Dobbiamo ammettere che abbiamo apprezzato l'anacronistica scelta di Tango Gameworks e Bethesda, di aspettare a mostrare intensivamente materiale inerente a Ghostwire Tokyo, fino a poche settimane dalla sua uscita. Una scelta che rifiuta di sottostare alla sempre più dilagante "cultura dell'hype" e che, differentemente da quello che l'opinione generale impone come legge, non vuole indicare che la nuova creatura di Shinji Mikami sia poco interessante.
In realtà siamo di fronte a un progetto che, per certi versi, risulta anacronistico e che si colloca in quel peculiare segmento dove risiedono tutte quelle produzioni che rappresentano la "prima volta" per una software house, in un genere già rodato, e sperimentato in pressoché ogni direzione, da altri sviluppatori.
Ghostwire Tokyo, difatti, è il primo action game, open world, in prima persona sviluppato dal team di Mikami. Un progetto che prende le distanze dai precedenti due capitoli di The Evil Within, cercando di offrire qualcosa di diverso ai fan del celebre autore di videogiochi.
The Fog
Abbiamo avuto la possibilità di provare in anteprima i primi due capitoli di Ghostwire Tokyo e, dopo averi visto quanto la trama la faccia da padrona nelle prime fasi di gioco, abbiamo deciso di raccontarvi per sommi capi il concept alla base della nuova produzione targata Shinji Mikami.
In una giornata come tante, nel quartiere di Shibuya a Tokyo, una fitta coltre di nebbia comincia ad attanagliare la città, inghiottendo tutti gli abitanti che vi entrano in contatto, lasciandone solo i vestiti al suolo. In questa tetra e silenziosa distesa di gusci vuoti, una parata di spettri della tradizione giapponese comincia a marciare tra le strade in religioso silenzio, sovrastata da una moltitudine di anime raggomitolate in posizione fetale.
Sugli schermi del centro di Shibuya compare il volto di un uomo misterioso che indossa una maschera Hannya del teatro Noh, il quale da inizio a un rito con il quale imprigiona le anime all'interno di scatole di forma cubica che in pochi secondi svaniscono nel nulla. Le sue parole sembrano dirette agli spettri che marciano per le strade, ai quali richiede di continuare a inscatolare le anime disperse per Tokyo.
In questo teatro degli orrori moderno verremo chiamati a vestire i panni di Akito, un giovane edochiano che è stato posseduto dallo spirito di KK, un cacciatore di spiriti rude e con un unico scopo: fermare l'uomo che indossa la maschera Hannya. I motivi dietro alla possessione del giovane ve li lasciamo scoprire a voi, se deciderete di dare fiducia a Ghostwire Tokyo.
Quello che possiamo dirvi è che KK infonde il corpo di Akito di energia spirituale, permettendogli di scagliare potenti offensive elementali, e che i due cominciano, come nel più canonico dei buddy movie, a collaborare per salvare Tokyo dalla stretta mortale che la attanaglia.
La formula da buddy movie ci ha convinto e gli scambi di battute fra i due protagonisti si rivelano ben confezionati e adempiono sia al compito di rompere il silenzio delle spettrali, e desolate, strade di Tokyo, che nell'offrire al giocatore costanti informazioni sul passato dei due protagonisti, permettendogli di conoscerne meglio le varie sfaccettature del loro carattere.
Tradizioni giapponesi in un open world tradizionale
Ghostwire Tokyo è, come accennavamo poc'anzi, un open world molto tradizionale nella sua struttura. Fin dai primi due capitoli di gioco, infatti, la mappa di Shibuya si riempe di icone sparse qua e la, atte a indicare le varie missioni da compiere (principali e secondarie) e tutti i vari punti di interesse che si riveleranno utili, ad Akito e KK, per progredire nella loro missione.
