Videogioco

I disabili possono usare i videogiochi? Scopriamolo

Videogiochi ancora troppo spesso inaccessibili: storie e soluzioni per un'industria più inclusiva.

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a cura di Andrea Ferrario

Editor in Chief

Oggi voglio parlarvi di disabilità, di videogiochi, di diritti umani e lo faccio perché questa è la tipologia di argomenti che voglio abbiano spazio su questo sito. Sicuramente, purtroppo, so che questi argomenti interesseranno a meno gente del solito, anche se credo sia un peccato. È però un mio dovere sociale e morale dare voce a queste persone. Parliamo di come i videogiochi oggi siano poco inclusivi.

Si parla spesso di diritti LGBTQ+, perché se oggi non sei inclusivo con i diritti di genere sei visto come sbagliato. Perché allora non si fa di più anche per i disabili? È perché parlare dei diritti dei disabili non è più "di moda", come lo era negli anni '80 e fine degli anni '90?

Non voglio aprire questo tipo di polemica, anche se forse ce ne sarebbe bisogno. In ogni caso, leggerete la parola "disabili" perché non voglio farne una questione di semantica. Dovrei dire "persone con disabilità" ma credo che, per uno come me che non ha alcune tipo di velleità e non nasconde alcun tipo di pregiudizio a parlare dell’argomento, non siano le parole a fare la differenza. Quindi non cercate accezioni negative dove non ci sono.

Detto questo, credo che oggi le aziende stiano facendo ancora poco in questo ambito. Se includere razze e colori della pelle differenti nei videogiochi, come in qualsiasi altro media, è diventato OBBLIGATORIO perché altrimenti non sei inclusivo, perché oggi i videogiochi sono ancora così poco accessibili a chi ha disabilità? Ho parlato con alcune aziende che stanno cercando di cambiare questa situazione, e ho portato anche alcune testimonianze di persone con disabilità. Capiamo meglio cosa si nasconde in questa sorta di dietro le quinte del gaming.

I videogiochi sono un diritto umano?

Partiamo chiedendoci se i videogiochi sono da considerarsi un diritto umano. Ci sono vari momenti, nella storia, che si possono considerare come momenti di svolta in questo contesto. 

Il primo è quello della convenzione ONU del 2006 riguardante i diritti delle persone con disabilità. Nell’Articolo 9 si cita “L’accesso all’ambiente fisico, trasporti e comunicazione, compresi sistemi e tecnologie informatiche e della comunicazione”. 

L’Articolo 30 aggiunge che le persone con disabilità devono poter partecipare alla vita culturale, alle attività ricreative e agli sport, includendo l’accesso alle tecnologie di intrattenimento. I videogiochi chiaramente rientrano in questo, dato che sono parte della cultura digitale e comunicazione interattiva. 

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disabilità

Nel 2010 gli stati uniti hanno creato la legge CVAA, che impone che i videogiochi devono includere funzioni di accessibilità come i sottotitoli e la possibilità di personalizzare i comandi, e anche che gli sviluppatori devono garantire che le comunicazioni nei videogiochi siano accessibili a tutti. Ma queste cose fanno pochissimo per il largo spettro di disabilità che c’è là fuori e non così tanti sviluppatori agiscono in questo modo.

L’Articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dice: "Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione [...], attraverso ogni mezzo.”, e i videogiochi sono un mezzo.

Nel 2021 l’ONU ha discusso ulteriormente il ruolo dei videogiochi come mezzo d’inclusione sociale, sottolineando che possono favorire il dialogo interculturale, aiutano a combattere l’isolamento sociale e sono un mezzo di educazione e sviluppo per i giovani. Insomma, i videogiochi, oggi come oggi, sono qualcosa di imprescindibile, sono un mezzo di comunicazione, e purtroppo sono ancora un mezzo che solo i "normodotati" - o meglio, prima che mi rompiate le balle su questo termine, "le persone che non hanno disabilità" - possono usare senza barriere o problemi.

Cosa hanno fatto le aziende

Ad oggi, i videogiochi rappresentano un ostacolo: possono avere delle barriere visive, con testi piccoli e interfacce complesse, barriere uditive, vedi la mancanza di sottotitoli o segnali visivi che possono comunicare suoni importanti, barriere motorie, ostacolando chi non può usare un normale controller o mouse e tastiere, e anche barriere cognitive, che credo sia la cosa più difficile da risolvere.

