Elden Ring ha uno dei migliori open world degli ultimi anni

Elden Ring è l'ultima creatura di FromSoftware ma, a differenza delle passate creazioni, si propone in una veste open world atipica.

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a cura di Ecletogiuseppe Mucciacciuoli

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Dal 25 febbraio, e chissà ancora per quanto altro tempo, il mondo dell’intrattenimento ha gli occhi puntati su Elden Ring. Lo spavaldo titolo nato dall’unione di due menti brillanti del calibro di Hidetaka Miyazaki e George R. R. Martin trasuda di baldanza ed epicità. Al netto di qualche problema che si sta risolvendo nelle ultime patch, il gioco ha riscontrato un successo senza precedenti su molte delle piattaforme principali. Tra record di numeri Steam e console, ci si ferma a discutere anche di polemiche, alcune sacrosante, che meritano un approfondimento per essere soverchiate.

Ci si confronta sull’innesto dell’open world nella formula tipica dei titoli soul e si accende la diatriba sulla componente fantasy proposta. Oggi cercherò di offrirvi un punto di vista, condivisibile o meno, sulle dinamiche che rendono Elden Ring un’opera mastodontica e che andrebbe spolpata fino all’osso. Vi ricordo che se volete approfondire le varie caratteristiche del gioco, potete fare un salto nella nostra recensione di Elden Ring, buona lettura!

La prima fatidica domanda è lecita ed inevitabile: la proposta della variabile open world ha, in qualche modo, snaturato l’essenza stessa perpetuata da FromSoftware? Storicamente le creazioni dell’azienda giapponese hanno goduto di grande attenzione e affetto da parte del pubblico. Il level design proposto è sempre stato squisito e ben congegnato, sebbene circoscritto ad universi narrativi chiusi. Siamo stati abituati a setacciare ogni angolo ed anfratto delle regioni, cercando muri invisibili, oggetti mitici e quale NPC detentore di stravaganti quest. Mi accodo al ragionamento di chi idealizza l’esplorazione di titoli di questo stampo come esempi di un sistema organizzato e ben delineato.

Ciò vuol dire che è molto più semplice e condensato, talvolta, approcciando zona per zona, sapendo di non poter valicare dei confini in grado di disorientarci. In passato siamo stati abituati perlopiù a punti nevralgici, da cui si snodavano diverse regioni o dungeon da esplorare, ma che facevano capo a un piccolo ritrovo. In Elden Ring, invece, si propone una rottura dei vincoli spaziali, presenti nelle storie del passato, ingolosendo il fruitore con una landa aperta e brulicante di curiosità. Se da un lato comprendo il bisogno di alcuni utenti di delimitare e tracciare con più sicurezza ogni loro passo, vi posso assicurare che l’open world è attrezzato anche a quest’evenienza.

La presenza di segnalini e piccoli orientamenti direzionali aiuta molto a delimitare i punti focali dell’esplorazione, così come le regioni mantengono una loro forte identità e cura anche se geograficamente confinanti. Sebbene questi tracciamenti vi siano da sempre negli open world, questa volta sono stati raffinati. L’organizzazione della mappa e l’efficienza del viaggia rapido in più punti sono elementi magari semplici a colpo d’occhio, ma che trasmettono da subito l’esigenza di valorizzare ogni piccolo rudere o segreto nell’open world. Perciò il terrore di perdersi qualcosa può anche esistere, ma ci sono strumenti adeguati per contrassegnare e delimitare le aree che richiedono uno sopralluogo più approfondito. Mappa alla mano e via verso i tesori.

Un altro aspetto da non sottovalutare che ha fatto storcere il naso a seguito dell’introduzione dell’ingrediente open world in Elden Ring è la potenziale dispersione delle attività. In sede di giudizio, ogni opera che si preannuncia come ariosa e portatrice di mondi massicci deve far fronte a questo problema. Cavalcare e correre da un lato all’altro della mappa può aver senso solo se questa è in grado di spingere il giocatore oltre il visibile. FromSoftware ha, in questo caso, ribaltato una tendenza di mercato che aveva offuscato alcuni dei motivi di nascita di questa componente ludica. L’industria videoludica, fatta eccezione per rari casi, ha proposto per anni una formula open world estremamente guidata ed intuitiva. Regioni così vaste che avvertono già il player su cosa sta per succedere e piccoli innesti che lo spingono - quasi per inerzia - a spingersi oltre.

