Final Fantasy VII Rebirth | Recensione: una lezione al genere
A parte qualche scivolone narrativo, Rebirth è un insieme di ottime idee di gameplay e di attività accessorie, con un ritmo sempre altissimo.
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a cura di Mario Petillo
Contributor
Abbiamo vissuto gli ultimi 4 anni in un vero e proprio regno del terrore, noi che venivamo dall’esperienza originale con Final Fantasy VII e nel 2020 abbiamo dovuto affrontare quello che è stato il finale di Final Fantasy VII Remake. Lo abbiamo vissuto perché temevamo che Tetsuya Nomura, a capo della direzione della nuova trilogia e ai tempi presente solo nel ruolo di character designer, ci volesse infilare di nuovo in una delle sue interpretazioni della vita in stile Kingdom Hearts e privarci di una delle più iconiche scene della storia del videogioco.
Ci siamo lasciati condizionare da questo timore, rimanendo miopi dinanzi a tutto ciò che stava per stagliarsi dinanzi ai nostri occhi, ossia Final Fantasy VII Rebirth, il secondo capitolo del progetto che Yoshinori Kitase ha voluto mettere in piedi per raccontare il più iconico capitolo della saga creata da Hironobu Sakaguchi. Perché Rebirth è un capolavoro, senza alcuna remora: è una lezione di Square-Enix a sé stessa, soprattutto dopo Final Fantasy XVI, specialmente in risposta a chi sostiene che la saga non riesca più a emozionare. Tenetevi forte, perché adesso vi raccontiamo cosa abbiamo vissuto a Gaia.
Il lifestream che insegue Sephiroth
Final Fantasy VII Rebirth riparte da dove avevamo lasciato il Remake: la fuga da Midgar ci conduce a Kalm, dove Cloud ha l’obbligo morale di raccontare cos’è successo con Sephiroth e perché i due sono così legati. Il flashback che ci conduce a Nibelheim, la città natale dell’ex-soldier, cela però delle incongruenze, subito notate da Tifa: problemi che emergeranno nel corso dell’avventura, soprattutto in quella che è una spasmodica ricerca del nascondiglio di Sephiroth, divenuto il nemico comune non solo dell’Avalanche, ma della Shinra stessa. Mentre, quindi, la società annuncia Rufus come nuovo presidente del conglomerato che sta mettendo in ginocchio il lifestream, l’energia del pianeta, Cloud, Tifa, Aerith, Barret e Red si preparano ad attraversare tutto Gaia, da Kalm a Corel, per seguire le tracce dell’angelo dall’unica ala e fermare quelli che sono i suoi piani.
La narrazione di Rebirth procede così come ce l’aspettavamo, condizionata dalla presenza dei Numen, presentatici alla fine di Remake: la loro costante apparizione nel mondo che visitiamo si fa sempre più incessante, soprattutto dalla metà in avanti, dal momento in cui la loro presenza inizia a essere molesta e giustificata anche da antagonisti come Hojo. Per il resto, la struttura mantiene le medesime costruzioni che Kazushige Nojima aveva progettato nel 1997 e ci ripropone qui, con l’occasione di poter dare più libero sfogo alle proprie esigenze narrative: i contenuti originali di cui aveva già parlato Testuya Nomura in passato si dipanano nelle numerosissime side quest che, con una narrativa emergente, ci permettono anche di scoprire caratteri e peculiarità dei vari personaggi del party.
L’esplorazione dell’open world, del quale parleremo a breve, ci permetterà di ascoltare considerazioni, racconti, confessioni: Barret più volte ci dirà di Marlene, Aerith avrà modo di presentarsi sempre naif dinanzi al mondo che la circonda, Tifa manterrà un tono malinconico per Midgar, per la sua vita precedente, per le preoccupazioni che la attanagliano dopo le vicende raccontate da Cloud su Nibelheim, Red sarà sempre pronto a donare degli attimi di profonda riflessione su ciò che gli è successo e gli sta succedendo. Ne emerge un lavoro di grande fino, che va a intrecciarsi in maniera degna anche con ciò che è l’elemento pregnante delle missioni secondarie, tutte ben variegate, di ampio respiro e centellinate per favorire la qualità alla quantità. Al confronto, Final Fantasy XVI impallidisce, perché di fetch quest, qui, non ce n’è nemmeno l’ombra, ma ci torneremo.
