“Il successo non è mai definitivo, il fallimento non è mai fatale; è il coraggio di continuare che conta.”- Sir Winston Churchill
Non è un caso che io abbia voluto cominciare questo articolo con una citazione di Sir Winston Churchill: una frase che in molti di voi avranno già sentito, ma quasi sicuramente in un contesto ben diverso da quello videoludico. Non stiamo infatti parlando di guerra o di situazioni politiche particolarmente complesse, ma di uno dei media che più ha rivoluzionato il mondo dell’intrattenimento negli ultimi cinquant’anni.
Un processo questo nato e sviluppatosi proprio da ciò che viene sottolineato nell’ultima parte della frase del celeberrimo Primo Ministro inglese: il coraggio. Esatto, perché è grazie ad azioni di questo tipo se oggi abbiamo a disposizione un mercato così ampio, ricco e in continua espansione.
La storia dei videogiochi è infatti costellata di piccole grandi innovazioni, portate avanti da singoli o da intere software house che hanno rischiato il tutto per tutto per raggiungere qualcosa eccezionale. Qualcosa di unico. Quel che voglio fare oggi è raccontare alcune di queste storie, ripercorrendo alcune di quelle sperimentazioni che hanno cambiato per sempre il nostro modo di percepire il medium più bello del mondo.
Videogiochi e sperimentazione: grandi imprese…
Il processo creativo è un momento unico, che ogni autore vive in modo diverso e indipendente. Non possiamo infatti definire un pattern o dei punti comuni nel percorso che va dalla nascita alla realizzazione di un’idea, se non forse una spinta che possiamo proprio identificare con il nome di coraggio.
L’industria del videogioco è costellata di momenti degni di nota, che partono sia dall’alto che da quelle che sono le radici di questo mezzo di comunicazione così particolare. Iniziamo dal panorama mainstream, con un personaggio che spesso e volentieri troviamo annoverato tra i più influenti dell’intero settore: Hideo Kojima. Il padre di Metal Gear Solid non ha certo bisogno di presentazioni, e molta della sua fama deriva proprio dal coraggio che ha mostrato nel dar vita a prodotti e idee senza precedenti. Parlando proprio della sua opera più importante, sono infatti diversi i caratteri che emergono:
- Metal Gear è una saga che parla di politica e di società, prendendo spunto dalla realtà e criticandola in maniera sempre molto oculata;
- Riesce a integrare cinema e videogioco con sequenze filmate curate nel minimo dettaglio per apparire, dai dialoghi alle inquadrature, come vere e proprie sequenze di un film;
- È ricco di particolari che, anche quando molto semplici, riescono a raccontare e coinvolgere in modo unico: se il giocatore si accende un sigaro vedrà la barra della salute scendere, se dovesse mangiare qualcosa di avariato si sentirà male, si emozionerà vedendo il poster di una bella ragazza e via dicendo;
- Presenta una struttura narrativa davvero complessa, forse anche “troppo” se pensiamo che si tratti di un videogioco;
- Si tratta di un’opera da sempre avanti con i tempi: in Metal Gear Solid 2, ad esempio, Kojima chiude con un’aspra critica a come e quanto le troppe informazioni in nostro possesso rischino di portare alla disinformazione danneggiando la società per come la conosciamo. Si parla, in sostanza, del pericolosissimo ruolo delle fake news. Era il 2001.
- Gli escamotage narrativi utilizzati sono geniali e mai fini a sé stessi: il giocatore viene realmente coinvolto e “sfidato”, con l’invito a ragionare in modo molto particolare per proseguire nell’avventura.
Quello che ha cercato di fare Kojima è stato alzare l’asticella: prendere tutto ciò che era standard e consuetudine e trasformarlo in qualcosa di mai visto prima. Come? Sperimentando, spesso e volentieri andando volutamente oltre le righe. Il risultato finale è qualcosa in grado di lasciare un segno indelebile nel cuore di ogni fortunato videogiocatore, con una storia che ancora oggi merita di essere vissuta almeno una volta.