Nella sua "canonicità", però, Ghostwire Tokyo ci ha intrigato per la varietà mostrataci dalle sue attività. In soli due capitoli di gioco, infatti, ci siamo trovati dinnanzi a una discreta varietà di cose da fare e di situazioni diverse. Oltre a liberare gli archi Tori dai nemici per poter diradare la nebbia che avvolge Tokyo, liberando nuove parti di mappa in maniera analoga agli avamposti tanto cari alla serie di Far Cry, Akito si è prodigato nell'assorbire gli spiriti sparsi per Tokyo, sfruttando uno dei Katashiro reperibili portando a termine differenti attività, nell'esorcizzare uno spirito maligno in una piccola abitazione per far ricongiungere due spettri permettendogli di “passare oltre”, pedinare un misterioso attentatore usando la visione spettrale ricevuta in dono da KK e risolto alcuni puzzle ambientali a tempo, per epurare dei nuclei maligni che isolavano una palazzina.
Il tutto ovviamente fermandosi di tanto in tanto in una cabina telefonica per inviare gli spiriti contenuti nei Katashiro in un posto sicuro in attesa di poterli riassociare ai loro corpi, visitando alcuni negozi, gestiti da degli Yokai di sembianze feline, per acquistare oggetti di varia natura e fermandosi ad accarezzare, nutrire e leggere i pensieri degli animali che popolano e strade di Tokyo, tutti connessi in un modo o nell'altro ad alcune delle numerose attività opzionali presenti in Ghostwire Tokyo.
Pur trattandosi di una serie di dinamiche molto simili a numerosi esponenti del genere open world usciti precedentemente, Ghostwire Tokyo ci ha piacevolmente sorpreso per la sua capacità di donare al giocatore una serie di strumenti utili per esplorare liberamente la città fin dalle prime fasi di gioco.
I poteri che KK infonde in Akito, infatti, permettono al giovane di sfruttare una forma volante degli Yokai che scorrazzano nei cieli di Tokyo, per raggiungere rapidamente i tetti della capitale, offrendo una verticalità in grado di garantire approcci diversi alle fasi esplorative. Non manca, infine, la possibilità di visitare l'interno di alcuni edifici che, seppur non numerosissimi, aggiungono un altro tassello alla varietà proposta da Ghostwire Tokyo.
Per quanto riguarda il combat system, il tutto si basa sull’utilizzo dei poteri spirituali ottenuti da Akito che, imponendo le mani in maniere differenti, potrà lanciare dardi energetici per indebolire i nemici fino a poterne accalappiare il nucleo spirituale con un lasso energetico per porre fine alla loro esistenza. Sarà possibile, ovviamente, eliminare i nemici senza curarsi di rimuovere il loro nucleo spirituale ma farlo permetterà al giocatore di recuperare punti vita.
Ciò che rende, apparentemente, dinamico e frenetico il combat system di Ghostwire Tokyo è il continuo “dare e avere” offerto dai combattimenti. L’energia spirituale di Akito, difatti, sarà limitata e per ricaricarsi dovrà, banalmente, eliminare i nemici per assorbirne i cristalli spirituali al loro interno.
Akito potrà ottenere energia anche da una serie di oggetti sparpagliati in tutta Tokyo che conterranno al loro interno differenti tipi di cristalli (con colorazioni diverse in base all'elemento a cui appartengono) ma il metodo migliore per recuperare energia rimane quello di eliminare i nemici e assorbirla da loro. Una dinamica semplice ma che si rivela molto intrigante e in grado di garantire scontri dinamici, specialmente quando ci si ritrova di fronte a gruppi numerosi di avversari.
Non manca la possibilità di approcciare gli scontri presenti in Ghostwire Tokyo in maniera maggiormente stealth, sfruttando le aree di gioco per raggiungere la schiena dei nemici o utilizzando l'arco che KK "presta" ad Akito e che può scoccare frecce infuse di energia spirituale. In merito alle dinamiche stealth abbiamo notato in queste prime ore di gioco un IA poco agguerrita e facilmente eludibile ma aspettiamo di raggiungere le fasi avanzate dell'avventura per capire se si tratta solo di una fase preliminare per far apprendere al giocatore i fondamenti alla base del gameplay di GhostWire Tokyo.