Le aziende oggi fanno poco e, nonostante ci siano soluzioni, siamo ancora lontani dalla norma. Anzi, proprio il fatto che abbiamo esempi di eccellenza sotto questo punto di vista non fa altro che sottolineare quanto siamo lontani dalla normalità. I giochi su mobile, ad esempio, non hanno praticamente nulla e devono appoggiarsi alle opzioni presenti nei sistemi operativi degli smartphone, le quali mal si abbinano ai videogiochi, o almeno a una gran parte di essi.

The Last of Us Parte 2 (lo trovate su Amazon) è probabilmente quello che ha fatto di più in questo contesto, introducendo oltre 60 opzioni di accessibilità. Forza Horizon 5 (in offerta su Instant Gaming) ha fatto abbastanza. Assassin’s Creed Valhalla, Spider Man: Miles Morales, hanno integrato possibilità di assistenza a chi ha problemi di vista, udito o difficoltà motorie. Titoloni, ma sono una piccola percentuale dell’intero mercato. Playstation e Xbox hanno fatto gli adaptive controller, in maniera tale da andare incontro a chi ha problemi motori.

Ma a quanto pare queste cose non sono sufficienti per “risolvere il problema”, altrimenti non ci sarebbero molti che cercano di fare la loro parte per migliorare l’accessibilità ai videogiochi.

Come ci si sente esclusi?

"Ho un amico che si chiama Valentin, lui è un inventore che da circa 20 anni crea prodotti tecnologici innovativi. Una decina di anni fa ha realizzato una protesi per un nostro amico rimasto senza una mano che gli potesse permettere di sparare con una pistola nerf grazie all'attivazione dei muscoli dell'avambraccio. Un giorno, durante uno stream su Twitch, si è accorto che nella sua community c'erano molte persone con disabilità, così ha deciso di trovare un modo per permettere a uno dei suoi follower di collegare il joystick della carrozzina al computer per giocare. È stato allora che ha capito quante possibilità ci fossero per rendere i videogiochi più accessibili". 

Lui è Niels Mayrargue, cofondatore di Playability, e ci ha raccontato come ha iniziato la sua avventura in questo campo con l’intento di creare qualcosa che possa migliorare la vita a chi ha disabilità. Niels non ha disabilità, ma ha pensato che fare qualcosa che possa aiutare altre persone fosse una cosa giusta.

"Io sono, sono Marco, ho 27 anni, sono di Torino e da quando ho 4 anni sono cieco parziale, vedo molto molto poco, per dare un'idea numerica più o meno dovrebbe essere intorno al 5% l'occhio destro, il 2% l'occhio sinistro e appunto vedo così da quando ho 4 anni a causa di un errore medico". 

Lui invece è Marco Andriano, cofondatore di Novis Games, un'altra azienda che sta cercando di creare una soluzione che possa permettere a chi, come lui, ha problemi di vista ad accedere ugualmente alle esperienze videoludiche. Voglio farvi raccontare qualcosa di più di lui in maniera tale che capiate meglio la sua condizione.

"Non mi ricordo come fosse il mondo da vedente che ho vissuto prima, per me è normalissimo vivere così con questo residuo di vista. Quindi nella mia vita ho sempre cercato di trovare soluzioni a qualsiasi attività, qualsiasi sfida, qualsiasi problema che potessi incontrare a causa della vista e ho sempre trovato il modo di risolverlo, di bypassarlo, di andare oltre e di utilizzare un po' quel poco di vista che mi rimane e un po', soprattutto, gli altri sensi.

Mi occupo da un lato, tramite un'associazione, di divulgazione di esperienze per persone vedenti per far comprendere la disabilità visiva, cosa che mi piace tantissimo, e un po' una cosa simile la faccio anche sui social, quindi racconto la mia vita, la mia disabilità, proprio per far comprendere alle persone cosa vuol dire vivere con la disabilità visiva e quali possono essere le difficoltà.

Cerco di farlo in maniera leggera, ironica, proprio per avvicinare le persone a questo tema. Spiegare alle persone come vedo penso sia una delle cose più difficili, non ci riuscirò mai perfettamente, però il modo in cui di solito cerco di spiegarlo, e spero passi un pochino e renda un pochino l'idea.

Intanto ci sono due fattori da tenere in considerazione che sono il visus, quindi la la qualità dell'immagine, e il campo visivo, quindi l'ampiezza dell'immagine. Io a livello di visus vedo il 5% dall'occhio destro e il 2% dal sinistro, che non vuol dire che io veda sfocato. È come se di un'immagine che io adesso ho a 50 cm riesca a vedere i dettagli come se tu quell'immagine la vedessi da 20 m, quindi vedi un po' i contorni un po' le sagome i colori però non così bene definiti.