È lodevole anche il lavoro fatto per far sì che alcuni personaggi possano trovare una maggior verve espressiva rispetto all’originale: già era palese, sin dal DLC dedicatole, che Yuffie avrebbe avuto maggior spazio all’interno di Rebirth. La ninja di Wutai ha più volte occasione di mettersi in mostra con un fare ironico, divertente, molto più spontaneo di quanto possa essere Aerith: il tutto arricchito da quel bond system che Nomura ha voluto inserire per dare un tocco in più di socialità a un team che sta attraversando un pianeta intero e che è destinato a condividere piaceri e dolori, avventure e rimpianti.
Inserire un sistema del genere all’interno della struttura narrativa comporta non solo il chiedervi una maggiore attenzione nella scelta dei dialoghi, sempre multipla, ma anche all’utilizzo che farete del party e delle abilità sinergiche: anche a questo ci arriveremo, ma intanto sappiate che il bond va a mutare alcune scene di Rebirth, condizionando i rapporti di Cloud con determinati personaggi, così da giustificare anche il percorso che avete intrapreso fino a quel momento. Senza andare a mutare aspetti focali o il finale stesso, sarete fautori del vostro destino di alcune diramazioni delle vicende che coinvolgono l’Avalanche.
Inoltre, il bond vi permetterà anche di accedere a quella che abbiamo definito “sferografia”, per mutuare un concetto caro a Final Fantasy X: ogni personaggio avrà la propria, con degli skill point da spendere per ottenere nuove abilità, aumenti delle statistiche e anche sbloccare le sinergie con gli altri membri del party, così da avere una costruzione della build sempre personale e che raramente finirà per appiattire tutti, diversamente da come accadeva per Tidus e soci una volta avviata la rincorsa al cap di 255.
Di rimando è giusto sottolineare che, mentre sul party principale è stato fatto un ottimo lavoro, compresi gli antagonisti, sui personaggi originali il lavoro svolto è più dozzinale, figlio anche del fatto che non ci sarà mai una grande attenzione rivolta a essi. Lo screen time sarà sempre limitato a quella che sarà la permanenza del vostro gruppo nella zona in cui era necessario costruire un world building nuovo, della lore aggiuntiva: nessuno diventerà memorabile, nonostante i tentativi di infarcire alcuni elementi di side quest – ripetiamo – di ottima fattura. Non è chiaramente il loro scopo diventare tali, quindi siamo dinanzi a un non-problema, che però è giusto sottolineare: nel vostro girovagare, in ogni caso, troverete sempre città, ranch, fattorie, avamposti in grado di fornirvi un’idea di come possa funzionare la vita nei luoghi che visiterete, impreziositi anche dal ciarlare costante di tutti gli NPC, pronti a reagire alla vostra presenza, ma anche a portare avanti le loro vite, in un mondo che fa della tridimensionalità la sua forza.
È opportuno, però, arrivati a questo punto spendere qualche parola anche sul finale: non riveleremo nulla che riguarda il risvolto più atteso da tutti i fan di lungo corso, ma ci concentreremo su quelle che sono le problematiche dal punto di vista della scrittura. Se fino a questo punto abbiamo esaltato, infatti, la struttura e il modo in cui sono stati costruiti gli aspetti più caratterizzanti dei personaggi, non possiamo non sottolineare che la maggior problematica di Rebirth è figlia dell’esigenza da parte della direzione creativa di perpetrare storie che inseguono una qualche velata forma di modernità, ma che non riescono mai ad andare a fuoco.
Le realtà parallele, i multiversi, la possibilità di creare personaggi che siano in grado di viaggiare attraverso diverse condizioni temporali e assistere a risvolti diversi da quelli che conosciamo, i what if integrati a forza e mai realmente spiegati, sono tutti aspetti che depauperano l’ottimo lavoro svolto per la quasi interezza del progetto. Sintomo dell’esigenza mai sopita di volerci mettere del proprio, arrivando a rovinare anche dei momenti topici, che con la qualità moderna avrebbero potuto davvero donarci una soddisfazione di grande portata. Non andremo più nel dettaglio, ma vi basti sapere che se da un lato comprendiamo l’esigenza di scrivere un nuovo Final Fantasy VII, il Final Fantasy VII di Yoshinori Kitase e Tetsuya Nomura senza Hironobu Sakaguchi, dall’altro lato non possiamo accettare che la vicenda di Cloud venga così banalizzata con un colpo di coda inadeguato alla qualità narrativa mostrataci per la maggior parte del gioco.
