Ghost of Tsushima | Recensione, la via dello Spettro
La nostra recensione di Ghost of Tsushima e del Giappone visitato da Sucker Punch attraverso gli occhi di un guerriero solitario.
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a cura di Alessandro Palladino
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Quando ripenso al mio primo contatto con Ghost of Tsushima mi tornano alla mente i vari post e tweet del team di sviluppo targato Sucker Punch, i quali illustravano il grande entusiasmo che i viaggi nella reale Tsushima avevano suscitato in chiunque lavorasse al progetto. L’eredità storica giapponese, ormai lo sappiamo, è un florido terreno a cui attingere all’infinito grazie a leggende, miti, figure epocali e intere famiglie dal passato florido. Lo abbiamo visto più e più volte in qualsiasi espressione creativa del folklore del Sol Levante, eppure l’approccio di Sucker Punch, fin dai primi momenti, appariva molto particolare, come voglioso di portare uno spaccato di Giappone che fosse il più vicino possibile a tutti gli elementi per cui lo si ama senza appoggiarsi al “fantastico”.
Già dal suo avvio Ghost of Tsushima si è dimostato esattamente quello che si era prefisso di essere: la più bella lettera d’amore alla cultura giapponese degli ultimi anni. Dai rimandi esplicitissimi ad Akira Kurosawa alla poetica orientale, arrivando alla religiosità e al simbolismo, non c’è davvero nulla di fuori posto quando si guarda alla rappresentazione estetica o culturale del Giappone proposta. Una giusta ricompensa che voglio attribuire fin da subito ai grandi sforzi del team, palpabili in ogni singolo attimo di quella che è stata la mia esperienza, a prescindere da quello che sarà poi il verdetto complessivo o il ricordo che il pubblico generale avrà dell’opera.
Nemici dal mare, venti del cambiamento, destino familiare
Iniziando da ciò che conosciamo tutti, alla base del lavoro di Sucker Punch c’è la rappresentazione della prima invasione mongola, una delle vicende più particolari della storia orientale per via dello scontro culturale/bellico con cui le due civiltà hanno avuto a che fare. L’apertura dei primi minuti del titolo ne è infatti la prova lampante, mostrandoci un samurai che accoglie i mongoli sfidandoli a un duello d’onore, prontamente rifiutato dai nemici in favore di un’esecuzione senza paura in puro stile barbaro. Da questo singolo evento si capisce quanto la battaglia di Tsushima (e le successive fasi della guerra mongola) siano state un punto di svolta nella concezione giapponese della guerra, incarnata dal protagonista Jin Sakai in Ghost of Tsushima.
Jin, samurai di una nobile casata di Tsushima, sfugge infatti alla morte per un soffio e si risveglia con l’intera isola ormai in mano agli invasori, i quali adottano tattiche brutali che vanno dal torturare gli innocenti alle bombe esplosive, tecniche mai viste prima dai giapponesi. Dai primi minuti si potrebbe pensare che quella di Ghost of Tsushima sia la storia di un samurai solitario che, rimanendo fedele al suo codice, scaccia i mongoli con i soli valori della via della spada. Invece non è così e anzi l’idea di Sucker Punch è stata quella di trovare una trama che riuscisse a comunicare la necessaria fine di un’epoca di tradizioni belliche che hanno definito generazioni su generazioni, senza però mancare di rispetto all’immortale ideale del samurai. A voi starà scoprire le complicazioni di tale scelta.
Nella crescita di Jin e nella sua nuova visione da redivivo ritroviamo lo Spettro di Tsushima: non un samurai, non un criminale, semplicemente una figura grigia che difende la sua gente a ogni costo, incarnando in qualche modo lo spirito di vendetta di un intero popolo. Sucker Punch sviluppa questo cammino in due tempi: uno è dedicato alla vicenda strettamente personale di Sakai e alla famiglia dello zio Shimura, parte dei pochissimi samurai d’onore rimasti ancora sull’isola, l’altro è invece il binario delle storie dei vari personaggi di Tsushima, ognuno con racconti lontani dall’epopea del protagonista ma congiunti dal desiderio di liberare la propria madre patria.
La scelta in questo caso è stata quindi quella di frammentare la narrazione in filoni divisi e da seguire a proprio piacimento, un qualcosa che tutto sommato consente di dividere equamente lo spazio sullo schermo tra le varie trame. Al contempo, ciò porta però alcune figure chiave per la campagna ad avere un potenziale ruolo marginale nel momento in cui il giocatore decidesse di dedicarsi solamente al viaggio di Sakai, ignorando alcuni dei protagonisti spiegati solamente al margine dell’avventura.
