Dopo aver superato infiniti corridoi bui della metro piena di Headcrab Zombie, inizio ad intravedere finalmente un po' di luce solare. Non posso però abbassare la guardia, perché sento già gli spari dei Combine che respingono gli Headcrab mentre spuntano dalle viscere della terra. Non so ancora come fare, con una pistola e tre colpi di Shotgun, ad affrontare le armi automatiche dei soldati, ma non ho altra scelta che avanzare. Ce ne sono due oltre la porta, pochi metri più avanti una colonna, un buon punto, penso, per prendere la mira. Il più velocemente possibile mi porto dietro la colonna, mi sporgo leggermente, un Combine è a tiro e non mi ha ancora visto. Noto che sulla schiena porta una bombola, probabilmente di ossigeno. Prendo la mira con la pistola, punto alla valvola della bombola. Un primo colpo a vuoto, poi il secondo fa centro. Parte una fiammata, il soldato si divincola.
<<settore 34, richiedo assi…czzz.zz.>> intercetto nelle comunicazioni, ma l'esplosione lo fa stramazzare al suolo. Il suo compagno però mi ha individuato ed inizia a spararmi. Le scie dei proiettili, di un arancione intenso, mi passano a pochi centimetri dal volto. Arretro e rientro dalla porta, coprendomi dietro al muro. Il Combine continua ad avanzare, mi rimane poco tempo. Estraggo lo shotgun, apro il caricatore ed inserisco uno ad uno i proiettili rimasti. Un'altra mitragliata del soldato, poi smette per ricaricare. Esco dal riparo, ce l'ho di fronte e gli sparo con il fucile dritto in testa, il Combine non ha tempo di reagire. Il peggio sembra passato, ma dopo pochi passi ecco altri due Combine avanzano verso di me. Ironia della sorte, anche la città in cui mi trovo è mutilata dalla quarantena. Davanti vedo un vagone della metro con le porte aperte, mi ci fiondo dentro e mi accovaccio sotto le vetrate. I proiettili dei soldati le infrangono, facendomi cadere addosso pezzi di vetro. Appena smettono di sparare, con il calcio della pistola rompo ciò che resta della vetrata e punto alla testa di uno dei Combine. Uno, due, tre colpi, << stato vitale czzz.., richiedo medikit>> al quarto il Combine crolla a terra. Ce n'è un altro però, ormai sono braccato. Mi giro e vedo in lontananza quella che sembra essere una granata. Allungo quindi il braccio, poi la tiro verso di me, attirandola con il guanto gravitazionale. La innesco, mi sporgo dalla vetrata e con un colpo di reni la lancio verso il Combine… Sbattendo violentemente il controller sulla scrivania del mio studio! E il sibilo caratteristico della morte del Combine viene coperto dal pianto di mio figlio che dal rumore si è svegliato nella stanza accanto…
Questa è la magia della realtà virtuale, quella di trasportarti in un mondo parallelo, facendoti dimenticare dove sei fisicamente, fino a quando non colpisci qualche parte del tuo arredamento. E la City17 del nuovo capitolo di Half-Life è forse il miglior mondo parallelo ricreato ad oggi per questa tecnologia. Sì è parlato così tanto in questi anni di un nuovo capitolo di Half-Life da farlo diventare un'ossessione. Ma i ragazzi di Valve stavano solamente aspettando un mezzo nuovo per tornare a stupire, così come avevano fatto con i primi due capitoli. Tutti i giochi moderni ormai propongono più o meno lo stesso schema di controllo: con il grilletto destro si spara, con il pulsante A si salta e via così, con poche variazioni. C'è sempre di mezzo un oggetto fisico che deve trasformare il movimento delle nostre dita in azione da presentare nel gioco. Un nuovo Half-Life, per innovare come i suoi predecessori, non poteva essere imbrigliato ancora in uno schema così rigido. Il mondo che osserviamo con gli occhi di Alyx è un mondo da toccare, ogni oggetto è lì per essere afferrato, ammirato e se serve scaraventato via. Servono necessariamente le mani all'interno del gioco per fare tutto questo, per rompere molti schemi mentali presenti nei giochi moderni e riuscire a meravigliare ancora.