Un’innovazione del genere è speciale proprio per la grande ispirazione che prende e, al contempo, riesce a dare nell’intero panorama dell’intrattenimento. Metal Gear prende infatti spunto da opere provenienti da media differenti - dal cinema alla letteratura, fino ad arrivare alla musica - per poi a sua volte influenzare, in maniera più o meno marcata, altri prodotti che arrivano a popolare il mercato. Cercare di arrivare a qualcosa del genere, insomma, non è che un puro e semplice atto di coraggio.
Un altro autore degno di nota, sempre dalla terra del Sol Levante, è Yoko Taro. Un personaggio noto ai più per la sua personalità eclettica e stravagante, che da sempre ama “giocare” con il medium videoludico per creare ogni volta qualcosa di nuovo e capace di abbattere i confini a cui tutti noi siamo abituati.
Ecco, Yoko Taro è il perfetto emblema di abbattimento di una qualsivoglia forma di comfort zone: Nier Automata, del resto, è un’opera che è davvero difficile descrivere a parole. Ciò che la rende unica è un insieme di particolari che, uniti nel prodotto finale, riescono a dar vita a un mosaico ricco di sfaccettature che meritano di essere approfondite.
Nier Automata mescola tanti, tantissimi generi differenti: si passa in pochi minuti da giocare a un platform 2D a un’avventura focalizzata sull’esplorazione, fino ad arrivare a meccaniche hack and slash senza mai tralasciare la sua identità in quanto gioco di ruolo. In tutto ciò il gioco riesce a mantenere intatta un’anima chiara e definita, regalando ore di intrattenimento dove viene narrata una storia anch’essa volta a una forte sperimentazione.
Il titolo racconta infatti di un pianeta Terra popolato da robot che hanno confinato gli ultimi esseri umani sulla Luna, con questi ultimi a inviare androidi sul loro pianeta natale per tentare di riconquistarlo. Un incipit che potrebbe sembrare semplice, ma che la trama va ad approfondire sfruttando il singolare gameplay… Proprio come elemento centrale e funzionale alla narrazione.
Il mondo di Nier è unico, ma non è il solo esempio di come e quanto ambientazione e contesto siano colonne portanti del racconto. Prendiamo ad esempio i titoli FromSoftware, che grazie a una coraggiosa sperimentazione da parte di autori come Hidetaka Miyazaki sono riusciti addirittura a dar vita a un genere. Il primo impatto con un soulslike può risultare persino traumatizzante per un giocatore, che si trova di fatto catapultato in un mondo e in un modo di concepire il videogioco totalmente senza precedenti.
A un occhio non attento un’esperienza come Dark Souls potrebbe quasi apparire come priva di un vero impianto narrativo, ed è qui che entra in gioco la sperimentazione. La storia è infatti portata avanti da tanti piccoli frammenti sapientemente collocati all’interno del mondo di gioco: ogni componente ha una sua ragione di esistere, e all’utente è in effetti richiesto uno sforzo non da poco per comprendere e apprezzare appieno un’opera di questa caratura. La pazienza viene però sempre premiata, ed è proprio grazie a questo fattore che oggi sono in molti a comprendere e adorare il ricco filone creato da FromSoftware.
Chiudiamo questa carrellata di esempi legata a nomi già noti e blasonati all’interno dell’industria parlando di un progetto davvero particolare, nato come indipendente e trasformatosi nel tempo in qualcosa di molto più grande. Sin dall’annuncio No Man’s Sky ha catturato l’attenzione dei giocatori di tutto il mondo, con l’ideatore Sean Murray a ragionare su un prodotto rivoluzionario come pochi prima di allora. Il concetto alla base riassume alla perfezione quest’idea capace di sconvolgere la percezione stessa di videogioco: il motore era infatti in grado di generare in maniera procedurale l’ambiente di gioco, con la possibilità di esplorare la bellezza di 18.446.744.073.709.551.616 pianeti. Già.
Furono in molti a puntare su Hello Games, una realtà la cui ambizione rischiava di superare di gran lunga le effettive competenze di un team forse troppo acerbo per un prodotto del genere. E infatti, almeno in un primo momento, le buone intenzioni non furono sufficienti a salvare il gioco: la prima versione del titolo era infatti piena di bug e problematiche che, a conti fatti, rendevano l’esperienza qualcosa di totalmente diverso da quanto promesso.
