Il nostro giudizio su It Takes Two, nuovo titolo cooperativo di Hazelight e Electronic Arts, è stato premiato con il voto migliore che potevamo dare. Geniale nel gameplay, creativo nelle sue scelte e divertente fino all'ultimo secondo della sua longeva durata, l'ultima creatura di Josef Fares ha lasciato ancora una volta il segno nel mondo videoludico, ricevendo lodi non solo da noi di Tom's Hardware ma anche dalla maggior parte della critica nazionale e internazionale. Insomma, non serve davvero ribadire tutte le caratteristiche per cui dovreste fiondarvi verso la vostra piattaforma di riferimento, ma se volete approfondire potete sempre rivolgervi alla nostra recensione in merito.
Quest'oggi però, grazie a una speciale occasione, vi portiamo l'intervista diretta a Josef Fares stesso, il quale ci ha concesso qualche minuto del suo tempo per discutere del gioco dopo la nostra prova e quindi dandoci, per ovvi motivi, l'opportunità di indagare con più precisione sulle caratteristiche del gioco e di alcuni suoi livelli specifici. Per quanto la conversazione non sia legata strettamente a spoiler enormi, vogliamo però avvisarvi che potrebbero esserci dettagli su alcune situazioni del gioco o ambientazioni, perciò se volete conservare la vostra sorpresa durante la partita, tornate a leggere l'intervista una volta conclusa l'avventura di It Takes Two.
Intervista a Josef Fares
Ciao Josef, innanzitutto grazie per questa intervista e per il tempo concessomi. Raramente ci capita di intervistare uno sviluppatore dopo aver recensito un prodotto, ma in questo caso ci tenevo a dirti che è stato difficile staccarci dal gioco, sia per me che per chi mi ha accompagnato in It Takes Two.
Josef Fares: Benissimo! Il design del gioco è puntato esattamente a quello, a non farvelo mai spegnere!
Infatti è stato difficile e mi ha sorpreso vedere un tale attaccamento anche da parte di chi spesso non è così "appassionato" di videogiochi, eppure a ogni singolo livello o minigioco c'era quella sorpresa o elemento che ci incuriosiva così tanto da voler sapere cosa ci sarebbe stato dopo, sia a livello di storia che di tematica. Considerando come sono giostrati i livelli, con quale criterio avete indirizzato il ritmo di It Takes Two?
Josef Fares: L'intera idea dietro il gioco, e ne parlo spesso, è che qualsiasi cosa accada nella storia deve necessariamente essere riflessa nel gameplay. Perciò qualsiasi cosa vedi accadere nella storia, come ad esempio incontrando un aspirapolvere o i fidget-spinner, saranno immediatamente giocabili e potrai interagirci, anche se alle volte è più una maniera metaforica di "giocarci". Tutto deve essere gestito al meglio e ha le sue tempistiche in modo che non ci sia qualcosa che sembra rimanere troppo a lungo, un qualcosa che ho imparato anche tramite le mie esperienze con i film. Spesso nei giochi narrativi questo è un espediente molto usato, ma qui volevamo che tutto rimanere sempre fresco, intrigante, capace di farti domandare "e adesso cosa succederà?" e via dicendo.
Infatti è esattamente la sensazione che abbiamo vissuto all'interno del gioco, quello di essere davanti a livelli in cui c'era davvero tanto da scoprire e interagire, un qualcosa che alla fine rendeva tutto come se fosse un gioco completamente nuovo. In particolare il livello dedicato alla musica mi è parso quello che aveva un repertorio molto ricco di attività collaterali o minigiochi. Come è stato strutturato?
Josef Fares: Spesso dico che nel nostro gioco non abbiamo collezionabili, monete o roba che si può raccogliere e collezionare. Invece noi rendiamo il mondo molto interattivo e diamo ai giocatori la libertà di interagire con ciò che compone l'ambiente. Nel livello della musica, il quale è basato sulla passione perduta di May sulla musica, avevamo bisogno che fosse ricco e pieno di attività secondarie con cui il giocatore stesso potesse scoprire il livello, come suonare il piano e via dicendo. Chiaramente fare una cosa del genere porta via tanto tempo, ma credo che ne valga la pena se il giocatore entra in sintonia con il livello. Rende il mondo di gioco più interessante, vivo, interattivo e anche bello.
