Descrivere la potenza e l'impatto del reboot di God of War, avvenuto nel 2018 sotto la guida attenta di Cory Barlog è, ancora oggi, un compito arduo. Si potrebbe parlare, ad esempio, di quello che è stato l'impatto emotivo del gioco sul pubblico e, più in particolare, sui fan, ma sarebbe inchiostro (digitale) sprecato, perché quello è un aspetto che, in fin dei conti, difficilmente supera i limiti dell'apprezzamento personale, per quanto il gioco sia stato considerato, giustamente, un capolavoro.
Si potrebbe allora parlare di quanto God of War sia stato un racconto molto diverso rispetto al passato della serie e quanto, in effetti, evochi e concretizzi i timori e, forse, le speranze, del suo director ai tempi dello sviluppo. Un uomo, Cory Barlog, che, come Kratos, si trovava ad affrontare i dubbi ed il peso dell'essere genitori, forse con il timore di non essere adeguati, o pronti. Potremmo, ma poi importerebbe solo a pochi... forse pochissimi tra i più informati giocatori.
Diciamo, allora, che God of War, nella sua incarnazione norrena del 2018, ha avuto un impatto importante perché, anzitutto, oltre ad essere un gioco potente e granitico, è anche uno dei più riusciti esempi di come “si guarda avanti” o, se volete, di "come si fa un reboot", in un settore che è sempre più ancorato al ritorno di fiamma, al remake, ed alle rimasterizzazioni vendute in pompa magna ed a prezzo pieno. Ed in effetti la sua forza è lì, nell'essere stato sì un sequel della gloriosa storia di Kratos, ma anche un qualcosa di completamente diverso, che ha avuto come unico trait d'union un certo gusto per la mitologia e, non ultima, la violenza. Ma quello, è nulla più.
Nulla, a memoria mia, è infatti simile a quel God of War. Non esiste un reboot che abbia fatto lo stesso, ovvero che abbia preso il vecchio, mettendolo effettivamente a servizio del nuovo, ma riconfigurando quanto più era possibile perché fosse, a tutti gli effetti, qualcosa di nuovo. Ci è andato vicino, a ben pensarci, solo Resident Evil 4, ma il risultato non fu lo stesso, perché il gioco, in effetti, non fu in grado di comunicare nulla di diverso da qualsiasi altro capitolo, ma questa è forse un'altra storia.
Far funzionare tutto, a partire dalla trama, fino, ovviamente, alle più piccole rifiniture di gameplay, è stato un lavoro immenso, titanico, che ha richiesto al team di sviluppo un sacrificio enorme e, per certi versi, forse così segnante da aver in qualche modo influenzato God of War Ragnarok, a partire dall'assenza alla regia di Barlog che, con questo sequel, ha occupato la posizione più defilata di Producer.
Ma allora, senza il “padre della rivoluzione del 2018” cosa resta di God of War? Cos'è, com'è e, soprattutto, cosa rappresenta Ragnarok? Ovviamente non possiamo dirvelo adesso, anche se lo vorremmo fortissimo, ma in accordo con Sony siamo liberi di parlarvi un po' delle prime impressioni che ci hanno colpito all'avvio del gioco, ricevuto con un largo (e mai troppo gradito) anticipo e su cui, ve lo diciamo subito, imporremo molti paletti, soprattutto narrativi, rimandando ogni giudizio definitivo al prossimo 3 novembre, quando, finalmente, potremo addentrarci più nel dettaglio in merito a God Of War Ragnarok.
Il nuovo viaggio
Dunque, ben chiaro che non ci è possibile dirvi nulla, almeno al momento, sulla trama di God Of War Ragnarok, ci limiteremo a raccontarvi lo stretto indispensabile, senza spoiler, ed utilizzando come base quelle che sono le informazioni che, chiunque, può desumere dai vari trailer pubblicati da Sony per il gioco.
Il centro del racconto, ovviamente, è l'approcciarsi del Ragnarok sui Nove Regni, ovvero quella che è la fine di tutto, un Armageddon, così come predetto nelle profezie del mito del nord ed a cui, come scoprimmo alla fine del capitolo scorso, precede il Fimbulwinter, ovvero una sorta di inverno eterno, che ha coperto di ghiaccio il mondo, causando non pochi impicci.