Una formula che negli anni si è cristallizzata ed è satura di vere e proprie novità, ma che senza dubbio rimane una fonte di felicità per schiere di appassionati. La dispersione di attività secondarie che dovrebbero rendere vivace e stimolante il mondo di gioco è un parametro da considerare sempre. Il tempo del giocatore è assolutamente da rispettare e la creatività si manifesta anche nella condensazione degli obiettivi secondari e la loro diversificazione. FromSoftware è riuscita però a forgiare un mondo ben diversificato, pieno di sorprese e senza vere e proprie bussole. Esplorare l’interregno non è solo goduria visiva, ma è anche uno stimolo continuo. Nell’equazione del successo di Elden Ring il senso di smarrimento, che preannuncia lo stupore, è l’elemento che ha dovrebbe saltare subito all’occhio.

Siamo abituati ad open world che ci guidano con disarmante semplicità, quindi trovarsi in un contesto di assoluta libertà, ci confonde e ci affascina. Questo è il motivo che rende l’opera doverosa di essere approfondita, anche perché si tratta sicuramente di una prova di coraggio atipica. L’assenza di bussola però potrebbe trarci in inganno. Cosa ci garantisce che non sia un mero elemento di pseudo difficoltà? La distribuzione dei punti di interesse nelle varie regioni è la prova del successo principale. Elden Ring, ormai è chiaro a tutti, sa stupire dietro ogni angolo ed ha al suo interno una piccola fiaba incastonata a note fantasy. Ci sono piccoli risvolti inaspettati in posti che non pensavi neanche avessero un vero significato.

Quando un open world sa far sgranare gli occhi e ti spinge con il profumo della curiosità, e non del solo solo completismo, allora occorre fermarsi ad ammirarlo. L’ultimo grande topic è invece stato scomodato dai detrattori dell’open world, puntando il dito sulla carenza di uno storytelling ambientale accattivante. La discussione volge lo sguardo ai limiti dell’open world e l’incapacità intrinseca di questo sistema di valorizzare i singoli elementi ambientali. Le opere di FromSoftware sono anche passate alla storia per saper raccontare tramite gli scenari, l’architettura e altre piccole scene in game, storie complesse e profondamente ispirate. Un’arte che attinge a piene mani dal pathos e che possiamo descrivere come una silenziosa narrativa fatta di contemplazione.

Il pericolo gridato da molti risiede nella preoccupazione che tutte quelle sfaccettature che rendevano affascinanti i paesaggi e la lore, potessero essere oscurate dal mare magnum proposto - e imposto - dalle vaste regioni. Il lavoro e la mano invisibile di George R. R. Martin, però, si notano in tutto. Molti luoghi scenograficamente lussureggianti urlano fantasy da tutti i pori. Le armature raccontano la storia dell’interregno e sono tratti lampanti di quello che, a tutti gli effetti, sembra un eco a Westeros. La contaminazione creativa dell’immaginario dello scrittore è ben più che una semplice speculazione. Lo vediamo in alcuni oggetti, così come nella raffinata mappa di gioco.

Il genio dietro Game of Thrones non ha fatto altro che ampliare lo storytelling ambientale dell’azienda, seminando l’esplorazione con piccoli guizzi di puro fantasy. Tutto il mondo di gioco ha qualcosa da raccontare e lo fa in un tono solenne, come se stesse per straripare fuori da un libro cavalleresco. Se un tempo l’ambiente raccontava l’impossibile con semplici oggetti statici, ora il dinamismo di possenti creature e soldati mossi dalla guerra, sono diventati lo specchio di un mondo di gioco vivo e unico. Una storia in tumulto e un’altra impresa che attende di essere scritta.

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