E poi c'è l'altro fattore, che è il campo visivo, ovvero appunto l'ampiezza dell'immagine: il mio non è completo, è comunque abbastanza ampio ma non è completo e io ho delle zone di buio laterali - destra sinistra, sopra e sotto - e anche quella proprio strettamente centrale. Quindi è come se vedessi il mondo attraverso un binocolo ecco".

Ma perché volere fare qualcosa nel campo dei videogiochi?

"Intorno ai 7-8 anni, i miei genitori avevano comprato la Nintendo Wii e [grazie ai] giochi più semplici che c'erano su quella console - che di per sé era abbastanza semplice anche come grafica - riuscivo a giocare a qualcosa. Anche perché erano dei titoli basati molto sull'audio e anche le vibrazioni avevano un'importanza determinante in alcuni di essi.

Quindi tramite quella console un pochino riuscivo a giocare. Intendo Wii Sports, Wii Play, quei giochi lì, e un pochino anche a FIFA che era un po' il mio sogno. Poi da lì, insomma, non ho mai approfondito e non sono mai andato oltre proprio perché nelle altre console, quelle un po' più complesse ed elaborate (ma anche sulla stessa Wii insomma) i giochi un po' più elaborati non riuscivo a comprenderli, a giocare. Ed era una cosa comunque che a me, non dico che pesava, però era un mondo dal quale - quando si apriva il discorso - mi allontanavo".

Prima di passare a mostrarvi quello che stanno facendo Niels e Marco per offrire più accessibilità, voglio farvi vedere un altro spezzone della chiacchierata che ho fatto con Marco perché ho voluto fargli una domanda un po' provocatoria. Non perché "sono stronzo", ma proprio perché volevo tirar fuori veramente i motivi per cui rendere accessibili i videogiochi è qualcosa di importante. Gli ho chiesto:

"Ma perché ti stai accanendo sui videogiochi? Non ci vedi, ok. Dedicati, che ne so, alla musica, no? Ci sono un sacco di eccellenze, anche italiane, di musicisti non vedenti spettacolari. Dedicati a qualcosa dove il gusto è il senso principale. Perché volersi accanire su qualcosa dove, c'è poco da girarci attorno, la vista è qualcosa di super essenziale per poter godere al 100% quell'esperienza?".

Come rendere i videogiochi più accessibili

"Ti rispondo riportandoti un po' a quei momenti della mia vita, ricordo soprattutto il periodo delle medie, in cui si facevano tante attività con i miei compagni di scuola dell'epoca. Si giocava, si andava in giro, si facevano le nostre cose, e tra i vari momenti c'era anche il momento dei videogiochi. Io da ragazzino di 11-13 anni venivo proprio escluso da quel momento. Cioè, in quel momento prendevo le mie cose e me ne andavo a casa, perché tanto non ero incluso neanche nel dialogo, nell'interesse, nei racconti che si facevano dopo. I giorni dopo si raccontava di quella partita, di quel gioco, di quella novità. Io ero escluso totalmente da quel mondo e a me piacerebbe che i ragazzi del futuro abbiano la possibilità di scegliere se accedere anche loro al mondo del gaming o meno. Io non ho avuto possibilità di sceglierlo, io appunto ero escluso da quella cosa". 

Lei invece è Arianna Ortelli sempre di Novis Games, la socia di Marco. Vi faccio raccontare direttamente da lei cosa stanno facendo per rendere i videogiochi più accessibili.

"Novis Games ha sviluppato un software che permette di rendere accessibili i videogiochi grafici. Quindi noi, fondamentalmente, abbiamo un tool di servizi che andiamo a inserire sopra il gioco tradizionale per creare un layer di "feature di accessibilità", quindi di feature che permettono, anche ad una persona che per esempio non vede, di avere accesso a quel contenuto. In particolare parliamo di audiodescrizioni, di possibilità di aumentare il contrasto, di definizione proprio degli oggetti di gioco. E questo tool funziona grazie all'intelligenza artificiale".

Mentre Playability di Niels si concentra invece su un altro aspetto.

"Ti serve solo una webcam collegata a un PC o a un tablet, tutto qui. L'app utilizza la webcam per riconoscere i gesti nei videogiochi. Ad esempio puoi impostare un comando in modo che se muovi l'occhio verso il basso il personaggio si muova in quella direzione. Prossimamente aggiungeremo anche il riconoscimento vocale per attivare altri comandi e in futuro potrai parlare all'app come faresti con una persona, trasformandola in un vero e proprio assistente".