La Materia che conquistò Gaia
Il combat system di Rebirth riparte là dove si era fermato Remake, in piena continuità. Ne avevamo già parlato ampiamente, così da rasserenare chi temeva che ci potesse essere una derivazione da Final Fantasy XVI: pericolo scongiurato, oltre a non esser mai stato nemmeno preso in considerazione come aspetto. Si riparte dalla pausa tattica, dall’ATB, dalle abilità e da quel misto action che permette di schivare, parare e contrattaccare, con l’aggiunta delle già citate abilità sinergiche. Da un lato vanno a impreziosire tutto ciò che riguarda la gestione del party, ma dall’altro lavorano anche in funzione dello spingere il giocatore a non fossilizzarsi solo ed esclusivamente su un unico combattente.
Posto Cloud come leader, il rischio potrebbe essere quello di continuare ad attaccare solo con lui, lasciando i restanti due membri del party in gestione all’IA: in realtà l’intero sistema di gioco rallenta di molto il riempimento della barra ATB dei due passivi, spingendovi così a una continua turnazione, ma allo stesso tempo per attivare le abilità sinergiche sarà fondamentale sfruttare l’ATB di chi vi sta affiancando in battaglia. L’esempio più calzante vi spinge a prendere in analisi un’abilità tra Cloud e Aerith, la cui attivazione richiede l’utilizzo di quattro abilità da parte del primo e tre da parte della seconda: per poter arrivare, quindi, a quella che sarebbe l’abilità sinergica che volete usare, dovrete per forze di cosa fare in modo che l’ATB di Aerith produca le azioni richieste, impedendovi di fossilizzarvi su un solo personaggio, come detto poc’anzi.
Una strategia fondamentale che non lascia indietro nessuno, perché in diverse occasioni, nel corso dell’avventura, vi ritroverete con il party limitato da esigenze di game design, pensato proprio per dare libero sfogo a chiunque. Così non lascerete mai uno dei membri dell’Avalanche senza materia, con l’equipaggiamento arretrato o in debito di HP: dovrete sempre essere pronti all’esigenza di cedere il posto a Barret, a Tifa, a Yuffie come leader del vostro party. Tra l’altro avrete occasione anche di – soprattutto nei panni della ninja – districarvi in sessioni di esplorazione che esaltano le – a dir la verità scarne – componenti platform di Rebirth, che vuole porre l’accento su quelli che sono i diversi approcci all’avventura. La varietà, a supporto del ritmo, sarà sempre alta, proprio per l’esigenza di snellire sessioni troppo monotone e darvi l’occasione di testare nuovi approcci all’avventura: tra rampini, shuriken, sessioni su una monorotaia, e i numerosissimi minigiochi del Gold Saucer avrete di che sbizzarrirvi, senza mai annoiarvi durante la vostra sessione, che oscillerà tra le 60 e le 90 ore, a seconda di quanto vorrete essere capillari nel completamento.
A supporto di quelle che sono le novità arriva anche il Trasmutatore, un sistema di crafting interno al menù e sempre accessibile che vi permetterà di costruire non solo oggetti curativi, ma anche accessori e oggetti utili per le missioni secondarie. L’intreccio che le side quest costruiscono è davvero lodevole, perché sin dalla prima area open avrete modo di apprezzare il modo in cui tutte le azioni da svolgere sul territorio sono inanellate tra di loro, spingendovi al rintracciare oggetti sepolti con il vostro Chocobo alla realizzazione, poi, di ciò che serve per completare un incarico ottenuto presso la bacheca della città o da un NPC. Con il Trasmutatore attiverete un altro sistema di crescita del personaggio, con Cloud che acquisirà punti esperienza ogni volta porterà a termine una prima creazione: più sarà alto il vostro livello, più oggetti potrete sbloccare, con la possibilità anche di vedere in anticipo ciò che arriverà nella vostra lista delle ricette al livello successivo.