Ghost of Tsushima racconta, in definitiva, di un eroe paradossalmente lontano dall’ideale giapponese e da tutti sacrifici che tale via richiede. Come nella migliore delle opere Kabuki, i protagonisti si alternano sul palco in momenti ricchi di pathos, emozione e dibattiti serrati sulla cultura tradizionale. Per quanto in alcuni attimi l’attenzione tenda a calare per colpa di alcune scene riempitive, in altre occasioni vi risulterà evidentissimo il grande ruolo dell’ispirazione cinematografica, grazie ad alcune sezioni dal forte impatto sentimentale, soprattutto nelle eccezionali battute di chiusura.
Fiori danzanti tra le correnti, lame sguainate, si chiudono al calar del sole
Nulla di tutto questo avrebbe però raggiunto il cuore del giocatore se a contornare la controffensiva dell’invasione mongola a Tsushima non ci fosse stato uno dei migliori mondi di gioco delle esclusive PlayStation 4, degna chiusura di generazione e capace di trasmettere fin dai primi minuti l’impegno del team di sviluppo nella ricerca della fedeltà. Dopo mesi e mesi spesi sulla vera isola protagonista di questa vicenda, Sucker Punch è infatti riuscita a forgiare una rappresentazione quasi perfetta dello scenario giapponese, tra vicinanza alla conformazione geografica del materiale originale ed elementi semi-fantastici dedicati alle principali correnti artistiche orientali.
Viaggiare per i campi in fiore mentre il vento sospinge i petali verso l’orizzonte o cavalcare tra le fronde di foreste di bambù, circondati da piccole statue Jizo e fioche lanterne di pietra, è qualcosa di impagabile, specialmente quando ogni angolo dell’isola virtuale è pieno zeppo di dettagli da scoprire guidati dall’azzeccato “Vento Guida”. Non troverete mai una ridondanza tematica tra le tre aree che compongono l’interezza di Ghost of Tsushima, anzi il più delle volte avrete di fronte paesaggi unici che spaziano dai terreni coltivati alle grandi pagode dei templi principali, arrivando poi a struggervi di fronte alla devastazione perpetrata dai mongoli. A contrastare la violenza dell’invasore c’è tutta la parte poetica del Giappone, qui tradotta in un grande ruolo di rilievo per la religiosità, la pittura tradizionale e i componimenti Haiku che lo stesso giocatore sarà chiamato a ideare di propria iniziativa.
Senza mezzi termini, la direzione artistica ideata da Sucker Punch è davvero il maggior punto di forza del gioco, lo sprone principale che vi accompagnerà in qualsiasi destinazione incantandovi così tanto da farvi ignorare i comodissimi punti di viaggio rapido in favore delle cavalcate libere, magari scoprendo le storie Mitiche di guerrieri eroici e dei loro cimeli da tramandare, oppure recandovi in templi Shinto sulle cime dei monti, guidati solamente dagli iconici portali Torii. Viaggiando senza meta si può arrivare veramente ad apprezzare Tsushima per quel che è, vedendone i lati più preziosi e folkloristici con l’aiuto di fumi bianchi nel cielo e animali “sacri” in comunità con le divinità shintoiste.
Parte del merito di tale riuscita va anche alla scelta azzeccata delle palette di colori dei vari biomi, comprendenti ampi spettri di colori in modo da presentare al giocatore un ambiente sgargiante alla luce del sole e abbastanza fioco tra la nebbia o l’oscurità della notte. Vi sorprenderete vedendo come un posto da voi conosciuto possa cambiare radicalmente sotto un’altra luce, così come l’intero Ghost of Tsushima potrà essere diverso se decideste di viverlo attivando il filtro Akira Kurosawa: uno speciale effetto visivo in bianco e nero che aumenta la velocità del vento, ovatta l’audio e aumenta la musica di sottofondo in pieno stile vecchia scuola.
Il godimento dello scenario però non è di certo il compito di un samurai o di uno Spettro, chiamato a sguainare la sua katana per scacciare via chi insozza la magnificenza di quei luoghi sacri con il massacro. Sucker Punch ha quindi deciso di adottare il free flow per il suo Ghost of Tsushima, creando combattimenti lampo che mano a mano diventano sempre più complessi grazie alle quattro forme a disposizione di Jin Sakai, ognuna dedicata a una particolare tipologia di nemico. È dalla parte bellica che iniziano i problemi del gioco, dimostrando un lavoro ben lontano dalla cura con cui è stata trattata la parte "tecnica".