Parlando proprio dei temi dei livelli, i primi sono improntati sulla traccia fantastica della figlia e del mondo che la circonda, mentre gli ultimi riguardano le passioni di Cody e May. Come mai la scelta di focalizzarsi su questi due aspetti in particolare?
Josef Fares: Principalmente perché credo che la passione sia la cosa più importante per gli esseri umani e per me significa molto. Bisogna avere la passione per qualsiasi cosa fai per andare avanti e possederla è una delle cose migliori che possono capitare, così come inseguirla e trovarla. Un qualcosa che volevamo riflettere anche su Cody e May. All'inizio abbiamo parlato anche del tipo di passione che avrebbero dovuto avere, se Cody avrebbe quindi dovuto essere un giardiniere e May improntata alla musica. Ma tutto sommato la chiave, a prescindere da tutto, era far emergere che la passione è molto importante.
Alla fine è molto percepito come elemento, quello della passione, così come lo è magari il vedere i genitori sotto una luce diversa. All'inizio di it Takes Two infatti sono forse più egoisti e pensano a loro stessi mentre nei livelli a loro dedicati il giocatore si avvicina di più alla loro condizione vivendone la storia e le passioni, magari arrivando a perdonarli in un certo senso?
Josef Fares: Già, l'idea generale è quella che i genitori sono così pieni e presi da loro stessi (e dalla loro condizione) che si sono dimenticati della loro figlia. Interessati come sono a tornare indietro da quell'incantesimo, arrivano perfino a uccidere il giocattolo preferito della figlia pur di farla piangere. Io credo che sia importante mostrare quel lato lì. So che per alcune persone quella scena può essere "fin troppo", ma in realtà penso che quella sensazione sia positiva! Infatti dovreste proprio sentirvi così, capendo lentamente il punto di vista di Rose e il perché della sua condizione, perché poi pensa che sia sua la colpa anche se ovviamente non è così.
Devo ammettere che la scena di Dìdì è stata iconica, anzi ti dirò che chi ha giocato con me si è sentito tremendamente in colpa a dover continuare a infierire. Penso sia uno dei ricordi rimasti più impressi del gioco.
Josef Fares: Benissimo, è esattamente quella l'idea! Era l'effetto che volevamo ottenere. È la stessa cosa che è successa per la fine di A Way Out e molti ci vennero a dire "Noo! Non voglio farlo, non voglio che finisca così" e via dicendo. Tu hai giocato A Way Out?
Sì certamente, mi è rimasto impresso.
Josef Fares: Allora sai esattamente il perché molti giocatori si siano arrabbiati per la sua fine. Ma è quello il punto! Per noi è bello far casino con i giocatori.
Però credo ci sia anche una sostanziale differenza. In A Way Out l'atto di cui parliamo viene alla fine del gioco quindi i giocatori non hanno "altro tempo" per elaborare la cosa e rimangono quindi con quell'ultimo ricordo del gioco. Invece in It Takes Two l'incontro con Dìdì avviene nel mezzo e prima dei livelli in cui il giocatore poi entra in comunione con i genitori. Magari lì ha il tempo di perdonarli per quella scena, invece su A Way Out meno. No?
Josef Fares: Capisco che vuoi dire! Allo stesso tempo quella scena è molto importante per il modo in cui i personaggi ci interagiscono. Poi, almeno per me, quella scena non è poi così brutale. Alla fine è solo un peluche e tutto sommato non può essere ucciso per davvero, anzi ve lo mostriamo pure che è stato aggiustato. Quindi state tranquilli!
Parlando di Dìdì e del suo castello, in effetti It Takes Two ha dei livelli fenomenali che prendono a piene mani da tanti immaginari. In un certo senso c'è molta infanzia, i sogni che avevamo da piccoli e diverse fantasie uscite direttamente dalla scatola dei giocattoli. Oltre alla Pixar, quali sono state le ispirazioni maggiori? Magari qualcosa anche legato ai tuoi sogni da piccolo?
