forte da poterne trainare i suoi punti di forza verso nuove vette, magari con cambiamenti significativi per snellire alcune sezioni di gameplay ora come ora desuete. Agosto è lontano e ai posteri l’ardua sentenza, eppure siamo ben felici di rivedere spuntare il nome di Amalur tra le pubblicazioni in arrivo.