Riprendendo il paragone del teatro Kabuki, potremmo definire le lotte di Sakai con i mongoli esattamente come dei combattimenti da teatro: scenicamente appaganti ma alla pratica decisamente lontani dall’arte samurai. L’impossibilità di bloccare il nemico con la telecamera, l’abbondanza di colpi imparabili e la ripetitività del ritmo degli scontri trasformano infatti i duelli di spada in uno spettacolo a cui si vorrebbe assistere piuttosto che partecipare. Per fortuna, andando avanti nel gioco – e nel ricco ramo di abilità/strumenti di Jin - si sbloccano tecniche capaci di aumentare la varietà nell’approccio, senza però uscire troppo dal seminato.
Punta di diamante del combattimento frontale sono i Duelli contro singoli nemici potenti, utilizzati occasionalmente in momenti chiave della trama e contro altri guerrieri simbolici nel corso del gioco. Come in un buon film di Kurosawa, tecnica e riflessi saranno i vostri alleati migliori contro avversari capaci di mettervi al tappeto in poco tempo se lasciati fare indisturbati. Nonostante anche qui ci sia un po’ di ridondanza nell’approccio, lontano da filosofie dell’arma bianca come quella vista in For Honor, la profondità del duello da samurai è quella che avremo voluto vedere applicata di più agli scontri normali, figli della necessarietà di un open world non proprio performante.
Spettro viandante, voce riconoscibile, tramonta sul tempio
Ghost of Tsushima è infatti pieno zeppo di attività e collezionabili da perseguire, così come lo è di lotte da sbrogliare. Se sulla carta la quantità può essere un’attrattiva, quanto fatto da Sucker Punch non convince nell’equilibrio proposto nel lato ludico, straripante dei classici avamposti da ripulire e un sistema di crafting inutilmente tedioso che obbliga il giocatore a scandagliare ogni casa alla ricerca di provviste da rubare alla povera gente affamata. Alcune attività, come gli Haiku citati o i santuari da trovare, hanno quel giusto contesto incasellato nel foklore religioso del popolo giapponese e non sembrano mai di troppo, anzi. Lo stesso non si può dire delle decine di fattorie da ripulire dai mongoli e delle città da liberare, spesso sfruttando il lato da Spettro di Jin.
Lo stealth in Ghost of Tsushima è affidato alla nuova vocazione del samurai dei Sakai, che nelle prime battute trova un sorprendente spessore narrativo dal sapore inedito e riverberato successivamente nella trama. Se da un lato questo ci ha fatto ben sperare nelle prime ore di gioco, andando avanti l’impressione è stata quella di vedere slegate le conseguenze della trama dal lato del gameplay, trovandoci un Jin molto riflessivo sui suoi nuovi metodi ma affatto restio – quando controllato dal giocatore – a fare un massacro senza essere visto da nessuno e andando contro l’onore del samurai classico.
Non a caso, da un certo momento in poi lo stealth appare quasi forzato contro il giocatore, privandolo di quella libertà di scelta apparente in favore di fin troppe missioni in cui si è obbligati a non essere visti. In tal senso meccaniche come il Rampino e le Bombe rappresentano delle buone idee per il lato più da “ninja” di Jin, ma il resto della furtività è quasi approssimativo, scontrandosi soprattutto con un’intelligenza artificiale che oscilla tra il ridicolo e il cyborg.
L’inadeguatezza dei nemici si nota specialmente quando si utilizza il proprio arco per farli fuori senza pietà da grandi distanze, visto che molti di loro caricheranno frontalmente senza alcun tipo di protezione (almeno, in molti casi) al punto debole della testa. Verso le aree finali vi ritroverete altresì in netto svantaggio a meno di non aver avanzato parecchio nelle varie forme e abilità da samurai, trasformando gli scontri in frivolezze che spesso si risolvono già abbattendo quei tre o quattro nemici con il Confronto da samurai. Se poi guardiamo anche alla moderata varietà disponibile tra i guerrieri che affronteranno Jin, c’è davvero poco sangue con cui sporcare la lama della sua katana.