Il tempo trascorso dal gioco precedente, ad ora, è indefinito, ma sappiamo che è passato abbastanza da far crescere Atreus che, da ragazzino qual era, è ora un adolescente, non solo più forte e più alto, ma anche guidato da una nuova volontà, con pensieri che, per quanto figli dell'eredità paterna, sono ormai inesorabilmente indirizzati verso qualcosa di diverso. Perché Atreus è cresciuto e questo, volenti o nolenti, avrà comunque delle conseguenze.
Il racconto di God Of War Ragnarok, dunque, parte ancora una volta dai margini dell'abitazione dei due, ovvero quella foresta al cui centro c'è la casa costruita da Kratos, ed in cui padre e figlio vivono un'esistenza, tutto sommato, placida e distaccata, vista la volontà dello spartano di non immischiarsi più con i patemi e le scaramucce degli dei del nord, soprattutto dopo che questi lo avevano costretto a imbracciare nuovamente le armi per scontrarsi con alcuni di essi. Altri dei, certo, ma comunque divinità: lascive, mordaci, inaffidabili e violente.
Dei da cui Kratos, a quanto pare, cercherà di nuovo di distaccarsi, pur conscio che ormai tanto lui, quanto Atreus, o Loki se preferite, siano vegliati dallo sguardo vigili dei Vanir, i quali forse bramano vendetta per quanto accaduto proprio nel corso del primo viaggio tra padre e figlio quando, a seguito dell'avvento di Baldur, sullo spartano calò involontariamente la scure della guerra.
Questa pace, questa gentile attesa della fine del mondo, finirà tuttavia per l'essere rapidamente infranta. Grazie ad un climax di eventi che, senza dire troppo, porterà il duo di eroi/protagonisti ad intraprendere un nuovo viaggio che, come raccontato da varie informazioni diffuse direttamente da Sony, tirerà in ballo la ricerca di Tyr, il dio della guerra norreno già visto nei trailer, creduto morto da tutti, ma probabilmente solo nascosto al mondo per qualche motivo ancora sconosciuto.
Da qui partirà la nostra ricerca che, inevitabilmente, ci porterà a peregrinare ancora per i Nove Regni in cui è divisa l'esistenza, partendo non tanto da Midgar, ovvero la terra degli uomini in cui gli stessi Kratos e Atreus hanno dimora, quanto da un luogo inedito e, ad oggi, solo chiacchierato nel corso della saga, ovvero Svartalfheim, dominio paludoso dei nani, riuniti in buona parte sotto il vessillo della capitale di Nidavellir.
Qui ci fermiamo, consci di non aver detto più di quanto non abbiate potuto capire dai trailer, vi basti sapere che God of War Ragnarok non ha perso quello che era il suo smalto, quanto meno quello ereditato dalla gestione di Cory Barlog nella tessitura del rapporto amorevole, ma conflittuale, tra Kratos e Atreus. Già dalle prime ore, infatti, si intravedono quelli che potrebbero essere i temi più importanti, ed intuibili, dell'opera, non ultima la maturazione del rapporto tra padre e figlio, con quest'ultimo che, scoperto di essere non solo un dio, ma anche un gigante, freme nel bisogno di definire la propria natura ed il proprio scopo, diviso com'è tra l'essere Atreus, figlio di Kratos, e Loki, figlio di Laufey.
Un percorso che, ad ora, ci lascia solo con tanta curiosità, e con la voglia di capire se Ragnarok sarà, o meno, in grado di tenere al giusto livello la qualità della sua narrazione giacché, almeno a giudizio di chi vi scrive, il lavoro compiuto col capitolo precedente non era solo lodevole, ma anche necessario, per dare a Kratos quella nuova e ritrovata identità che lo ha reso, a tutti gli effetti, un personaggio con una tridimensionalità più definita, di molto lontana da quella feroce, e spesso insensata, macchina da guerra delle origini.
Il primo impatto
Come detto, quindi, già durante le primissime ore spese assieme a God Of War Ragnarok, abbiamo avuto modo di visitare il primo reame disponibile, nonché il primo inedito di questo nuovo episodio, ovvero lo splendido Svartalfheim, casa dei nani e, dunque, reame di origine anche di Brok e Sindri. L'impatto con il mondo di gioco è meraviglioso e, per certi versi, fuga un po' quella paura derivante dalle premesse della trama che, come saprete, prevedono che su tutti i Regni si sia abbattuto il Fimbulwinter, un lungo e gelido inverno originatosi con la morte di Baldur, proprio alla fine degli eventi del capitolo precedente.
