horror ‹hòrë› s. ingl. (propr. «orrore»; pl. horrors ‹hòrë∫›), usato in ital. al masch. – È termine spesso usato anche in Italia (da solo o nella locuz. horror film) per indicare un genere cinematografico fondato su scene, azioni e immagini macabre e raccapriccianti; con espressione ital., film dell’orrore. Meno spesso riferito a una produzione letteraria d’ispirazione analoga: racconti, romanzi dell’horror; scrivere, leggere un horror; gli amanti dell’horror (film o racconti).
Il bollino rosso, in basso a destra sullo schermo della televisione durante la mia prima visione de L'esorcista e il mio primo tentativo con Silent Hill 2 sulla PlayStation sono due esperienze che hanno molto in comune e, allo stesso tempo, molto che le differenzia. Ed è proprio al ricordo di questi due momenti, e di molti altri che sono accaduti anche molti anni a seguire, che ho pensato di pormi una domanda che è insita da sempre un po' in tutti noi: perché giocare un titolo horror ci spaventa ancora di più di vedere una pellicola dello stesso genere?
Vivere un prodotto del terrore è da sempre qualcosa che, come lo stesso termine ci descrive chiaramente, finisce per spaventarci e creare stress o scariche di adrenalina. Ma la realtà è che il quesito che mi sto ponendo non è casuale perché, cercando un po' in giro tra chi se ne intende molto più di me, ho notato che si tratta di qualcosa che gli studiosi cercano di osservare da vicino da molto, molto tempo. Risulta evidente che, anche per gli adulti e anche per chi prova gusto a sedersi di fronte a una pellicola del terrore, è più difficile iniziare, proseguire e finire un gioco con simili ambientazioni e jumpscare. La risposta alla domanda che ho deciso di pormi nell'articolo di oggi è strettamente legata alla parola responsabilità e ora vi spiegherò il perché.
La sottile differenza tra vedere delle vittime ed essere delle vittime
Come ho già detto, il dubbio e la voglia di ricercare delle informazioni su questo tema sono nati a seguito della mia riflessione sul passato ma anche sul presente. Nel corso degli anni, maturando e diventando adulta, ho cominciato ad apprezzare la letteratura e le pellicole più truculente e sanguinose, riuscendo a superare anche la passione di mio padre per il genere. Sono riuscita a lasciarmi trasportare da atmosfere oscure di ogni genere, trovando sempre più fascino del mondo del terrore: per scrittura, ambientazioni, personaggi e visione del mondo. Eppure, nonostante la Valentina che si nascondeva dalle scene violente de L'esorcista sia diventata una fan spassionata di prodotti quali Le colline hanno gli occhi, Nightmare o Sinister, l'altra che si bloccava e piangeva di fronte all'atmosfera cupa di Silent Hill 2 è rimasta ancora lì. A tremare disperatamente, annientata dal pensiero di doversi muovere in un buio pericoloso, pronta a essere ghermita, con la possibilità di diventare vittima in prima persona. Ed è proprio questo il punto, la svolta che ha dato senso a questa paura che di primordiale ha davvero molto.
Se nei film o nelle serie osserviamo qualcuno che vive esperienze al limite del terrore e dell'oscuro, nei giochi abbiamo la responsabilità di agire con letteralmente nostre stesse mani. Non siamo i testimoni lontani, nascosti da uno schermo che ci affaccia sul mondo rappresentato, bensì siamo coloro che possono rovinarsi con le loro stesse mani e vedersi tramortiti da creature, serial killer e molto altro ancora. Per questo girare l'angolo nei corridoi stretti in Resident Evil 7 Biohazard fa così paura; per questo fuggire dall'Alien inAlien Isolation paralizza e fa sudare anche solo muovendo le dita.
“What’s particular to video games, in comparison with a horror film, is that you’re responsible for what happens. It’s your fault if you choose to go the wrong way and towards the monster. Players become so immersed that they forget it’s fantasy.”
-Mathias Clasen dell'Aarhus University, Danimarca
Tutto quello che abbiamo imparato da una vita, ovvero che i mostri, i killer e le violenze delle pellicole non sono realtà, viene capovolto dall'esperienza videoludica. Le creature ci afferrano dalle spalle, ci colpiscono quando siamo vulnerabili, nessuno si muove nell'oblio se le nostre mani non decidono di farlo. L'assurda realtà è che nei videogiochi horror subiamo le conseguenze dei nostri gesti e delle nostre distrazioni. Ma questo non lo penso io, basandosi solamente sulle mie esperienze individuali. Questi pensieri, che io tramutato in un articolo, sono stati ampiamente discussi a livello accademico da gruppi di studiosi dell'Aarhus University in Danimarca. Come affermano Kjeldgaard e Christiansen 2 ricercatori che hanno lavorato alla pubblicazione di un nuovo studio sul tema, per l'Academic Quarter:
“The game gets us to feel that we are actually inside the game universe, and the more realistic the game, the stronger the effect.”-Kjeldgaard-Christiansen dell'Aarhus University, Danimarca
Quello che è emerso nel corso di questo studio, così come in quello di molti altri appassionati e ricercatori di cultura popolare, è che i videogiochi assicurano un'esperienza horror assolutamente realistica per la nostra mente. Per paradosso, pur sapendo che gli attori sono carne e ossa mentre i personaggi sono una costruzione in un mondo virtuale, la seconda opzione ci risulta estremamente terrificante perché include la nostra (quasi) arbitraria scelta di viverci dentro. Probabilmente evi starete chiedendo come hanno potuto dimostrarlo da un punto di vista pratico e la risposta è piuttosto semplice, perché riprende uno dei metodi maggiormente usati in ambito sociologico, in generale.
Ovvero osservando con estrema attenzione gruppi e gruppi di individui che hanno testimoniato ciò che già sapevano e che sappiamo anche noi: le persone reagiscono con vero sprizzo terrore di fronte a un gameplay horror piuttosto che di fronte a un film, perché si proiettano all'interno dell'esperienza e finiscono per sentirsi realmente minacciati e anche per un tempo molto più esteso rispetto a una pellicola. Non si cambia subito scena dopo un jumpscare, non c'è qualcosa di repentino che ci distrae nettamente da ciò che appena accaduto, siamo ancora lì immersi nel gioco feriti come una preda che deve combattere per la sopravvivenzaza. Tutto è più impattante, a partire dalla paura del buio fino ai rumori nella notte e alle voci che sembrano sbucare ovunque intorno a noi. Mentre il mondo cinematografico intrattiene, quello videoludico ci mette di fronte alle nostre difficoltà. Per esempio, sempre Kjeldgaard e Christiansen, hanno mostrato nel pratico come Amnesia: The Dark Descent disturbasse profondamente la maggior parte dei giocatori una volta svegliati nel buio più assoluto.
Il timore di quell'oblio, hanno osservato compiaciuti, era differente da una qualsiasi scena oscura di un film: gli individui dovevano decidere di muoversi senza avere la più pallida idea di dove stessero andando o di dove si trovassero. Puro, sincero e limpido spaesamento. La linearità di una pellicola, la realizzazione che si tratti di un prodotto che prosegue anche senza il nostro sguardo, che va avanti aldilà del nostro volere ci mette al sicuro. Al contempo, l'angustia di doverci decidere e correre dei rischi è così primordiale che super il concetto di finzione e ci trasporta negli angusti mondi videoludici. Qualcosa che, sicuramente, già sapevamo da tempo ma che vista da così vicino e con così tanta attenzione fa ancora più paura e - in parte - è in grado di farci realizzare quanto la nostra mente sia facile da trarre in trappola.