Un ottimo modo per incentivare il giocatore a non lasciare nulla a terra e aspirare qualsiasi oggetto con la comoda pressione del tasto triangolo (anche quando siete in groppa al Chocobo), così da poter avere una vera e propria riserva infinita di materiale a disposizione, quando necessario. Tra l’altro, il crafting prevede anche la possibilità di migliorare i propri oggetti dopo averli acquistati presso un qualsivoglia negozio che troverete in città: le botteghe saranno anche in grado di recuperare ciò che non avrete rintracciato nel corso della vostra esplorazione; quindi, nel caso in cui doveste lasciare indietro uno scrigno potrete agilmente recuperare spendendo i vostri guil, distribuiti in maniera molto parca. Così come, d’altronde, gli oggetti curativi stessi, il che spinge sempre più in alto nella classifica delle motivazioni sensate il Trasmutatore, perché anche a quella che è la difficoltà intermedia, Rebirth è in grado di richiedere una grande attenzione da parte vostra: la curva di difficoltà andrà via via a diventare sempre meno ripida nel caso in cui abbiate deciso di inseguire la strada del completamento al 100% di tutte le regioni, ma se sceglierete la difficoltà adattiva, ossia quella in cui gli avversari seguono il livello di Cloud, preparatevi a qualche dolore di troppo.
La strada per Corel
Arriviamo, adesso, a sviscerare l’open world. Rebirth divide l’intera mappa di gioco in diverse aree, tutte molto vaste e percorribili in lungo e in largo con il vostro Chocobo. Si parte da Kalm, con le sue praterie che avevamo già scandagliato nella nostra prova di un mese fa, per poi passare a Junon, Costa del Sol, Corel e così via. Ogni zona mette a disposizione un buon numero di attività, cacce, torri di segnalazioni, cristalli del lifestream e templi degli Esper. Andiamo in ordine e presentiamo, dunque, tutti questi stimoli: gli incarichi sono le già tanto nominate side quest fino a questo punto, figlie di un lavoro di fino che spesso ci metterà dinanzi all’esigenza di rintracciare fiori per intrecciare delle corone, recuperare oggetti sepolti per aggiustare dei carretti, individuare delle orme con una speciale torcia che ci verrà fornita per l’occasione e così via, all’inseguimento di quelle che sono le esigenze espresse dall’NPC di turno.
Per quanto riguarda le cacce, saranno indicate dallo stakanovista Chadley, sempre pronto a esserci d’aiuto col suo simulatore di battaglia e con le sue materie potenziate: ogni regione avrà le sue e ognuna di esse avrà delle richieste da portare a termine per poter ottenere la massima ricompensa possibile, con anche la possibilità di ripeterle fino all’ottenimento del risultato preferito. Se le altre attività sono di facile comprensione, i templi degli Esper meritano qualche parola in più, così da poter introdurre anche il lavoro svolto da Rebirth strizzando l’occhio al rhythm game: Chadley avrà a sua disposizione un pool di invocazioni che potremo sbloccare solo dopo aver sconfitto gli Esper in una battaglia privata dell’utilizzo degli oggetti, ma potrete andare a depotenziare il vostro avversario così da aumentare le vostre chance di vittoria.
Tale possibilità si sbloccherà andando a rintracciare i templi disseminati nelle varie zone di appartenenza dell’Esper selezionato e applicandovi in una ripetizione di una sequenza di tasti ben specifica, che vi sarà mostrata solo una volta: seguendo il ritmo, le pause e tutto ciò che vi può aiutare, dovrete replicare la sequenza – gradualmente sempre più ostica – per ottenere un debuff del vostro avversario nella battaglia del simulatore.
Abbiamo citato un assist per i rhythm game perché Rebirth in più occasioni ci mette dinanzi all’esigenza di testare le nostre competenze musicali. Non solo durante la parata sull’ammiraglia di Junon, ma anche con i pianoforti disseminati nel corso del gioco: dopo quello a casa di Tifa nel flashback di Nibelheim, potremo recuperare spartiti in giro per il mondo e adoperarci con il pianoforte, seguendo quelle che saranno le indicazioni sulle note. Il pianoforte sarà suonato con l’ausilio delle due levette analogiche, che ci aiuteranno a comprendere cosa suonare e come: il minigioco è complesso, per niente scontato, e metterà a dura prova le vostre capacità e riflessi, spingendovi anche a recuperare determinati oggetti in caso di ottenimento di buoni risultati. La stessa parata, vedrete, è realizzata con una finezza registica non da poco, ancora una volta insistendo sulle note della colonna sonora, alla quale arriveremo a breve.
