Dinasty Warriors Origins è la prima sorpresa del 2025 | Provato

Dinasty Warriors: Origins si è rivelato una delle potenziali sorprese di un 2025 che si prospetta affollato e ricco di uscite interessanti.

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a cura di Andrea Maiellano

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Che il 2025 sarà un anno ricco di produzioni videoludiche potenzialmente incredibili, almeno sulla carta, è cosa oramai nota, ma che Koei Tecmo, con il suo Dinasty Warriors Origins, avrebbe aperto le danze con una produzione sorprendente, non ce lo saremmo mai aspettato.

Eppure, dopo aver speso circa 15 ore assieme alla nuova fatica di Omega Force, che vede alle redini del progetto nuovamente il celebre Tomohiko Sho (che fra l'altro abbiamo avuto l'onore di intervisare), possiamo tranquillamente dirvi che siamo di fronte a un action-game splendidamente confezionato, ricco di idee interessanti e ben lontano da quell’idea di “Musou” che ci siamo erroneamente fatti in occidente, anche in virtù dei numerosi tie-in usciti nel corso degli ultimi anni.

Dinasty Warriors Origins, difatti, è allo stesso tempo un prequel e una ripartenza per un franchise che, fin da quando vide la luce nel 1997 sottoforma di picchiaduro, ha sempre fatto fatica a imporsi in occidente, anche per via di un mix di generi che, nel corso degli anni, è venuto sempre meno, in virtù di conferire al giocatore l’emozione di sentirsi un “superuomo” capace di annientare, da solo, decine di migliaia di nemici.

In realtà il concetto di “uno contro mille”, è solo uno degli aspetti di un’esperienza che, originariamente, era molto più stratificata e che proprio con questo Dinasty Warriors Origins, è stata riabbracciata prepotentemente. Una dichiarazione di intenti rispettabilissima, visto che dopo le numerose ore spese assieme a questo nuovo capitolo, tutto abbiamo pensato tranne che di essere di fronte all’ennesimo Musou.

Ma andiamo con ordine. Dinasty Warriors Origins è, come suggerito dal titolo, una Origin Story atipica, visto che cancella con un deciso colpo di spugna la struttura a cui la serie ci ha abituato nel corso degli anni e, invece di metterci a disposizione un roster corposo di personaggi diversi, ci mette nei panni di un guerriero silenzioso e in preda a un’amnesia che, in circostanze che non vi anticiperemo per non rovinarvi la sorpresa, si ritroverà coinvolto prima negli eventi che faranno nascere i temibili “Turbanti Gialli” e in seguito a fungere da ago della bilancia durante la guerra dei Tre Regni.

Ovviamente, tutti i personaggi che negli scorsi 24 anni sono diventati iconici, non potevano mancare, motivo per il quale la storia farà in modo che il protagonista li incontri tutti, permettendogli di creare con essi legami affettivi, affinità sul campo di battaglia e scoprire di più sul passato, e sul presente, di ognuno di essi.

Questa dinamica è forse quella che ci ha sorpreso di più, visto che si rifà tantissimo a quanto visto con gli ultimi capitoli di Fire Emblem, permettendo al protagonista, e di fatto al giocatore, di scoprire una serie di sfaccettature rimaste celate fino a ora, empatizzare con i vari personaggi e ritrovarsi, di fatto, in difficoltà quando ci saranno da fare delle scelte che potrebbero distruggere completamente i legami coltivati fino a quel momento.

Questo sistema di legami, inoltre, si traspone anche sui campi di battaglia, dove in base all’affinità raggiunta con i vari personaggi, si potrà decidere di farsi affiancare durante gli scontri più complessi, prenderne il controllo per brevi periodi (ritrovando tutti quegli elementi di gameplay che hanno reso Dinasty Warrios celebre in tutto il mondo) e sferrare potenti attacchi combinati assieme a questi ultimi.

Ma quindi… cosa cambia in Dinasty Warriors Origins rispetto a tutti gli altri capitoli? Bè cambia che questo episodio sfrutta tutte le dinamiche dei Musou solo come uno scenografico contorno. Il concetto di “uno contro mille” è ancora presente ma non risulta mai predominante durante le battaglie, diventando semplicemente un mezzo per trasmettere al giocatore la sensazioni di ritrovarsi in prima persona all’interno di una battaglia campale, con centinaia di soldati che lottano per il predominio di questo, o quel regno, mentre il protagonista si lancia, a capo chino, alla ricerca dei “pezzi grossi” dei vari eserciti, contro i quali duellare in splendidi, e coreografici, uno contro uno.

