Elden Ring non è il futuro degli open world

Elden Ring è qualcosa di completamento inedito nel panorama open world, ma dubitiamo riuscirà ad influenzare il mercato tripla A.

Avatar di Antonio Rodo

a cura di Antonio Rodo

Elden Ring ha rubato totalmente la scena e catalizzato l’attenzione di tutti, dagli appassionati più incalliti a nuovi e curiosi interessati pronti ad aspettarsi il nuovo Skyrim. Nonostante l’enorme popolarità, non sono stati in tantissimi ad aver raggiunto la fine del gioco, come testimonia anche la percentuale dei trofei Xbox e PlayStation, ma c’è una cosa che indipendentemente dal finale sono certo avranno notato tutti, ovvero l’assenza pressoché totale di icone ed espliciti suggerimenti legati alla progressione del gioco, sia delle aree primarie, sia delle aree secondarie. È una caratteristica davvero affascinante nonché inedita nel panorama open world, che mi ha spinto a macinare ore e ore di contenuto, a scoprire centinaia di luoghi senza che la mappa mi indicasse per certo dove andare. Sì, è vero, la "Grazia", il punto di salvataggio di Elden Ring, indica la direzione corretta, ma solo per un tratto brevissimo e solo per quanto concerne l’avanzamento del contenuto principale.
 

Elden Ring, quindi, a differenza di altri titoli, dagli Assassin’s Creed a Horizon Forbidden West, funziona senza un diario delle missioni, senza un HUD o una mappa particolarmente densi di informazioni. Per queste motivazioni, legate ad un level design da dieci su dieci, il migliore mai visto in ambito open world, l’ultima fatica di Hidetaka Miyazaki è un nuovo modo di intendere il videogioco senza barriere. Nonostante le lodi, però, sono quasi certo influenzerà pochissimo le grandi produzioni, e nel corso di questo articolo andrò a spiegarvi perché.

Elden Ring, un caso più unico che raro?

Cominciamo dalle basi, sviluppare l’open world di Elden Ring è un’operazione molto complessa perché richiede un attento sviluppo della mappa con tanto di punti di riferimento attraverso i quali il giocatore può orientarsi e sentirsi, nel giro di qualche passaggio, dominatore dell’ambiente. Non basta rimuovere semplicemente gli obiettivi a schermo o scarnire al massimo l’HUD; no, serve costruire il gioco e l’intero mondo inseguendo l’idea sin dal principio. Parliamo di uno sviluppo talmente complicato da realizzare e rischioso da gettare nelle mani del pubblico che, probabilmente, faticheremo tantissimo a vedere progetti convergere verso questa direzione. Anche perché, a pensarci, è quello che ci ha insegnato la recente storia del nostro medium: in ambito open world, ad aver influenzato prepotentemente il mercato sono stati progetti a là Assassin’s Creed, non di certo Zelda Breath of the Wild o Red Dead Redemption II, due pesi da novanta assoluti ma rimasti dei casi abbastanza isolati.

E non citatemi Immortals Fenyx Rising, un titolo che, più che somigliare a Breath of the Wild, altro non è che un Assassin’s Creed Odyssey in chiave umoristica e fumettosa, con l’aggiunta della stamina durante le arrampicate e la macchina volante di Assassin’s Creed II. Stop. Dal mio punto di vista, se per ogni titolo vagamente libero o che introduce la stamina durante l’arrampicata dobbiamo tirare in ballo Breath of the Wild, cominciano a venirmi seri dubbi sulla comprensione del pubblico nei confronti del gioco Nintendo. Le peculiarità dell’ultimo Zelda sono l’attento sviluppo della mappa, la sfida costante con l’ambiente e l’estrema interazione con il mondo grazie alla fisica, ai poteri da utilizzare e al modo in cui elementi quali fuoco o ghiaccio interagiscono con il terreno. Avete trovato questi elementi in Immortals Fenyx Rising? Io no.

A voler esser sinceri, l’unico titolo davvero ispirato a Breath of the Wild, con le dovute e significative differenze, è l’ultima opera di Hideo Kojima, Death Stranding, la quale propone una sfida costante con l'ambiente e mette al centro di tutto, come core gameplay, il viaggio verso la meta, realizzando in modo accurato il level design. Certo, a dirla tutta, è ciò che il buon Hideo ha sempre provato a fare, sin dai tempi di Metal Gear Solid V, ossia creare un mondo che supporti il gameplay, non un mondo all’interno del quale lasciarsi prendere dal senso di scoperta o dalle opportunità di svago. Death Stranding, quindi, potrebbe essere stato un passo in avanti in quella direzione, partendo da MGS V, ma fatico molto a non trovarci estreme influenze con Breath of the Wild. 