Ludicamente parlando, Ghost of Tsushima fa davvero fatica a trovare la sua quadra nel gameplay, cercando di posizionarsi in un terreno di mezzo tra un open world classicissimo e un’esperienza cinematografica quasi d'autore. A supportare i pregi del gioco, oltre alla localizzazione completa italiana, c’è un eccellente doppiaggio giapponese che vede nomi come Kazuya Nakai: un veterano di samurai d’animazione del calibro di Roronoa Zoro (One Piece) e Mugen (Samurai Champloo). Bisogna sottolineare però che la base di partenza dei personaggi è quella inglese e, chi ha più occhio, noterà che tutti i protagonisti hanno il proprio volto modellato su quello dei loro doppiatori, partendo da Jin con Daisuke Tsuji (Lettere da Iwo Jima, L’uomo nell’alto castello) fino a Khotun Kan con Patrick Gallagher (Attila in Una Notte al Museo). Questo fa sì che il labiale si muova sulla versione inglese, effetto di cui tenere conto quando si gioca con il doppiaggio in giapponese. Purtroppo però l'attenzione maggiore per il capture degli attori è stata riservata solo ad alcune scene specifiche, lasciando molti dialoghi marginali con l'inespressività più totale.
Naturalmente anche le musiche, di spicco e rispettose degli strumenti tradizionali, in Ghost of Tsushima fanno la loro parte nel regalare un viaggio ancora più culturale nella ricostruzione del Giappone di Sucker Punch, nonostante si possa avvertire una mancanza di brani che sfruttano la parte vocale. Si è puntato infatti a un mix tra contemporaneo e antico, versante più su quest’ultimo in modo da non spezzare l’atmosfera voluta dal team. Il risultato è più che soddisfacente, esaltato nei momenti chiave della storia del gioco attraverso i pezzi migliori della colonna sonora e che difficilmente riuscirete a togliervi dalla testa.
Voto Recensione di Ghost of Tsushima - PlayStation 4
Voto Finale
Il Verdetto di Tom's Hardware
Pro
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- Uno dei mondi più belli degli ultimi anni
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- Grande rispetto per la cultura giapponese, specialmente nei suoi simboli e tradizioni
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- I protagonisti convincono nella loro storia principale, soprattutto verso le ultime ore
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- Doppiaggio in giapponese di alto livello, al pari con quello inglese
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- Colonna sonora convincente che raggiunge il suo massimo nelle scene clou
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- Gestione dell'interfaccia ottima, specialmente nel meccanismo del vento come guida
Contro
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- L'open world alla lunga stanca per la sua ripetitività
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- Il combattimento ha la sua bellezza scenica, ma non eccelle nell'economia del gameplay
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- Alcuni racconti e missioni secondarie non si differenziano dalla classica missione di "liberare un avamposto"
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- Molti dei dialoghi più secondari sono particolarmente inespressivi
Commento
Ghost of Tsushima è indubbiamente poetico nella sua bellezza e nel rispetto per la cultura da cui prende forma, elevandola oltre ogni aspettativa. La Tsushima immaginata da Sucker Punch sorprende a ogni suo angolo, trasformando il folklore religioso e sociale in un viaggio di una nuova generazione di guerrieri della patria. Jin Sakai e la sua storia raccontano di un Giappone intento a cambiare per difendersi, di come spesso il nemico più potente sia quello interiore e non i demoni venuti dal mare che affrontano i Venti Divini. Per la cura proposta, nonché l’amore verso il cinema del sol levante che il team dimostra attraverso il mondo di gioco, il viaggio di Jin è decisamente valevole di essere vissuto ben oltre la sua conclusione, solleticando le giuste corde di qualunque appassionato. Tuttavia, per quanto merito ci sia in questo palese elogio, è impossibile soprassedere di fronte a un open world che spesso inciampa sulle sue stesse idee fino alla ripetizione, ricco di sistemi poco raffinati come il crafting frustrante, sezioni stealth poco convincenti e combattimenti dalla qualità altalenante su troppi punti. Per queste particolari caratteristiche è davvero difficile assegnare un numero con cui inquadrare l’interezza in sintesi di Ghost of Tsushima, perciò in questa sede di analisi vogliamo puntare a premiare il grande ed evidente sforzo della direzione artistica (grafica/sonora/narrativa), capace di farci innamorare più e più volte nei suoi indimenticabili scorci in un Giappone che mai avremmo pensato di vedere così vividamente sullo schermo.
Informazioni sul prodotto
Ghost of Tsushima - PlayStation 4