Dredge | Recensione - A pesca con H. P. Lovecraft

Pesca in alto mare, personaggi strani, misteri inquietanti, esseri indicibili e poteri oscuri: la recensione di Dredge

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a cura di Fabio Canonico

Dredge è, principalmente, un gioco di pesca. Si esplora un arcipelago variopinto e variegato, che un'apprezzabile direzione artistica punteggia di luoghi accattivanti ed evocativi, e quando si trova un banco di pesci si utilizzano le numerose attrezzature a disposizione per tirarne su quanti più possibile; è anche un gioco che concede un discreto spazio alla libertà, perché la storia procede in momenti precisi, che il giocatore stesso attiva, e tra l'uno e l'altro si può fare quel che si vuole; ed è, infine, una inquietudine lovecraftiana, che come da canone della letteratura dello scrittore di Providence s'insinua sotto la pelle.

Sembra, questo, un insieme assai affascinante, capace di unire una ludica semplice, ma soddisfacente e assuefacente, ad atmosfere misteriose e allucinate. Ne abbiamo provate decine e decine, di declinazioni videoludiche della pesca, ed è sempre a fatica che ce ne stacchiamo; succede anche in Dredge, perché tra la ricerca di nuovi punti, l'atto stesso della pesca, affidato a semplicissimi minigiochi, e la scoperta delle specie ittiche proprie di ogni zona, si genera un loop dal quale è davvero difficile sottrarsi. Allo stesso tempo, la progressiva comparsa degli elementi legati al soprannaturale e la progressione di una storia che ha chiaramente nell'inquietante e nel disturbante la propria cifra stilistica e contenutistica sono quanto maggiormente definisce l'identità del gioco.

Tutto questo è vero, ma solo fino a un certo punto però, quando già sul medio termine di una produzione che comunque non spicca per longevità (è possibile arrivare ai titoli di coda in circa otto ore, senza correre, ma anche spenderne qualcuna in più qualora si volesse completare ogni attività secondaria) iniziano a venire fuori i limiti di un'esperienza che rimane sempre solida e apprezzabile, ma dalla scarsa profondità.

Cosa c'è in fondo al mare?

Tanto per fare un paragone marittimo, Dredge è un gioco che naviga sereno a pochi metri dalla riva, ma che mai si avventura sopra le fosse oceaniche, quelle che promettono di custodire i segreti degli oceani, che tanta paura ma anche tanto fascino suscitano. Sono state le mie prime ore di gioco quelle più interessanti e appassionanti, e non è di certo un caso. Sono quelle nelle quali l'azzeccatissima unione tra un'ambientazione affascinante, delle meccaniche di gioco immediatamente assimilabili e delle atmosfere così particolari funziona al meglio.

Le prime battute di pesca servono a prendere familiarità con gli attrezzi del mestiere e scorrono senza problemi, si fa qualche soldo, necessario per ripagare un certo debito, e alla sera si rimane all'attracco, perché ci hanno avvertiti che non è opportuno navigare di notte. D'altronde la prima visione di quell'inquietantissimo pilastro di luce rossa che illumina un punto del mare quando calano le tenebre già suggerisce che non sia il caso di farlo.

Poi, nelle reti si iniziano a trovare pesci deformi, orripilanti, la necessità di tirare su un po' più di soldi fa rimanere in mare anche quando si fa buio, quando si manifestano fenomeni disturbanti, si fa la conoscenza di personaggi che mettono a disagio: insomma, inizia un crescendo nel quale gli appassionati del genere non possono che crogiolarsi, tra l'eco di antichi miti, creature inspiegabili che si manifestano, criptici messaggi e, più in generale, un vasto campionario largamente rispondente a quello della letteratura di riferimento, tra H.P. Lovecraft, Edgar Allan Poe e affini.

Quando ci si aspetterebbe un cambio di passo, però, questo non avviene. L'intreccio principale, soprattutto, non si fa più denso e appassionante, e si arriva a uno dei due possibili finali molto più scarichi di come si era partiti. Similmente, ci si aspetterebbe che questo mondo di gioco così ben impostato custodisca qualcosa di più, ma non è così: ci si spende per trovarne e risolverne i segreti, ma se alcuni sono davvero interessanti la maggior parte delle volte la ricompensa non è all'altezza dello sforzo. Si vorrebbe essere pagati in storie, in emozioni, si ricevono spesso oggetti.

Un motore affidabile, ma un po' balbettante

E simile è il discorso per quanto riguarda la ludica più stretta. Il loop che prevede pesca, vendita, ritrovamento di oggetti e potenziamento del mezzo attraverso nuovo equipaggiamento funziona sempre, ma piccoli errori di calibrazione e, soprattutto, la progressiva erosione di quell'enorme fascino iniziale dei toni e delle atmosfere del gioco, proprio quando ce ne dovrebbe essere un'elevazione a potenza, a lungo andare ne sottolineano la ripetitività.

Tirar su un nuovo esemplare è sempre motivo di soddisfazione, soprattutto quando si tratta di un pesce mutato, manifestazione dell'oscuro potere che permea l'arcipelago. Ci sono però sempre vari fastidi con i quali lottare, soprattutto la scarsità di spazio a bordo della nave (la stiva è organizzata a mo' di griglia, ogni oggetto e pesce occupa diverse caselle) e la necessità di cambiare e migliorare costantemente il proprio equipaggiamento. Il sistema di migliorìe che sottende proprio questi aspetti funziona ed è piacevolissimo vedere la stiva allargarsi, poter installare nuove luci, reti e canne, però i potenziamenti richiedono veramente troppi materiali, e mettersi a cercarli è un fastidio, vista la rarità di alcuni di essi. Tutto poi, dalla vendita del pesce alle riparazioni ai potenziamenti, passa per strutture apposite, e se da un lato ciò è funzionale alla necessità di gestire l'inventario e il proprio tempo in mare alla lunga il doversi recare ogni volta lì e far quello che si deve non solo diventa ripetitivo, ma rompe anche il legame che un'opera così incentrata su certe atmosfere dovrebbe creare con il giocatore. Peccati tutto sommati veniali, questi così come quelli della narrazione, ma che nell'economia complessiva si fanno decisamente sentire.

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