Quindi, ricapitolando: abbiamo Novis che si concentra sul dare uno strumento principalmente a chi ha problemi di vista parziale o totale, con i commenti audio e con la modifica delle immagini in termini di contrasto e di colori, così da andare a limitare a diminuire le problematiche; Playability si concentra su chi ha problemi motori, quindi non può usare i controller, non può usare le mani, non ha degli arti o può usarli in maniera limitata, trasformando la propria faccia in un controller per dirla in maniera molto semplice.

"Ma soprattutto, nel toolkit, l'idea è dare poi la possibilità allo sviluppatore di giochi di personalizzare un po' questo strumento in base a quanto serva. Per esempio, in un gioco come quello narrativo, magari l'utente finale vuole un'esperienza più descrittiva oppure vuole una descrizione semplice, veramente legata alle azioni da svolgere. Quindi l'idea è utilizzare diverse API, diversi modelli, testandoli per andare poi a dare comunque in mano allo sviluppatore - e poi ovviamente all'utente finale - la possibilità di personalizzare l'esperienza sulla base delle sue esigenze.

L'AI e il tool tolgono allo sviluppatore una grossissima parte di lavoro e di problemi nell'individuare magari la tipologia di design corretta. Però in realtà, una parte del lavoro, resta comunque di ideazione, di progettazione, sul singolo gioco. In questo caso ce ne possiamo occupare noi come consulenti di accessibilità, perché abbiamo anche persone in team che, oltre a occuparsi di sviluppo software, vivono la disabilità visiva in prima persona, e quindi sanno dare la loro chiave di lettura. Però è lo sviluppatore stesso che poi deve anche personalizzare un po' le esperienze e andare a lavorarci in maniera customizzata". 

Quindi, da una parte, Arianna e Marco si sono concentrati sul creare uno strumento che possa facilitare l’implementazione delle funzioni di accessibilità direttamente nel momento della progettazione, della programmazione del gioco, con l’obiettivo di facilitare questo processo. Perché se alcuni titoloni come The Last of Us hanno alle spalle studi milionari, dall’altra parte molti studi più piccoli o sviluppatori indipendenti non possono permettersi investimenti di tempo e denaro esorbitanti. Ma è un peccato, perché alla fine si produce quel gioco che non tutti potranno giocare. 

Dall’altra parte invece, Playability cerca di agire a livello di utente, bypassando la fase di progettazione. Ma questo è anche un po’ l’obiettivo di Novis Games, perché arrivare direttamente all’utente significa veramente poter offrire una soluzione definitiva.

"Il bello è che non serve alcuna autorizzazione dal gioco. Il software viene riconosciuto come un normale joystick. Questo significa che non è necessaria un'integrazione diretta tra il gioco e il giocatore, funziona con qualsiasi titolo, da Fortnite ai giochi di corse, senza alcuna limitazione. Può essere usato da persone con una sola mano, da chi non può muovere le braccia o le mani, e persino da chi soffre di dolori cronici agli arti superiori.

In origine era stato progettato proprio per loro, ma abbiamo scoperto che può essere utile a molte altre persone. Ad esempio, i bambini con difficoltà cognitive possono giocare più facilmente usando il proprio corpo invece di un joypad. Abbiamo utenti affetti da trisomia che lo usano, ma anche molte persone senza disabilità lo hanno trovato interessante. Spesso, infatti, è più difficile destreggiarsi con un controller rispetto a un utilizzo più naturale del proprio corpo".


"In realtà noi abbiamo nel cassetto anche l'idea di riuscire poi a portare questo livello [di personalizzazione] all'utente. Quello sarebbe ideale, perché ovviamente toglierebbe del lavoro alle case di sviluppo. Sappiamo che, per certe esperienze, potrebbe essere complicato dare un'esperienza completamente accessibile. Tuttavia, alcune delle cose che abbiamo fatto le abbiamo testate anche a livello extra engine. Quindi per l'idea, per esempio, di avere delle fotografie del gioco che vengano raccontate, abbiamo visto che l'intelligenza artificiale è ideale e lo sta già facendo in altri settori".

Cosa manca per risolvere il problema del tutto?

