I più grandi flop della storia dei videogiochi – Software

La storia dei videogiochi è fatta anche di titoli che, a discapito delle attese, si sono rivelati dei veri buchi nell'acqua: andiamo a scoprirli insieme!

Avatar di Michele Pintaudi

a cura di Michele Pintaudi

Editor

La storia dei videogiochi è bella in quanto ricca, varia e caratterizzata da innumerevoli colpi di scena. Ogni cambio di generazione è, ad esempio, un evento capace di catalizzare l’attenzione del pubblico dentro e fuori dall’industria: si ha sempre la sensazione di assistere a un importante passaggio di testimone, e anche quello che stiamo per vivere non fa eccezione in tal senso.

A eventi eccezionali come questo se ne affiancano poi centinaia di divertenti, interessanti, curiosi ma anche disastrosi. Oggi, con l’obiettivo di riesumare quei pezzi di storia finiti forse troppo presto (o tardi, a seconda dei punti di vista) nel dimenticatoio, vogliamo focalizzarci proprio su questi ultimi. Andremo infatti a parlarvi di quelli che sono stati i più grandi flop della storia dei videogiochi, lato software: tutti quei titoli che per ragioni di varia entità, da una scarsa qualità di fondo fino a un marketing esasperato in maniera estrema, non sono riusciti a lasciare il segno che avrebbero voluto nella storia di questo medium.

Prossimamente, e sempre su queste pagine, vi parleremo poi dei più grandi buchi nell’acqua in materia di hardware: console, dispositivi e prodotti correlati che non hanno soddisfatto le aspettative del pubblico, con conseguenti risultati di bassissimo livello sul mercato. Torniamo però ai videogiochi dove, invitandovi sin da subito a segnalare in fondo all’articolo quali sono per voi i titoli che meritano una menzione in tal senso, inizieremo facendo un salto indietro di quasi quarant’anni.

Storia dei videogiochi: i maggiori fallimenti commerciali

Per rintracciare il primo eclatante buco nell’acqua nella storia dei videogiochi è necessario tornare all’inizio degli anni Ottanta. Quello che vi andremo brevemente a narrare è un racconto ormai noto alla maggior parte del pubblico, che spesso tende a etichettarlo come la storia del più grande flop in assoluto in tal senso. Nel 1982 Steven Spielberg sbancò ai botteghini di tutto il mondo con il suo E.T., la commovente fiaba entrata di diritto nella cultura pop dove ancora oggi ricopre un ruolo di primissima importanza.

L’enorme successo della pellicola spinse Atari, che già aveva raggiunto ottimi risultati in termini di vendita con il tie-in Indiana Jones: Raiders of the Lost Ark, a voler realizzare un videogioco anche sul nuovo film di Spielberg. A capo del progetto troviamo Howard Scott Warshaw che, sviluppando il titolo a tempo record, lo presentò allo stesso regista che approvò in pieno in lavoro svolto. Peccato che il risultato finale sia ricordato ancora oggi come uno dei peggiori giochi mai concepiti all’interno dell’industria: anche il pubblico se ne accorse e, seguendo i consigli della stampa di settore di allora, decise di evitare di investire tempo e denaro su E.T. the Extra-Terrestrial.

Quella che ne conseguì fu la storica crisi del settore del 1983: i risultati di vendita furono talmente bassi da contribuire, insieme a tutta una serie di altri fattori, al fallimento di Atari. E.T. conserva ancora oggi la nomea di “peggior gioco di sempre”, con l’azienda stessa che si trovò a seppellire le migliaia di cartucce invendute in una discarica del New Mexico: anche questa, come dicevamo, è storia dei videogiochi.

Un altro grandissimo flop degno di nota in termini di vendite lo troviamo nel decennio seguente, più precisamente nel 1993. Dopo aver raggiunto un compromesso e stipulato un ricco accordo commerciale, Nintendo concesse a Philips i diritti per produrre tre titoli legati all’universo di The Legend of Zelda: The Faces of Evil, The Wand of Gamelon e Zelda’s Adventure. Tre giochi entrati nella leggenda, ma non proprio per i motivi che le due aziende si auguravano.

Realizzati per Philips CD-i, console dell’azienda olandese che mirava a rivoluzionare il mercato, i tre titoli furono un fallimento su tutta la linea. Gli appassionati della saga, in primis, non riuscirono a credere ai loro occhi quando si trovarono tra le mani quelli che, oggettivamente, erano prodotti che non si avvicinavano minimamente ai capolavori a cui Nintendo li aveva abituati. Pubblico e critica demolirono i giochi, e il tutto si rifletté su risultati di vendita ovviamente sotto le aspettative: la console stessa, del resto, non aveva superato le 500.000 unità vendute in tutto il mondo.

In compenso oggi, a diversi anni dalla loro pubblicazione, i tre titoli possono godere di una rinnovata popolarità, anche se sempre per i motivi errati. Le scene animate presenti nei giochi sono infatti oggetto di meme e di montaggi video esilaranti, ma che perlomeno hanno portato tali prodotti all’attenzione di un pubblico più giovane.

Marketing, pubblico e altri fattori: cosa sta dietro a un flop?

Non sempre però l’insuccesso commerciale è legato alla bassa qualità del prodotto, e anzi spesso intervengono fattori d’altro genere su cui non sempre è possibile operare. È il caso ad esempio di EarthBound, secondo capitolo della serie Mother uscito nel 1994 su Super Nintendo. Il colosso nipponico impiegò molte risorse in attività di marketing – i report di allora parlano di cifre superiori ai due milioni di dollari – ma il risultato in tal senso fu disastroso, con una campagna promozionale che a riguardarla oggi risulta probabilmente ancor più imbarazzante del dovuto.