Il combat system non cambia rispetto al passato, se non per una piccola, quanto importante, aggiunta: la parata. Ogni qualvolta si combatte contro un nemico importante, difatti, parare le offensive si rivelerà imprescindibile per romperne le difese e poter, quindi inanellare combo sempre più scenografiche, per abbassarne rapidamente la barra della vita.

Allo stesso modo, è stata implementata tutta una serie di meccaniche atte a interrompere gli attacchi più potenti dei vari avversari, in modo da incrementare la componente strategica che, mai come ora, ammanta ogni singolo scontro.

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Lanciarsi a testa bassa contro un nemico potente non sarà mai una buona idea, così come ignorare le centinaia di nemici che presenzieranno a schermo non si rivelerà mai una strategia vincente. Eliminare le truppe semplici, difatti, servirà non solo a caricare le varie abilità che serviranno contro gli scontri più impegnativi ma, soprattutto, farà si che le distrazioni durante questi duelli siano inferiori, visto che ogni truppa lasciata indietro, si premunirà di raggiungere il proprio generale per dargli manforte durante lo scontro con il protagonista.

Se tutto questo non bastasse, sono stati reintrodotti pesantemente tutti gli elementi strategici che caratterizzavano i primissimi capitoli per PlayStation 2. Ora, sarà necessario studiarsi il percorso migliore da fare, prima di iniziare una battaglia, visto che controllando attivamente solo un personaggio (nella maggior parte delle situazioni), correre da una parte all’altra per salvare i vari generali del proprio esercito non si rivelerà la soluzione strategicamente più efficace.

Le mappe, per quanto non eccessivamente varie in termini di level design, sono molto ampie, motivo per il quale attraversarle a piedi, o a cavallo, potrebbe richiedere troppo tempo, generando ingenti perdite nelle fila del proprio esercito e mettendo a rischio l’esito dell’intera battaglia. Per questo motivo, fin dai primi scontri, bisognerà essere molto oculati sugli spostamenti e conquistare poco alla volta l’area dedicandosi a eliminare i generali meno forti, per far si che le truppe del proprio esercito abbiano la strada spianata per supportarci a dovere.

Come da tradizione per la serie, se qualcuno degli alleati principali abbandonerà il campo di battaglia, lo scontro sarà perso; così come quando il generale a capo dell’intero esercito nemico sarà eliminato, lo scontro sarà vinto. Una volta appresa questa regola di base, il resto della strategia è nelle mani del giocatore e mai come in questo capitolo, vi possiamo assicurare che una decisione sbagliata può realmente far rischiare di perdere un’intera battaglia.

L’assenza di numerosi personaggi giocabili, però, potrebbe far storcere il naso ai fan più accaniti della serie, motivo per il quale Omega Force ha optato per fornire al protagonista una serie di armi diverse, tutte ben caratterizzate e ottime per abbracciare i diversi stili di gioco di ognuno. Come prevedibile, ognuno di questi strumenti di morte si ispira alle armi rese celebri dai vari personaggi della saga e per rimarcare questo aspetto, capiterà sovente che il protagonista della storia venga istruito su come sfruttare al meglio le armi in suo possesso proprio da queste figure iconiche dell’universo di Dinasty Warriors.

Se tutto questo non bastasse, troviamo anche una serie di meccaniche da Action-RPG che, nella fattispecie, si materializzano in un ricchissimo albero delle abilità, in un sistema di armi suddivise per livello di potenza e nella possibilità di indossare degli oggetti che donano buff attivi e passivi, ovviamente craftabili sfruttando le risorse raccolte sui campi di battaglia, guadagnate al termine di uno scontro o, molto banalmente, reperite girovagando per la generosa World Map che fungerà da punto di collegamento fra tutte le aree dei tre regni.

L’aspetto ruolistico più importante, però, è la possibilità di prendere una serie di decisioni capaci di stravolgere completamente la trama di Dinasty Warriors Origins, oltre che di modificare sensibilmente i legami con i vari personaggi, e se a questo importante aspetto, ci unite il fatto che in 15 ore (spese fra main quest e missioni secondarie) siamo arrivati solamente al terzo capitolo della storia, viene da se che questo nuovo inizio per la serie mette davvero tantissima, e gustosissima, carne al fuoco, che noi non vediamo l’ora di poter spolpare a dovere in fase di recensione. Per il momento, non possiamo fare altro che promuovere quanto testato fino a ora, cospargendoci il capo di cenere per aver pensato di trovarci di nuovo al “solito Dinasty Warriors”.

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