Il timore era che l'inverno rigido e inarrestabile, e soprattutto la neve, spezzassero in qualche modo la meravigliosa variazione di ambienti, temi e architetture che aveva caratterizzato il capitolo del 2018, appianando l'intera estetica sotto un manto gelido, bianco e spietato. Come avrete notato dal trailer, invece, Svartalfheim è in qualche modo ancora assolato e rigoglioso, ed è anzi in gran parte dominato da una vasta palude che, armati della nostra fida canoa, potremo esplorare su di una serie di percorsi sì lunghi, ma abbastanza lineari e con poche variazioni.
Proprio la linearità, in effetti, è forse la cosa che in questo frangente ci ha lasciato più perplessi. Per quanto anche il titolo del 2018 fosse, in fin dei conti, un gioco con poche variazioni, se non per la zona del Lago dei Nove Regni che, fungendo da HUB, permetteva anche una buona esplorazione, in questo capitolo il primo impatto è con Svartalfheim, una zona bellissima da vedere, ma anche molto lineare, anche al netto dell'esplorazione con la canoa che, per il momento, ci ha imposto un incedere dritti con pochissime divagazioni.
Ora, è ovvio che non è possibile stabilire l'andazzo di un intero gioco dalle sole prime ore, anche perché lo stesso capitolo del 2018, soprattutto all'inizio, si proponeva come un gioco predisposto su di un lungo binario, sino alla scoperta del Lago, tuttavia il primo impatto è stato tanto bello dal punto di vista estetico e ludico, quanto straniante dal punto di vista dell'esplorazione, e controllare l'ormai celebre canoa senza poter troppo girare in lungo e in largo ci ha lasciati, in effetti, un po' delusi.
Archiviata questa perplessità che, lo ripetiamo, è frutto di poche ore di giocato (troppo poche per un parere definitivo) torniamo al regno dei Nani, il cui villaggio, il già citato Nidavellir, sempre intravisto nel trailer, sarà, di fatto, il primo vero luogo che visiteremo nel gioco e da cui, come immaginerete, si aprirà la pista che ci condurrà lungo gli eventi dell'intero titolo. Qui, l'impressione è assolutamente positiva, e qualche rapida occhiata in giro suggerisce già quello che sarà un futuro backtracking, quando tutte le abilità saranno sbloccate, e l'esplorazione sarà certamente più libera ed appagante.
A metà tra steampunk e medieval-fantasy, Nidavellir è un luogo caldo e meraviglioso, caratterizzato da tonnellate di dettagli che ne testimoniano la vita ancora presente, ed alcuni attimi di quotidianità. Una novità per God Of War Ragnarok (o meglio per l'intero franchise), il cui carattere mortifero si è spesso espresso anche nella creazione dei suoi luoghi, sempre vuoti e privati di vita, senza alcuna rigogliosità e spesso ridotti a ruderi. Qui le cose sono molto diverse, e per quanto ci siano mostri che spuntano da ogni dove, l'impressione generale è quella di un luogo nuovo ed affascinante, sotto la cui superficie, di certo, si nascondono chissà quante storie ed ancor più segreti.
Segreti che, come capirete, ci appresteremo a svelare, sulle tracce di Tyr e del suo nascondiglio, anche se di più non possiamo, e non vogliamo, dirvi. Vi basti sapere che l'impatto è stato assolutamente positivo e che, seppur nella sua momentanea linearità, God Of War Ragnarok ci ha proposto interessanti e nuove soluzioni di game design, andando quasi in controtendenza con il capitolo precedente in cui, come ricorderete, c'era una certa penuria di enigmi ambientali, anche dal punto di vista dell'esplorazione.
Aguzza la vista, affila l'ingegno
L'impressione, in questo frangente, è che ci si sia riavvicinati di molto ai capitoli più vecchi della serie, in cui c'era un certo (piacevole) equilibrio tra combattimenti ed enigmi, il tutto attorniato da una buona esplorazione degli ambienti che, ovviamente, si era di molto ampliata già con il concept del 2018, qui apparentemente ereditato.
Le armi di Kratos, la fida Leviatano e le potenti Lame del Caos (ora parte integrante dell'equipaggiamento), già dai primi momenti di gioco, mostrano una maggiore centralità nella risoluzione degli enigmi ambientali, i quali non sono vincolati esclusivamente al colpire oggetti lontani per attivare interruttori (giusto per proporre un'opzione basilare del gioco precedente), ma permettono anche una certa interazione “elementale”, secondo il principio che regola le stesse armi: la Leviatano genera ghiaccio, e dunque congela, le Lame del Caos generano il fuoco e dunque possono incendiare.