Dall'altra parte abbiamo Red Dead Redemption II, un progetto talmente ambizioso, costoso e difficile da utilizzare come base per un futuro open world che, sostanzialmente, proprio come Zelda, è rimasto un caso isolato.

Ispirazione e piccole influenze

Arrivati a questo punto molti di voi potrebbero darmi torto e pensare che titoli come Elden Ring o Immortals Fenix Rising abbiano in realtà preso grande spunto dall’open world Nintendo. Per quanto mi riguarda, il fatto che ci siano innegabili influenze non significa che gli sviluppatori si siano lasciati ispirare al 100%. Da giocatore abbastanza incallito di open world e onnivoro dell’intero mercato, ciò che ho sempre notato in esperienze come Assassin’s Creed Odyssey o Valhalla, oppure in Horizon Forbidden West, è l’inserimento di meccaniche piuttosto inedite per questi contesti, probabilmente ispirate dai due pesi da novanta citati prima, ma pur sempre delle introduzioni da affiancare ad una formula di gioco già preconfezionata, la più commerciale e adatta ad un pubblico di massa.

In AC Odyssey, ad esempio, Ubisoft ha inserito la possibilità di giocare l’intero titolo minimizzando le informazioni a schermo e lasciando al giocatore la possibilità di scoprire gli obiettivi come fosse un avventuriero. Un’introduzione semplice di primo acchito ma che ha in realtà scosso l’intero titolo, dal momento che tutti i dialoghi presentano delle opzioni per fornire al giocatore gli indizi necessari alla comprensione della prossima meta. AC Valhalla ha fatto lo stesso ma senza la stessa attenzione, fregandosene di inserire indicazioni all'interno dei dialoghi, banalizzando l’introduzione di questa modalità di esplorazione. 

Dunque, che ci siano stati piccoli passi o tentativi di muoversi verso un’altra direzione è indubbio, e il mio era soltanto un esempio; potrei citarvi anche la pseudo scalata libera di Forbidden West o l’ala scudo, che altro non è che la paravela di Breath of the Wild. È questa la direzione che stanno prendendo gli open world, è chiaro come il sole: sequestrano un paio di idee e meccaniche qua e là, ma le inseriscono all’interno delle loro esistenti e già ben consolidate strutture e formulette. Per quanto mi piacerebbe molto assistere a delle operazioni del tutto nuove o a case di sviluppo che si lasciano ispirare maggiormente da titoli quali Red Dead Redemption 2, Zelda Breath of the Wild o Elden Ring, va bene anche così.

Accetto con gusto esperienze più lineari e guidate, a patto che aumenti sensibilmente anche la qualità dei contenuti. Se c’è una cosa che proprio non sopporto nella stragrande maggioranza di giochi a mondo aperto è l’estrema dilatazione del racconto e la sbagliata categorizzazione delle attività. O meglio, il fatto che indipendentemente dall'attività selezionata, sia essa principale, secondaria o terziaria, solamente di rado si ha l’idea di giocare realmente un contenuto studiato con criterio, realmente primario o secondario nelle intenzioni e non inserito per far numero e allungare la longevità. Questo vorrei dai prossimi open world Sony e Ubisoft, non necessariamente quanto fatto da Elden Ring. Horizon Forbidden West, tanto per citare un nome recentissimo, è un buon passo verso questa direzione. A tal proposito, spero vivamente che anche i prossimi open world seguano a ruota il lavoro fatto da Guerrilla e lo migliorino.

Quindi Elden Ring non è ispirato a Breath of the Wild?

Hidetaka Miyazaki è un grandissimo appassionato di Zelda, non ne ha mai fatto mistero. A tal proposito, sono certo che un titolo come Demon's Souls non sarebbe mai esistito senza l'amore nei confronti dell'IP Nintendo. Ciononostante, Elden Ring si discosta parecchio da Breath of the Wild, puntando su un'esperienza completamente differente. I punti di contatto, se così vogliamo definirli, risiedono tutti nella libertà di esplorazione concessa all'utente, ma nulla più. L'approccio con l'ambiente, ad esempio, differisce moltissimo: laddove Zelda propone una sfida anche ambientale, con tanto di possibilità di interazione con l'ambiente, Elden Ring si limita allo scontro con i nemici.

Via i paragoni forzati, dunque, l'ultimo lavoro di From Software è una nuova esperienza, un percorso cominciato e andato storto con Dark Souls II, portato finalmente a compimento. Certo, la formula non è ancora perfetta, è possibile concedere ancora più liberta al giocatore, inserire un diario all'interno del quale annotare alcuni appunti, e via discorrendo. Ma il percorso è quello giusto e non vediamo l'ora di vedere Miyazaki e compagni nuovamente all'opera.

Leggi altri articoli