Ogni area avrà il proprio Chocobo, tra l’altro, così da rendere variegato l’approccio anche al mondo che vi circonda: nelle praterie fuori Kalm vi basterà andare al trotto con la versione base del pennuto giallo, mentre a Junon avrete bisogno di arrampicarvi sui muri scoscesi, a Costa del Sol dovrete beneficiare di un olfatto molto potenziato e così via, avendo piena libertà di nuotare, saltare, planare e tutto ciò che vi può aiutare nell’andare a sgomberare qualsiasi area da richieste lasciate in sospeso. Non mancheranno, poi, altri mezzi di trasporto, oltre al già comunicato Tiny Bronko e il monopattino elettrico di Costa del Sol, al quale tra l’altro sarà legato un ulteriore minigioco. D’altronde la spiaggia di Corel è la patria – insieme al Gold Saucer – delle attività secondarie, tutte pronte a mettere in scena un’ampia proposta di attività che vedranno protagonisti tutti i membri del party.
I fan di Rocket League sono avvisati, ma anche quelli del tiro al bersaglio in stile Resident Evil 4 Remake, fino a chi vive della necessità di rimettere in ordine tutto ciò che viene sparpagliato in giro o chi vuole divertirsi con la propria macchina fotografica sfruttando la molto dettagliata photo mode. Il Gold Saucer, invece, vi permetterà di recuperare anche una buona dose di fan service, là dove potrete non solo ripetere alcune avventure vissute in Remake, ma anche gestire dei modelli 3D dei personaggi proposti nella versione originale di Final Fantasy VII. Ce n’è per tutti i gusti, davvero: Rebirth non vi annoierà mai nell’offerta di ritmo, intensità e varietà.
Ultimo cenno, importante, sia per Fort Condor, che vi terrà impegnati – con un tasso di difficoltà anche molto alto – durante al vostra esplorazione di Junon mettendo in piedi un affascinante tower defense che rischierà di togliervi non poche ore di vita e di tempo libero, e con Regina Rossa, il nome italiano di Queen’s Blood. Ne avevamo già parlato nel corso del nostro hands on, ma ci torniamo ora in maniera più corposa per segnalare che il gioco di carte creato appositamente per Final Fantasy VII Rebirth acquisisce, a differenza di quanto temevamo un mese fa, un suo senso e un suo divertimento, coadiuvato anche dalla presenza di una lore che si svilupperà di partita in partita: avrete modo di partecipare a dei tornei, a dei formati diversi da quello con un mazzo costruito in precedenza, così da rendere variegata anche la proposta. Inoltre, ogni vittoria vi permetterà di aggiungere una carta rara al vostro deck e di acquistarne di nuove presso le varie botteghe cittadine: non esisterà mai una strategia specifica per vincere, in pieno stile TCG, così da soddisfare tutte le esigenze dei giocatori.
La struttura prevede che su una scacchiera formata da tre righe dovrete riuscire a schierare quante più carte possibili per raggiungere il punteggio più alto dell’avversario, tenendo d’occhio il loro valore mana e quelle che sono le abilità di ognuna: dal debuff delle creature nemiche al potenziamento di una casella presso la quale schierare una carta mana superiore a uno e così via. Il sistema sarà di facile comprensione e imparare a gestire il tutto vi darà non poche soddisfazioni. Non vi diremo mai che rispetto al Triple Triad siamo dinanzi a qualcosa di altrettanto diverte, ma è indubbio che la volontà di proporre una commistione di TCG e scacchi è ben riuscita al team, dandoci un ulteriore svago nei momenti in cui il tempo deve avanzare e noi non possiamo fare altro che attendere. Anche la dissonanza ludonarrativa, così, è sana e salva.
Infine, c’è da tener presente che Rebirth, per potervi ricompensare con il platino, vi spingerà a portare a termine una seconda run, proprio come aveva fatto Remake e così come ha deciso di fare Naoki Yoshida con Final Fantasy XVI. La struttura prevede lo sblocco di una difficoltà aggiuntiva, oltre delle migliorie dal punto di vista dell’approccio al gioco: potrete saltare alcuni dei segmenti un po’ più prolissi, così come automatizzare il recupero degli oggetti sulla mappa, fino anche a stabilire in che modo quelle che erano scelte dettate dal bond possano capitare nel corso dell’avventura: insomma, molte più azioni scriptate, per il bene di velocizzare e ridurre al minimo l’impegno da parte del giocatore, che potrà andare a spron battuto verso la battaglia finale, ovviamente senza l’ausilio degli oggetti, proprio come accadeva in Remake.