Josef Fares: Certamente! Il grosso della nostra ispirazione era quello di creare un gioco che fosse capace di spingere ancora oltre il medium videoludico, con una storia coinvolgente, gameplay vario e tante situazioni interessanti che non avete mai giocato prima. Questa è la cosa più importante. Ma ovviamente c'è anche tanto del proprio vissuto che ti ispira. Nei giochi su cui ho lavorato in passato c'erano le esperienze personali del team, altre cose che invece abbiamo visto e molte altre legate a tutto ciò che c'è nelle nostre vite. Da un punto di vista di gameplay, la più grande ispirazione – oltre a quella per il videogiocare – sono i giochi Nintendo perché hanno una struttura immediata, accessibile e divertente. Sia Brothers: A Tale of two sons, che A Way Out e It Takes Two hanno controlli molto semplici e possono sembrare facili, ma sono esperienze davvero particolari.
E oltretutto ogni livello, oltre all'ispirazione tematica, deve corrispondere a quasi un genere diverso. Siamo rimasti stupiti quando da un momento all'altro siamo passati da sparatutto in terza persona a Diablo-like a tanti altri generi che non ci aspettavamo di vedere fusi in It Takes Two. Forse questa sua caratteristica è stata la sfida più difficile per voi?
Josef Fares: Naturalmente, quella è stata una delle sfide più grandi: il creare così tanti e differenti livelli facendoti comunque sentire di star giocando allo stesso gioco, oltre che a farlo essere di facile approccio. È anche per questo che dico che l'ispirazione dei giochi Nintendo è stata importante, proprio perché hanno questo tipo di filosofia e la eseguono molto bene. Quindi per noi è stato un punto centrale, e credo siamo riusciti ad azzeccarlo perché al momento stiamo osservando le reazioni del pubblico, specie verso chi non è bravo nei videogiochi, e vediamo una risposta più che positiva. Certo, magari ci vuole un po' più di tempo per imparare tutto, però per me non è un problema.
Assolutamente, anzi te lo confermiamo noi stessi come dato! Abbiamo notato anche tutto sommato un approccio molto semplice e diretto porta entrambi i giocatori a immedesimarsi di più nelle vicende di gioco, e forse per noi un punto di svolta è rappresentato dal livello della Palla di Neve che ci è sembrato molto significativo e intimo, come se fosse molto personale su diversi livelli.
Josef Fares: Bhe non è tanto nelle storie personali, ma credo che vi sentiate così sia perché è un ottimo livello con così tante cose da fare e il tono natalizio molto affettuoso, con cui molti si possono immedesimare, che lo rende particolare. Ma è anche il livello in cui Cody e May iniziano a riavvicinarsi, a trovarsi e il tono dei loro dialoghi diventa più carino, si uniscono più spesso. E, inoltre, credo che abbiamo azzeccato molto bene le meccaniche del livello utilizzando i magneti e sfruttando il loro potenziale come simbolo della loro attrazione ritrovata. L'ispirazione, alla fine, viene dalla vita stessa.
Lo stesso poi può anche essere detto del livello musicale, considerata la ricchezza e il ruolo importante che ha nell'ecosistema di gioco. Il calore del tema e il modo in cui viene vissuto è davvero particolare e sembra, almeno dalla nostra prospettiva, un racconto molto vicino a un'esperienza reale.
Josef Fares: Bhe in verità io ho un amico a cui piace davvero tanto suonare la chitarra ma sta spingendo via la sua creatività. Ogni volta che ci parlo sento che lui vuole tanto fare musica ma non lo fa per lavorare nella finanza perché è quello che ci si aspetta da lui. Esistono delle persone che allontanano la loro passione per diverse ragioni, e proprio questo mio amico è stata una ispirazione per il livello musicale e per cui sembra così personale La seconda ragione è invece legata al modo in cui abbiamo creato il livello e l'attenzione che gli abbiamo dato. Se le meccaniche non si bilanciano su quello che è il tema del livello, le cambiamo. Altre volte si cambia la storia, altre invece i meccanismi, l'importante è che ci sia la collaborazione ottimale tra le parti.
Ed è difficile bilanciare questo tipo di rapporto tra le parti? Specialmente negli ultimi livelli dove il tema sembra più solido e significativo, anche nell'importanza della loro funzione nella trama?
Josef Fares: Sì, chiaramente ritorna in gioco il discorso che facevo prima del "vedere e giocare", perciò se si vede un aspirapolvere lo si deve giocare immediatamente. Ma gli ultimi quattro livelli sono improntati più sul giocare con le emozioni, sui loro problemi come coppia e che tipo di sentimenti stanno elaborando i due. Chiaramente a volte è difficile connettere il gameplay e la storia, tanto che in alcuni casi non si può fare, ma abbiamo ragionato su quello che potevamo fare e ci è sembrato molto buono ad esempio associare il magnete all'attrazione, o focalizzarci sulle passioni dopo aver esplorato il tempo, perché chiaramente il tempo diventa un fattore importante nella relazione. Dovevamo connettere i punti ed è stata una sfida, ma siamo soddisfatti del risultato che abbiamo ottenuto sposando le due parti.