Già nel primo regno presente in God Of War Ragnarok, si assiste subito ai primi enigmi basati su questo principio che, indubbiamente, hanno reso alcune situazioni non solo più interessanti ma anche più partecipative da parte del giocatore, che ora deve tornare a pensare un minimo a quello che fa, indagando attentamente l'ambiente, talvolta anche sperimentando soluzioni, visto che certi enigmi, come per esempio quelli basati sul congelamento dell'acqua, presentano alcune tipologie di approccio che non portano automaticamente alla soluzione.
Vogliamo, intenzionalmente, restare sul vago, ma vi basti sapere che, in God Of War Ragnarok, c'è una maggiore attenzione nella costruzione degli enigmi ambientali che, per quanto intrinsecamente basati su meccaniche semplici, si sforzano nel non essere mai banali, pur non rivelandosi mai davvero difficili o, comunque, troppo complessi. Siamo su quel livello che mescola, in modo appagante, accessibilità e ingegno, uno standard che si rivelò come la matrice vincente di molti vecchi episodi di God of War e che, come ci suggerisce il "senno di poi", si era forse un po' persa col capitolo del 2018.
God Of War Ragnarok fra ghiaccio e il fuoco
Ovviamente, se parliamo di asce e lame, non si può che parlare di combattimenti, che anche in God of War Ragnarok sono una componente fondamentale, se non proprio il cuore pulsante dell'opera. La violenza, lo diciamo subito, c'è. È qui, è viscerale e vivida, e ribolle come lava sotto ogni colpo di Kratos, che fa accusare ai nemici tutta la sua forza e pesantezza. In questi termini, la constatazione più piacevole è immediata è quella di afferrare il pad, e di sentirsi subito a proprio agio con il sistema di combattimento, la cui formula e approccio sono perfettamente in continuità con il passato.
Al netto di questo feeling, così piacevole e, per certi versi, auspicabile, è comunque evidente quanto Santa Monica si sia impegnata per inserire nel gameplay delle variazioni che ravvivino gli scontri, rendendo l'esperienza complessiva certamente simile, ma comunque diversa rispetto al capitolo precedente, e forse persino più tecnica e coinvolgente che in passato.
Allo stato attuale non possiamo dirvi troppo, ma vi basti sapere che, anzitutto, le due armi di Kratos hanno adesso la possibilità di caricarsi istantaneamente del loro potere elementale, tramite la pressione prolungata del tasto Triangolo, permettendo così l'utilizzo di nuove abilità, oltre che di colpi più potenti.
Se l'ascia Leviatano, tutto sommato, non offre una variazione davvero significativa al moveset, poiché caricata o meno lascia poco spazio alla fantasia rispetto al capitolo precedente; le Lame del Caos, invece, hanno ora un nuovo e ritrovato vigore, giacché è possibile utilizzarle per afferrare un nemico avvicinandolo istantaneamente a noi, o agganciarlo per lasciarlo al suo posto, ma scaricando su di esso una veloce e devastante fiammata.
La sensazione generale è che venga richiesta una maggiore interazione tra le due armi, a differenza del capitolo precedente dove, in fin dei conti, l'uso tra le due era grossomodo limitato alla tipologia di nemici presenti sul campo di battaglia. Qui, invece, il gameplay sembra invogliare costantemente al cambio, così da mantenere il controllo sui campi di battaglia che, spesso, sono affollati in modo molto piacevoli di nemici grandi e piccoli, alcuni anche molto sfuggenti.
Anche lo scudo è stato completamente rivisto, sicché ora non è solo un oggetto liberamente equipaggiabile in due diverse varietà, ma può anche sferrare un colpo spezza guardia tramite la pressione veloce del tasto parata che, in certi frangenti, può addirittura interrompere un attacco nemico, oltre che parare in modo classico o in versione parry. Un'aggiunta che pare, tutto considerato, molto modesta, ma che una volta padroneggiata aggiunge una certa profondità ad un sistema di combattimento già molto raffinato e tecnico, in cui la spigliatezza del giocatore è sempre messa alla prova, e questo sin dalle primissime battute.
Anche la mobilità di Atreus ed il suo supporto in battaglia sono stati completamente rivisti. Ed anche se il comando al personaggio, gestito dalla IA, resta sempre vincolato al tasto Quadrato, con cui gli si può richiedere di scoccare frecce, il giovane, ora adolescente, è palesemente più attivo e partecipativo, e non si limita più a bloccare o punzecchiare i nemici, ma se ne occupa con una certa autonomia.