L’esperimento sembrava dunque finito male, ma il mondo dei videogiochi è bello anche perché in grado di regalare spesso e volentieri una seconda opportunità. Sean Murray e il team si sono messi di impegno e oggi, a sei anni dall’uscita, No Man’s Sky è diventato un prodotto assolutamente degno di nota. Imparando dai propri errori, Hello Games è riuscita finalmente a dare al pubblico ciò che aveva in mente sin dal principio: l’idea stessa di tornare sui propri passi, di rimboccarsi le maniche e di ripartire è, se ci pensate, un vero e proprio atto di coraggio.
… Ma anche piccoli, fondamentali passi in avanti.
Le grandi innovazioni possono però arrivare anche da contesti di dimensioni molto, ma molto più ridotte. Da un certo punto di vista possiamo anzi affermare, con tutta probabilità, che è proprio in ambienti del genere che ha origine la “vera” sperimentazione: per emergere davvero, un autore o una software house con poche risorse deve infatti ricercare questo particolare tipo di spinta. Tutto, ma proprio tutto ha inizio da qui.
Il primo esempio che voglio portare risponde al nome di Passage, titolo del 2007 sviluppato da Jason Rohrer: personaggio noto tra una ristretta nicchia di pubblico proprio per la sua costante ricerca di nuovi metodi e linguaggi per raccontare, in modo totalmente nuovo, storie uniche nel loro genere. Il gioco è una piccola perla in pixel art della durata di appena cinque minuti, nei quali viene di fatto raccontato il passaggio che ognuno di noi compie dalla nascita fino alla morte: il viaggio della vita insomma, con tutto ciò che lo caratterizza.
Emozioni come tristezza e felicità ma anche relazioni, obiettivi e cose assolutamente fuori dal nostro controllo: la vita stessa è un’opera d’arte imprevedibile, che Rohrer racconta con una semplicità tale da impattare in maniera tangibile su ogni giocatore. A testimoniare il grande successo di Passage troviamo tutta una serie di riconoscimenti che lo elevano, di fatto, allo status di capolavoro senza precedenti. Nel 2012 Paola Antonelli, curatrice del MoMA di New York, ha incluso Passage tra i primi quattordici videogiochi a far parte della collezione permanente del museo. Giusto per avere un’idea, tra gli altri troviamo opere come Pac-Man, Tetris e The Sims, e a colpire è proprio il fatto che tutto sia stato realizzato da una persona sola.
Un altro temerario sviluppatore, capace di realizzare in totale autonomia un progetto davvero interessante, è Gonzalo Frasca. Un nome forse sconosciuto ai più, che nel 2003 ha pubblicato un browser game intitolato September 12th: un semplice gioco di guerra, con un messaggio di fondo dall’impatto devastante. Le vicende narrate si svolgono infatti nel giorno seguente gli attentati dell’11 settembre, dove il giocatore si trova a vestire i panni di un battaglione dell’esercito americano in Medio Oriente, in un villaggio popolato tra gli altri da molti terroristi coinvolti nell’attentato del giorno prima. L’obiettivo? Eliminarli, potendo contare su un ampio arsenale di bombe da sganciare senza pietà.
Peccato che, così facendo, finiremo col provocare la morte anche di centinaia e centinaia di civili innocenti: il messaggio alla base del gioco è chiaro, semplice e diretto, non vi pare? La distruzione genera altra distruzione, e September 12th vuole raccontare proprio questo tunnel senza fine in cui troppo spesso il mondo si è andato a incastrare. E lo fa affiancando a un gameplay estremamente minimale una serie di sezioni altrettanto essenziali ma capaci di colpire: vengono infatti mostrate le conseguenze delle scelte del giocatore, con segni indelebili, figli di una barbaria inutile che risponde al nome di guerra.