Se si trova un caricatore di munizioni, per esempio, non basta passarci sopra per raccoglierlo. Occorre afferrarlo per poi conservarlo portando la mano dietro la schiena, oppure inserendolo fisicamente nell’arma. Arma che va poi ricaricata anch’essa con un movimento che varia a seconda del tipo che utilizziamo. Valve però sapeva bene che dover arrivare direttamente ad afferrare ogni oggetto sarebbe stato fisicamente stancante, oltre che alla lunga tedioso. Per questo hanno inserito quello che è l’elemento iconico di questo capitolo, un po’ come la gravity gun di Half-Life 2, e cioè i già citati guanti gravitazionali. Conosciuti come i R.U.S.S.E.L.L.S. (in onore dell’inventore, nostro comprimario) con essi si può arrivare a quasi ogni oggetto presente nel campo visivo: basta tendere la mano, premere il grilletto e con un colpo dell’avambraccio riportare la mano verso di sé. Vi assicuro, molto più facile a farsi che a dirsi. Anzi, diventerà un movimento così naturale che vi domanderete come mai nessuno abbia pensato ad un congegno simile anche nella realtà.
Perché tutto funzioni serviva implementare un motore fisico quasi perfetto, ed è ciò che è stato fatto nel Source 2 con cui è stato sviluppato Alyx. Il peso specifico degli oggetti e le collisioni tra di essi sono ricreate a livelli mai visti prima, tutto a favore dell’immersione. Non pensate però che Half-Life Alyx sia una sorta di museo della scienza e della tecnologia un po’ come Boneworks: lo scopo di Valve è stato fin dal principio quello di creare un vero capitolo di Half-Life, e da questo punto di vista l’obiettivo è stato centrato in pieno. Se non fosse per i dialoghi sempre divertenti tra Alyx ed il fido Russell, in ogni momento del gioco penseremo di essere ancora nei panni di Gordon Freeman. Le atmosfere, le ambientazioni, i nemici, la cura enorme per ogni dettaglio, ogni cosa è al suo posto, elevato all’ennesima potenza grazie all’immersione garantita dalla realtà virtuale. Il tutto condito da una storia sicuramente non innovativa, ma capace di condurci per mano alla perfezione verso un finale che saprà comunque regalare molti colpi di scena.
L’immaginario di Half-Life Alyx è simile, forse a volte anche un po’ troppo, a quello del secondo capitolo. Ma se pensate che sia solo un more of the same, vi sbagliate di grosso. Le ambientazioni di Half-Life 2 spesso si aprivano, le meccaniche diventavano quasi quelle di un open-world, soprattutto nei livelli alla guida dei veicoli. Tanto il secondo capitolo ci faceva spesso respirare, tanto Half-Life Alyx ci soffoca, ci fa soffrire quasi di claustrofobia. Si avanza livello dopo livello attraverso un percorso quasi sempre stretto e tortuoso, fatto di corridoi e piccole stanze da esplorare. Ma questo era probabilmente l’unico modo per aumentare esponenzialmente la densità degli elementi con cui possiamo interagire, elementi che sono stati modellati con una cura che rasenta spesso il maniacale, come le etichette sui floppy disk e i cursori per regolare la luminosità sui monitor CRT. In un ambiente di pochi metri quadri potrebbero volerci decine di minuti per scrutare ogni anfratto ed esaminare ogni oggetto, alla ricerca di preziosa resina utile per potenziare le armi.
Perché in fondo il vero obiettivo di Valve con Half-Life Alyx non è quello di farci giocare lo sparatutto definitivo, ma quello di sorprenderci ad ogni angolo, farci emozionare come forse nessun gioco perché siamo noi, ora, nel gioco. Ed è vero che ad oggi la realtà virtuale ha ancora molti limiti: i visori sono costosi ed hanno una risoluzione troppo bassa, non esiste una soluzione wireless veramente accessibile per eliminare l'ingombro del cavo, i sistemi di locomozione nei giochi sono vincolati dal mancato tracciamento delle gambe. Ma nonostante tutto ciò Valve ha dimostrato che anche così si può creare un capolavoro, perché le barriere che la VR abbatte sono molto maggiori dei limiti che ancora possiede. Half-Life Alyx è, e rimarrà per sempre, quella spinta che convincerà che la realtà virtuale può e deve essere vissuta. E sono sicuro che, una volta superato lo scoglio iniziale, molti scopriranno che la "nicchia" dei videogiochi in VR possiede ormai delle perle che sarebbe un delitto non giocare.
Valve ritorna nel mercato dei videogiochi e la fa mostrando la strada per l’ennesima volta, come ha mostrato la sua visione di fps negli anni di Black Mesa ora ci dimostra come un gioco VR possa avere capo e coda senza la macchia di essere solo una grande tech demo. Non ci sono scuse: se siete o siete stati appassionati dalla serie Half Life commetterete un delitto a visitare la più bella City17 che mai abbiate potuto anche solo immaginare. Se invece non sapete chi sia Gordon Freeman ma possedete un visore per la realtà virtuale non c’è un solo singolo motivo per privarsi del più alto e imponente pilastro di riferimento del genere. Ma ora basta parlare, c'è una città da salvare. Prima però meglio se sposto un altro po' la mia scrivania...
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