Il primo impatto è quello di un sistema di combattimento con cui ci si ritrova immediatamente a proprio agio ma che, immancabilmente, propone delle varianti, tutte perfettamente intendibili dal giocatore che, in estrema sintesi, deve solo imparare a gestire i nuovi tempi della lotta, ora più dinamica e, per questo, ancor più appassionante ed accattivante, tanto da risultare spesso giustamente impegnativa per quanto, ad ora, mai davvero punitiva.
Resta intatto, e con poche variazioni, il sistema di equipaggiamenti che, almeno in queste prime ore, ci è sembrato molto simile a quello già apprezzato nel capitolo precedente. Non c'è stato spazio, ovviamente, per approfondire in modo accurato la faccenda, anche perché God of War, era e resta, come per l'uscita del 2018, un titolo comunque avido, in cui gli oggetti equipaggiabili sono concessi al giocatore col contagocce, o comunque previa una buona ricerca di casse ed annessi enigmi.
In sintesi, per ora, possiamo però dirvi che la funzione di aumento del livello è rimasta la stessa, con gli oggetti dell'equipaggiamento di Kratos che, di fatto, stabiliscono il livello del personaggio. Ci sono poi i punti esperienza, che invece sono riservati allo sblocco delle skill dagli apposti alberi di abilità, uno per ogni arma compreso, ovviamente, l'arco di Atreus. L'impressione iniziale è che il numero di abilità sia approssimativamente vicino al passato, anche se lo spazio vuoto sui vari tavolieri è molto, ed è plausibile che nel corso del gioco si sblocchino nuove abilità, inizialmente neanche citate dal menù, rendendo il compendio di opzioni ancor più variegato ed appagante.
In ogni caso, pare che la volontà sia quella di rendere l'ottenimento delle stesse meno frettoloso e più ragionato, visto che il costo di molte abilità è parecchio lievitato rispetto al gioco del 2018 e, questo, probabilmente, serve a non rendere la vita del giocatore troppo semplice cosa che, se ci pensate, non succedeva con il titolo precedente dove, raggiunto il livello 7, se si escludevano le sfide delle Valchirie, si riusciva serenamente a sbloccare ogni abilità disponibile, trasformandosi in schiacciasassi barbuti.
Vedremo, col prosieguo del gioco, se questo apparente bilanciamento porterà o meno i suoi frutti ma, intanto, diremmo che non si registrano significativi cambiamenti.
Il colpo d'occhio
Dal punto di vista tecnico, God of War Ragnarok è sontuoso, come era sontuoso già il capitolo precedente, ma dimostra che l'arrivo di PS5, in qualche modo, ha giustamente spinto il team di sviluppo a dare il massimo, rendendo quello che era un comparto tecnico già impressionante, ancor più imponente.
I modelli sono dettagliati, massicci, e trasudano un'attenzione maniacale. Persino Mimir, tutto sommato di poco soggetto a variazioni vista l'assenza di un corpo o di abbigliamento, ha un aspetto più realistico e definito, tanto che se ne apprezzano piacevolmente i dettagli. I volti sono più raffinati e rifiniti, ed è evidente, ad esempio, come sia sia voluto evidenziare il trascorrere degli anni e delle sofferenze su alcuni volti, non ultimo quello di Kratos, che sembra effettivamente più vecchio e “rugoso”, per quanto ancora titanico nella sua presenza scenica.
A farla da padrone, tuttavia, sono gli ambienti di gioco, che sono sempre, ed in qualche modo, caratterizzati da un forte impatto visivo ed emotivo. Che sia il ghiaccio che ammanta Midgard, una caverna nascosta chissà dove, e parzialmente illuminata dalla luce, o la semplice, ma raffinata, bellezza della città di Nidavellir, God of War Ragnarok sembra intenzionato a stupire ad ogni passo, ad ogni scorcio, ad ogni angolo dietro il quale getteremo lo sguardo.
La summa, che soprattutto differenzia questo titolo dal precedente, è ottenuta grazie a piccoli ma ingegnosi trucchi, atti ad arricchire lo spazio visivo, colmando la vista di oggetti in movimento, come dondolii di rami causati dal vento, creaturine che si arrampicano su muri e soffitti, o che scompaiono tra la sabbia quando ci avviciniamo, ed effetti di luce dinamici che muovono le ombre e che, talvolta, fanno "vibrare" l'ambiente di gioco. Sono, per l'appunto, dettagli di contorno, ma presenti generosamente ed in modo continuo, anche nel paesaggio più brullo e che, ad ora, ci hanno offerto un'ineguagliabile ricchezza visiva. Un lavoro che, in scala, oseremmo paragonare alla florida ed estesa magnificenza del lavoro confezionato da Guerrilla per il suo Horizon Forbidden West.