L’espediente ci è sembrato ridondante, soprattutto perché non era necessario allungare un’esperienza già di per sé in grado di tenerci impegnati dalle 70 alle 90 ore. Inoltre, la rincorsa all’ottenimento di tutti i trofei passa anche dall’esecuzione perfetta di tutti i minigiochi, un impegno che abbiamo trovato snervante in più di un’occasione e che, a conti fatti, potrebbe non valere la candela. Va da sé che sono considerazioni a latere che non influiscono in alcun modo sulla valutazione finale.
La spada che scalfì l’angelo
Dal punto di vista tecnico, Rebirth raggiunge delle altissime vette di qualità, nonostante la scelta confermata da Naoki Hamaguchi di rimanere ancorati all’Unreal Engine 4. Una scelta che era già stata spiegata e motivata nemmeno un mese fa, per sottolineare l’esigenza di mantenere una continuità con Remake e soprattutto per evitare di impelagarsi in un engine non ancora del tutto finito, come Unreal 5, anche per il terzo capitolo del progetto remake, già in sviluppo. Si esaltano i modelli, le espressioni facciali, le realizzazioni degli scenari, da quelli più cittadini che brulicano di NPC e di modelli sempre in movimento, fino alle vaste lande dell’open world, dove incontreremo non solo avversari da battere, ma anche una fauna che caratterizza i luoghi in cui ci troveremo. A voler individuare anche un punto di sofferenza da parte della realizzazione tecnica, in diverse occasioni l’illuminazione di determinati ambienti al chiuso si è dimostrata non al passo con le esigenze, consegnandoci in ambienti bui all’improvviso, quasi come se le luci non fossero state aggiunte in determinati ambienti. Niente che una patch correttiva non possa mettere a posto.
Ma è dal punto di vista musicale che Rebirth riesce a esaltarsi ulteriormente: la colonna sonora, ripresa dall’originale di Nobuo Uematsu, nella sua versione più orchestrale e aggiornata ci dà un accompagnamento avvolgente a tutte le nostre azioni, alternando le tracce forse a volte in maniera troppo drastica, senza dissolvenze, a seconda di ciò che faremo, dall’esplorazione a piedi all’intervento del Chocobo, fino agli scontri. Inoltre, la scelta di rendere la fanfara della vittoria diegetica, cantata spesso da un membro del party dopo l’aver portato a compimento una battaglia, è ancora più affascinante come impostazione. L’inserimento, tra l’altro, dei numerosi momenti musicali da rhythm game come detto poc’anzi rende ancora più accorta la lavorazione dal punto di vista musicale di Rebirth, che non dimentica l’importanza che ha avuto la colonna sonora e l’opera di Uematsu in questi 30 anni di carriera, non solo per la serie ma per il medium tutto.
Ottimo anche il doppiaggio in inglese, sebbene le discrepanze – così come accadeva per Remake – con i sottotitoli in italiano sono impressionanti, spesso del tutto scollate da ciò che accade. Non c’è un consiglio preciso da darvi su come approcciare l’esperienza, perché da un lato avrete un ottimo doppiaggio inglese, che esalta tutti i personaggi, a partire da Barret e i suoi modi da ghetto, ma dall’altro – a meno che non siate ben ferrati con l’inglese – in assenza dei sottotitoli in italiano potreste compromettere la vostra esperienza. Le differenze saranno palesi alle vostre orecchie e dovrete scendere al compromesso di trovare una soluzione adeguata, che forse risiede nel giocare Rebirth con l’audio in giapponese e i testi in italiano.
Voto Recensione di Final Fantasy VII Rebirth
Voto Finale
Il Verdetto di Tom's Hardware
Pro
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Una narrativa emergente che aumenta la qualità dei personaggi
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Side quest sempre interessanti, mai banali, zero fetch quest
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Una grande capacità di tenere alto il ritmo
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Poche ma significative aggiunte al combat system
Contro
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Troppe discrepanze tra doppiaggio e testi
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L'ultimo capitolo è un classico del dolce stil Nomura