I videogiochi oggi si stanno impigrendo e semplificando?

I videogiochi sono cambiati perché è cambiato il mercato e con esso anche noi, quali sono i criteri che li accomunano in ottica di design?

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a cura di Ecletogiuseppe Mucciacciuoli

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Il grande dibattito sul drastico calo sul fronte sfida è da anni sulla bocca dei consumatori. Talvolta mi soffermo a passare in rassegna le gemme del mercato moderno e mi accorgo della naturale evoluzione rispetto al passato. Diversi brand storici hanno cambiato rotta in termini di fruibilità, percorrendo scelte più o meno coraggiose. È lecito però pensare al motivo che ha condizionato alcuni degli scossoni più lampanti del settore. Il videogioco sembra essere più pigro rispetto al passato, ma non vuol dire necessariamente che debba peccare di qualità o arte. L’evoluzione del medium è costantemente sotto esame, perché incatenata al cambiamento sociale e alla mente del nuovo cliente.

Pensare al videogioco come qualcosa che sia esente dal flusso storico e politico attuale è quantomeno ridicolo. Anche se trasversalmente, le opere digitali subiscono a cascata l’influenza delle ragioni psicologiche che condizionano il mercato. Non possiamo neanche individuare un singolo motivo che possa sancire la sua evoluzione perché, rispetto a decine di anni fa, si ragiona sui micro mercati e il consumatore è il protagonista del nuovo modello di business. Il processo di segmentazione dei mercati, e quindi la nascita di generi o servizi adatti a tutte le necessità e passioni, ha permesso anche un exploit creativo senza precedenti. La fioritura di nuove nicchie di mercato, e la presa di coscienza della poliedricità del videogioco, hanno aperto i rubinetti a nuove possibilità per l’industria.

Un mercato di tutti, ma non per tutti

Il consumatore è diventato molto più selettivo e critico in sede d’acquisto, quindi l’attività del fronte marketing è ora seguire e monitorare il suo stile di vita, oltre che i criteri di acquisto. Un altro fattore da tenere in considerazione è che, ovviamente, la supremazia del mobile gaming e lo tsunami di casual player oggigiorno sovrasta i canoni di tanti anni fa. Banalità per molto voi, ma discorsi concreti che servono a comprendere come il videogioco si sia adattato ai fruitori moderni, modellandosi sulle loro esigenze. Dall’assunto iniziale è facile comprendere come il caleidoscopio creativo dei videogiochi sia dovuto scendere a compromessi.

Da un lato abbiamo la necessità di creare un ostacolo non impossibile da scavalcare per i nuovi giocatori, dall’altro si tende ad aiutare di più il fruitore per evitare che questi si possa sentire spaesato e frustrato. Un game design concepito per stimolare e premiare il fruitore per i traguardi raggiunti è sacrosanto, ma il dosaggio di tale concetto è un po’ sfuggito di mano. L’eccessiva edulcorazione dei sistemi ludici è sfuggita di mano in tante occasioni e ha trovato pareri sempre nettamente divisi. Non serve andare troppo indietro con la memoria per scomodare case history che riguardano franchise come Resident Evil, Dragon Quest, Final Fantasy, Kingdom Hearts e potrei andare avanti. Il discorso non verte sulla qualità che gli esempi fatti in precedenza hanno sbandierato o meno, ma sul drastico calo di difficoltà e coinvolgimento che li ha annichiliti.

Al primo dilemma cerchiamo la soluzione online

La riduzione del comparto sfida e l’eccessiva guida nel gameplay hanno ammorbidito molte opere importati. Potrebbe sembrare un ragionamento da borbottone, eppure sono cambiamenti sono gli occhi di tutti. Parliamo di mondi di gioco con già tutto segnato sulla mappa, strapotere di armi e interazioni che sin da subito rompono gli equilibri in gioco, nemici in genere più abbordabili dei precedenti, titoli che un tempo puntavano sulla strategia e pianificazione, mentre ora rilanciano con mera spettacolarità e massima semplificazione. L’idea è che il videogioco moderno, per la maggiore, abbia profondo interesse nel farci vincere, magari con leggerezza. Un fruitore che non si scervella troppo, magari anche gratificato, sarà anche più felice e spenderà di più in futuro. Un concetto paradossale ed estremo, ma è come se il gioco cerchi in tutti i modi di guidarci alla sua fine invece di incuriosirci e ammaliarci.

L’abbassamento degli standard è anche un problema generale, vittima di un consumatore talvolta pigro e passivo. Si predilige immediatezza, ma un tempo si idolatrava il sudore, mentre si glorifica la grafica senza scavare nella sostanza. Dal mio umile punto di vista sembra che si sia barattata la profondità ludica con la mera estetica. Il risultato sono opere visivamente spettacolari, ma poco stimolanti e imprevedibili, vittime di un eccesso di suggestioni date al giocatore che finiscono per renderlo ancora più passivo. Siamo tutti videogiocatori e per definizione orgogliosi del nostro senso di appartenenza e cerchiamo costantemente di tracciare confini. Tendiamo a negare qualche spiacevole inclinazione che ci porta ad essere talvolta elitari nelle community che amiamo, mentre il mercato cambia.

Compromessi con il passato

Vien da sé che ci accorgiamo della svolta solo quando contamina la nostra area di comfort, a meno che non siamo informati direttamente. Ciò che abbiamo trovato dopo tanti anni è una placida tranquillità ludica, principalmente nel settore dei tripla A, e un mercato che asseconda i trend senza troppo coraggio in fase di produzione. Non è un caso se gli scossoni mediatici sono arrivati da titoli come Death Stranding, Control ed Elden Ring - per citare alcuni dei più blasonati - perché sono opere che ci sfidano a tornare alle origini. Giochi che ci raccontano senza urlarci in faccia nozioni, che divertono senza coccolarci eccessivamente, che preferiscono il “non detto” al “tutto e subito”. Un pizzico di mistero, un po’ di sana condivisione nell’enfasi della scoperta e una trama avvolgente che lascia spazio alla fantasia. Occorre anche essere un po’ punitivi per apprezzare di più i piccoli traguardi raggiunti. Semplice nostalgia o necessità di ritornare sui propri passi?

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