"Vedo proprio che le persone cercano di immedesimarsi e sentono qual è l'importanza, perché di solito chi sviluppa è appassionato forte di videogiochi. È un po' più difficile quando si parla invece di budget da allocare e risorse economiche, lì siamo ancora un pochettino indietro. A parte appunto i grandissimi player, capiamo che magari per una software house piccola può essere difficile riuscire a fare un tipo di operazione di questo genere, renderla anche sostenibile. "Ritorno economico" vuol dire per loro la possibilità di pubblicare il gioco e quindi di vederlo sul mercato, quindi è un po' un tradeoff tra riuscire a incuriosire - dimostrandone poi l'importanza - e dall'altra riuscire a fare il tutto al massimo delle possibilità con le risorse che ci sono".


"La tecnologia per rendere bene o male qualsiasi videogioco accessibile potenzialmente c'è, insomma la maggior parte. La difficoltà è penso più principalmente a livello economico, proprio nell'implementare queste funzioni. Però appunto ci sono sempre più titoli accessibili".


"Quindi noi adesso in realtà stiamo ragionando su quello con Microsoft: capire quale potrebbe essere IL gioco per fare un lavoro di accessibilità da poi utilizzare, da pubblicare, da rendere (speriamo) un po' un caso d'uso e un esempio di quello che che si può fare".

Io cerco un po’ di parafrasare quello che hanno detto Arianna e Marco. Perché da una parte io credo che nessuno può non essere sensibile a una cosa di questo genere. Come qualsiasi altra cosa, i videogiochi devono essere resi accessibili a chiunque, il problema è che forse se ne parla un po’ troppo poco. Questo è anche uno dei motivi principali per cui ho voluto raccontare questo argomento, per fare un po’ la mia parte, sperando che tanti altri vogliano fare la loro. 

Serve sensibilizzazione da parte delle aziende, perché oggi la tecnologia c’è, deve essere solo piegata a questo scopo, e chiaramente servono soldi, che solitamente arrivano nel momento in cui c’è maggiore attenzione sull’argomento.

Voglio lasciarvi con un altro paio di risposte alla domanda in cui ho chiesto se i miei ospiti potessero condividere qualche momento particolare, quei momenti che ripagano di tutto quello che si è investito, non solo a livello economico, ma soprattutto a livello mentale, di impegno e dedizione.

"Sono rimasto molto sorpreso, perché ogni giorno riceviamo messaggi da utenti, famiglie e professionisti che ci dicono di avergli davvero cambiato la vita. Non avrei mai immaginato che i videogiochi potessero avere un impatto così profondo sulle persone. Ha permesso loro finalmente di giocare, di sentirsi più connessi agli altri, di far parte di gruppi e di giocare con gli amici. L'impatto sulla vita è davvero significativo. Ho partecipato a molti studi che hanno dimostrato quanto il gaming possa avere un impatto positivo sulla salute mentale e fisica, onestamente non pensavo fosse così potente". 


"Abbiamo un signore abbastanza adulto nel team che era un grandissimo videogiocatore. Adesso, da non vedente, ha dovuto riadattarsi, riadeguarsi. La disabilità visiva di solito insorge nel tempo, negli anni, magari man mano o di colpo, questo dipende. Però, una persona che magari fino a poco tempo prima o fino a ieri giocava ai videogiochi, era la sua più grande passione, era il suo più grande passatempo, dal giorno dopo non può più farlo. Questo può essere un altro grande aspetto che può farti proprio vivere male la disabilità stessa. Lavorare posso lavorare lo stesso, mangiare mangio lo stesso, dormo lo stesso, gli amici lo stesso, però non ho quello [il gioco] e ti fa vivere male tutto. La passione può nascere prima ed è bello poterla continuare anche senza l'utilizzo di un senso".


"Mi ricordo una fiera, per esempio, in cui due fratelli - ragazza non vedente e fratellino più piccolo normovedente - giocano insieme a a questo gioco, un gioco per mobile molto molto semplice. Però io mi ricordo il sorriso di lei ma soprattutto del fratellino piccolo, di quanto era felice di veder la sorella giocare con lui. Sorella che dall'altra parte era anche poi più brava, soprattutto all'inizio, perché giustamente basandosi sul suono aveva una sensibilità anche superiore. Quindi, per quanto gli desse fastidio perdere, era comunque felice. È una cosa veramente bella".

Per concludere voglio ringraziare Novis Games e Playability per avermi permesso di raccontare questa storia, chiaramente gli faccio un grande in bocca al lupo. Guardiamoci attorno: c'è sempre tanto da fare e, se possiamo, facciamo tutti anche la nostra parte.

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