In termini di bestiario Ghostwire Tokyo si mostra vario e legato alla cultura pop delle leggende urbane orientali e occidentali. I nemici che abbiamo potuto visionare durante la nostra prova richiamavano fortemente figure come la Kuchisake-Onna (la donna dalla bocca spaccata), la Hachishakusama (la misteriosa donna alta più di due metri) e l’iconico Slenderman.
Ghostwire Tokyo su PlayStation 5
Volendo compiere una analisi preliminare del comparto tecnico di Ghostwire Tokyo, ci troviamo di fronte a una produzione ricca di luci e ombre. Il colpo d'occhio generale offerto da Tokyo, con le sue luci al neon in grado di risaltare sull'oscurità che avvolge la capitale Giapponese, è indubbiamente notevole, specialmente se si decide di fruire del titolo in "modalità qualità" godendo, quindi, di tutti i riflessi che si genereranno nelle pozzanghere e nelle superfici bagnate dalla pioggia.
Quello che ci ha convinto meno è la totale staticità degli ambienti che, al netto di qualche elemento interattivo sparso qua e la, restituiscono quell'anacronistica sensazione di trovarsi all'interno di un meraviglioso quadro. Laddove un birillo potrebbe venire spostato dai piedi di Akito durante una corsa, non è detto che la stessa reazione si generi in un cestino della spazzatura o in un mucchio di cartacce.
Una staticità che, per certi versi, poteva essere giustificata dalla effimera materia di cui sono composti gli attacchi spirituali di Akito ma che s'infrange nel momento in cui ci si trova di fronte a scelte di level design anacronistiche, quali piccoli carrelli dedicati alle pulizie che si comportano come muri invisibili, e che eliminano, inevitabilmente, ogni sorta di immersione nel giocatore.
Per quanto riguarda le performance, su PlayStation 5 gli sviluppatori non hanno badato a spese inserendo una serie di modalità atte ad abbracciare le esigenze di tutti gli utenti. Oltre a poter scegliere fra le immancabili "Qualità" e "Prestazioni", Ghostwire Tokyo presenta una serie di modalità grafiche pensate per operare a frame rate sbloccato, con o senza V-Sync.
Noi ci siamo limitati a testare a fondo le prime due, riscontrando un ottima fluidità per quanto riguarda la modalità "Prestazioni" (che ha mantenuto i 60 fps stabili anche nelle situazioni più caotiche) e qualche sbavatura in termini di aliasing per quanto riguarda la modalità "Qualità", la quale però si è rivelata in grado di restituirci una visione d'insieme di Tokyo, decisamente mozzafiato.
Per quanto riguarda i modelli poligonali dei nemici, e le loro animazioni, tutto si è mostrato fedele allo stile di Mikami, con creature che, via via che si progrediva con la storia, si mostravano decisamente sopra le righe in termini estetici e ricchi di dettagli identificabili solamente in seguito a una osservazione più attenta. Siamo comunque ben lontani dalle disturbanti bestialità realizzate per la serie The Evil Within ma bisogna sempre tenere in considerazione che Ghostwire Tokyo è un titolo pensato per un pubblico più ampio e diversificato.
Decisamente apprezzabile la cura apportata nel doppiaggio e nella localizzazione. Ghostwire Tokyo, di default, si avvierà con il doppiaggio in Giapponese e i sottotitoli in Italiano ma basterà una rapida visita all'interno del menù delle opzioni per constatare che il gioco è stato doppiato in un numero davvero cospicuo di lingue, tra le quali anche l'Italiano.
Nella nostra prova abbiamo voluto "saltellare" fra i doppiaggi in Giapponese, Inglese e Italiano, presenti in Ghostwire Tokyo constatando come la recitazione si riveli buona in ogni sua variante, lasciando quindi piena scelta ai giocatori su come fruire della nuova creatura di Tango Gameworks.