Cambiando completamente genere torniamo nuovamente in Giappone, dove alla fine dello scorso millennio Masaya Matsuura diede vita a Vib Ribbon: un rhythm game che non possiamo che definire assurdo, arrivato anche in Europa seppur con una distribuzione limitata. Il giocatore veste qui i panni di Vibri: una femmina di coniglio impegnata in un particolarissimo percorso a ostacoli. Quest’ultimo risulterà infatti generato sulla base di una delle tante tracce audio presenti nel gioco o, addirittura, da una qualsiasi canzone scelta dall’utente. Già, proprio qualsiasi: il giocatore può infatti inserire un CD Audio, selezionare un pezzo e assistere alla magia.
Che voi inseriate un album rock, un capolavoro della musica classica o un disco rap non ha importanza: il risultato finale sarà qualcosa di geniale, assurdo e che non può che essere figlio di una mente davvero dotata. Vib Ribbon è infatti un prodotto eccezionale che non mancò di lasciare critica e pubblico a bocca aperta: le vendite non furono certo entusiasmanti, anche al netto della forse eccessiva sperimentazione in un titolo che già di per sé puntava a un pubblico di nicchia, ma tutti concordarono nel lodare l’opera e la sua essenza realmente unica. E anche lui, così come Passage, è stato inserito nella collezione permanente del MoMA di New York dedicata ai videogiochi.
L’ultimo titolo di cui andrò a parlare è il coronamento di anni e anni di attività di Thatgamecompany, grazie ai quali la piccola software house californiana ha lasciato un segno importante nella storia di questo medium. Come? Sperimentando poco alla volta ma con linguaggi mai visti prima, che in Journey trovano forse la loro espressione più marcata. Il gioco è un’esperienza dalle mille sfaccettature, che parte da un concept incredibilmente semplice: il protagonista dovrà infatti recarsi da un punto A a un punto B, attraversando un deserto in un percorso lineare e con pochi ostacoli nel mezzo. Fin troppo facile, no?
Il punto è proprio questo: Journey non vuole essere una vera e propria sfida, quanto più una rappresentazione delle sensazioni che rendono il viaggio ciò che è. È il viaggio infatti l’elemento centrale della storia con tutti gli incontri, i momenti e anche le pause che lo contraddistinguono. Il giocatore incontrerà sulla sua strada tanti altri viandanti, e potrà comunicare con loro solo tramite pochi e semplici segnali predefiniti: così facendo, in sostanza, Journey ha ridefinito l’intero concetto di comunicazione e di trasmissione di messaggi all’interno del videogioco.
Ciò che prodotti del genere riescono a fare non è solo regalare esperienze uniche ai fortunati giocatori: si tratta di opere che vanno ben oltre, riuscendo a catturare prima e a colpire in un secondo momento, lasciando poi a lungo termine qualcosa di indelebile e con tutta probabilità indimenticabile. Sensazioni di questo tipo sono ciò che rendono il videogioco, a mio parere, il medium più bello del mondo: poche altre espressioni artistiche riescono infatti a coinvolgere a così tanti livelli, e grazie alla costante evoluzione tecnologica (e soprattutto al coraggio di chi vorrà osare) sono certo che il meglio debba ancora arrivare.
Abbiamo ripercorso insieme le storie di alcuni degli esperimenti che, nel corso della storia dei videogiochi, hanno contribuito a scrivere pagine molto importanti nella crescita e nello sviluppo di questo medium. Si tratta ovviamente solo di una piccola, piccolissima parte di quello che negli anni è divenuto un ecosistema incredibilmente ampio e ricco di sfaccettature: elencarle tutte sarebbe stato impossibile, proprio per l’enorme varietà di ciò che il gaming è divenuto nel tempo.
Una menzione aggiuntiva va fatta ad esempio a prodotti come The Sims, The Last of Us, Persona, Silent Hill e Fable: tutti titoli con storie incredibili alle spalle, che speriamo un giorno di potervi raccontare su queste pagine. La parola passa ora a voi: raccontateci quali sono, per voi, quei giochi che da sempre percepite come massime espressioni di “coraggio”: quegli esperimenti, insomma, che hanno davvero (ri)definito il nostro modo di vivere il videogioco. Fate un salto indietro con la memoria e scavate nei vostri ricordi senza dimenticare che tutte, tutte le storie meritano di essere raccontate. Davvero.