Detto questo, sappiamo che, in linea di massima, i conti con il comparto tecnico andranno fatti alla fine, sia perché è solo giocando che avremo modo di vedere gli scorci più complessi e sontuosi, sia perché il codice attualmente in nostro possesso è privo della patch del day one che, a detta del team, dovrebbe ulteriormente migliorare l'esperienza complessiva, oltre a risolvere, probabilmente, qualche bug.
Per ora vi diciamo che God of War Ragnarok è un titolo imponente, bellissimo e appagante, pulito e privo di grosse sbavature, capace di proporre un'esperienza solida e priva di cali framerate, pur scegliendo, tra le varie opzioni, quella che premia la resa visiva rispetto alla velocità del gioco. Così bello che non sembra avere eguali nell'attuale produzione console. Così dannatamente bello che verrebbe da chiedersi dove si sarebbe potuto spingere senza i “limiti” di uno sviluppo cross-gen.
I primi dubbi su God Of War Ragnarok
Abbiamo detto tanto, forse troppo per un articolo come questo che, in fin dei conti, dovrebbe solo presentarvi le nostre prime impressioni. Il punto è che le prime impressioni sono tante e, grazie al veto di Sony, di manica particolarmente larga, abbiamo potuto già giocare per un bel po' di ore prima di doverci imporre uno stop ai contenuti di cui potervi parlare in questo articolo.
Ben chiaro che questo non è in alcun modo un giudizio finale, è doveroso dire che queste sono state ore preziose e bellissime che, almeno al momento, ci hanno già ripagati della lunga attesa intercorsa tra questo gioco ed il suo predecessore ma in cui, per dovere di cronaca, si sono anche affacciati alcuni dubbi.
Il primo e fondamentale è quello dell'azione di gioco. Ragnarok, infatti, per quanto sembri più bilanciato del suo predecessore in termini del rapporto tra azione/esplorazione ed enigmi, è comunque un titolo molto derivativo che, pur con tutti gli accorgimenti, propone un feeling in piena continuità col capitolo precedente. Il team, come ricorderete, ci ha promesso però un gioco lungo, forse lunghissimo che, addirittura, pare si potesse dividere in due giochi a sé. Il punto è: ne sentiremo il peso? Questo God of War, apparentemente “bigger” rispetto al precedente, sarà anche “better”, o mostrerà il fianco ad una certa ripetitività, in quello che è un gameplay, per molti, già ampiamente masticato e digerito?
Dirlo adesso è impossibile, e tocca solo sperare che il gioco, almeno più in avanti, introduca un giusto numero di opportunità e variazioni, quanto meno per scongiurare lo spettro della ripetitività dei combattimenti che, se rifuggiamo qualsiasi tecnicismo, sono comunque del tutto identici a quanto apprezzato nell'episodio del 2018. O almeno così li interpreterebbe qualsiasi button masher.
L'ultimo dubbio, che ci ossessiona, è poi quello relativo alla trama. Il precedente God of War era un titolo personale, quasi autoriale, nato dalla necessità del suo Director di affrontare, per altro attraverso un personaggio poco incline al tema, il racconto della genitorialità e questo, a prescindere dalla bontà del gameplay, aveva reso il gioco un titolo memorabile, rivoltando completamente l'idea che il giocatore poteva avere di Kratos, ma anche di quello che un gioco come God of War poteva dire o raccontare.
Ora che Barlog è lontano, God Of War Ragnarok che cosa ci racconterà? Riuscirà ad abbattere la barriera del more of the same narrativo? O magari ci proporrà un racconto del tutto nuovo ed inedito? Per ora possiamo solo rimandare la sentenza ai posteri, sperando che questo viaggio, questo gelido, atteso e splendido viaggio, viva la conclusione che più si merita, consacrando la saga nell'Olimpo della grandezza: quella che si confà al nuovo modo di raccontare i videogame, ovvero a quella traccia di maturazione, non solo artistica, ma anche narrativa che, specie in casa Sony, ha già piacevolmente segnato molti titoli e diversi sequel, come abbiamo imparato da capolavori come Uncharted 4 e, soprattutto, l'intimo e sconvolgente The Last of Us 2.