Anche stavolta non possiamo che darti ragione, non c'è mai stato un momento in cui abbiamo sentito di essere fuori dal contesto generale del gioco o dalla sua anima. Anzi eravamo sempre più presi al suo interno. Dato però che il gioco sta ricevendo ottime reazioni e la qualità dimostrata, per il prossimo progetto volete proseguire su questa linea più "giocosa" o volete tornare su un qualcosa nelle corde di A Way Out?
Josef Fares: Non voglio davvero dire troppo su quello a cui stiamo lavorando, perché ci stiamo già lavorando, però posso dirti che è qualcosa di totalmente diverso da tutti i nostri progetti. Anzi ti dico di prepararti bello mio: preparati a farti sconvolgere il cervello!
Ecco ora che parli di sconvolgere il mio cervello, quel livello dentro il caleidoscopio è stato pazzesco e a tratti totalmente folle. A un certo punto non sapevamo più dove fossero la destra e la sinistra ma ci è piaciuto tanto. Come vi è venuto in mente di buttarci dentro un caleidoscopio e, considerato le meccaniche che contiene, è stato difficile realizzarlo poi?
Josef Fares: A essere onesti quel particolare livello è passato sotto diverse forme prima di arrivare a quella finale. Abbiamo sperimentato un po' con gli effetti ma dovevamo stare molto attenti a quale tipo di intensità adattarci, per esempio nell'essere rispettoso di chi soffre di epilessia ed evitare che fosse per loro un motivo di reazione. L'idea chiaramente, fin dall'inizio, era che sarebbe stato proprio forte avere un qualcosa dentro un caleidoscopio e quindi ci siamo dati ai test e ai progetti. Dopo tante prove interne abbiamo ottenuto il risultato che volevamo!
Oltre al caleidoscopio e alle tante attività collaterali, i minigiochi sono stati per noi uno dei motivi maggiori per rimanere attaccati al gioco. So che "rigiocabilità" non è un termine che adori ma-
Josef Fares: Esatto, sai perché non mi piace? Concordi con me su questo? O l'hai usata per scrivere di videogiochi?
Certo, anche se in tutta onestà ammetto che in passato l'ho usato in alcuni casi ma da quando ne hai parlato ho ridimensionato l'uso di quella parola.
Josef Fares: Ottimo! Dovreste chiedervi come mai ci sia una così bassa percentuale di giocatori che effettivamente si mettono lì a rigiocare i titoli che possiedono. Noi invece dovremo cercare di rendere i giochi ottimi già così come sono, se poi vuoi giocarli va benissimo ma non deve essere l'elemento su cui porre attenzione. Anzi noi, dai publisher agli sviluppatori ai giornalisti, dovremmo capire come mai tanta gente non finisca nemmeno i giochi che ha.
Su questo siamo completamente d'accordo, infatti il punto centrale della questione è che siccome in It Takes Two ci sono così tante cose buone e intriganti, partendo dalla possibilità di giocare a Scacchi come quella di rigiocare uno qualsiasi dei 25 minigiochi dentro di esso, è diventato l'esempio perfetto di rigiocabilità.
Josef Fares: Porti un ottimo argomento perché, ironicamente, proprio perché non abbiamo minimamente pensato alla rigiocabilità io credo che, statisticamente, le persone lo rigiocheranno più spesso. Si può rigiocare la trama utilizzando il personaggio che non si è usato la prima volta perché ognuno ha abilità diverse, poi ci sono i minigiochi. It Takes Two, tutto sommato, è più rigiocabile di qualsiasi altro gioco normale che sia partito con l'idea di renderlo rigiocabile. E la cosa divertente è che alla fin fine io non ho nulla contro il concetto di "rigiocabilità", però dico che non bisogna averlo in testa durante la realizzazione del gioco. Molto si basa anche sul ritmo, certe volte guardo un movie-game e se è davvero ben cadenzato lo rigioco volentieri, se invece non lo è difficilmente lo riprendo.
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