Nintendo dichiarava infatti che il gioco puzzasse (sì, avete letto bene) in quanto parte del materiale pubblicitario impiegato adoperava il cosiddetto “scratch and sniff”: materiale trattato appositamente per risultare profumato all’olfatto. Una scelta infelice che, unita al fatto che il genere JRPG non fosse particolarmente popolare negli Stati Uniti, decretò in sostanza il fallimento commerciale di EarthBound. Un vero peccato, anche e soprattutto alla luce del fatto che il titolo è oggi riconosciuto come uno dei migliori della storia dei videogiochi.

Altri esempi in questo senso sono, ahinoi, diversi titoli targati LucasArts: avventure grafiche di altissimo livello che, spesso, non riuscivano a raccogliere i frutti dell’ottimo lavoro svolto dal team di sviluppo. La figura di Tim Schafer è da questo punto di vista emblematica: sono infatti diversi i titoli da lui prodotti – prima come membro di LucasArts e in seguito con la sua Double Fine – incapaci di raggiungere i risultati commerciali desiderati. Grim Fandango è uno dei casi più significativi: la storia narrata è di quelle indimenticabili e caratterizzata da dialoghi e personaggi di rara bellezza, ma le vendite furono tutto fuorché entusiasmanti.

Complice una campagna marketing non particolarmente efficace, unita al fatto che il titolo sia uscito nello stesso periodo di capolavori come Metal Gear Solid e Half-Life, Grim Fandango vendette appena 100.000 copie nei primi tre anni dalla sua pubblicazione. Discorso analogo per altri due prodotti firmati dallo stesso Schafer, ovvero l’eclettico Brutal Legend e il particolarissimo Psychonauts: due opere dalle qualità molto interessanti, ma purtroppo annoverate tra i maggiori fallimenti commerciali della storia dei videogiochi.

I pessimi risultati in termini di copie vendute sono poi, spesso, causa della “scomparsa” di alcuni titoli che invece avrebbero meritato molta più fortuna. Titoli che talvolta rimangono vivi e significativi solo per una piccola schiera di pubblico, ma che con una serie di circostanze possono anche sperare di tornare dopo anni all’attenzione del grande pubblico. È il caso ad esempio di Shenmue e di Beyond Good & Evil, due prodotti completamente diversi tra loro ma che condividono lo stesso destino: quello di essere idee geniali non immediatamente comprese dall’utenza, con i proventi delle vendite capaci di coprire appena i costi di produzione.

Fortunatamente entrambi stanno avendo una sorta di seconda chance, una “seconda giovinezza” videoludica che li ha ricondotti all’attenzione del pubblico. Dopo un’attesa lunga quasi due decenni, lo scorso anno è infatti finalmente uscito Shenmue 3: titolo fortemente voluto dai fan della serie di Yu Suzuki che, con la ripubblicazione dei primi due capitoli, si è aperta anche a una nuova generazione di videogiocatori. Per quanto riguarda il titolo targato Ubisoft, anch’esso sta tornando con un prequel annunciato a sorpresa durante l’edizione 2017 dell’E3 di Los Angeles. Da allora sappiamo poco o nulla di più, ma ovviamente non vediamo l’ora di poter vivere ancora una volta una nuova avventura targata Michel Ancel.

L’ultima casistica su cui andremo a indagare riguarda invece quei titoli che, pur appartenendo a brand dall’enorme popolarità, non sono riusciti a rendere come i rispettivi predecessori sono stati capaci di fare, lasciando un segno nella storia dei videogiochi. Anche qui gli esempi sono davvero molti, da Tomb Raider: The Angel of Darkness a Duke Nukem Forever, con quest’ultimo che meriterebbe un discorso a parte per quella che è stata l’assai travagliata storia dietro ai quindici anni di sviluppo.

Un altro flop celebre degli ultimi anni è senza dubbio SimCity, uscito nel 2013 e incapace anche solo di sfiorare le vette qualitative e i risultati di vendita dei capitoli precedenti: il risultato finale fu infatti un gioco mediocre, ben lontano dai rivoluzionari capolavori targati Maxis. Concludiamo poi con il titolo più recente di questa breve lista: Overkill's The Walking Dead, titolo che pur detenendo i diritti di una delle serie TV di maggior successo degli ultimi anni, ha raccolto un responso negativo e unanime da parte di critica e pubblico. L’inatteso insuccesso del gioco, figlio di uno sviluppo complesso e di una qualità finale molto più bassa delle aspettative, portò Starbreeze a una ristrutturazione interna: la compagnia dovette infatti licenziare buona parte del personale e vendere diverse licenze in suo possesso, al fine di coprire almeno in parte i costi sostenuti per dar vita al progetto.

La storia dei videogiochi, come abbiamo potuto osservare, è insomma ricca di alti e bassi: a momenti indimenticabili troviamo infatti affiancate storie di insuccessi come quelle qui raccontate, le quali spesso spingono giocatori e addetti ai lavori a domandarsi se e come le cose sarebbero potute andare diversamente. A questo nessuno sarà mai in grado di rispondere con certezza, e in parte è anche questo un interessante spunto di riflessione su come può nascere, evolversi e infine morire un prodotto d’intrattenimento. La parola passa ora a voi: vi invitiamo a raccontarci quelle che sono le vostre esperienze con i titoli citati, e a suggerirne altre scavando nella vostra memoria da videogiocatori.

Grim Fandango è disponibile su GOG a un prezzo davvero interessante, e ancora oggi è un'avventura grafica che merita assolutamente di essere giocata almeno una volta!
Leggi altri articoli