Bambole di plastica
Fatta questa doverosa introduzione agli elementi di gameplay puro, passiamo naturalmente al secondo ingrediente di un picchiaduro di successo, ovvero il roster di personaggi. Ben fornito e rimpinguato, il roster di DOA propone, come ogni picchiaduro che si rispetti, una carrellata su numerosi stili di combattimento. Come ci si aspetta dal Team Ninja, l’accento è sempre posto sul ninjitsu, rappresentato dai quattro combattenti simbolo della saga: Kasumi, Ayane, Hayate ed l’immancabile Ryo Hayabusa, il quale si gode la popolarità conseguita con Ninja Gaiden e sfoggia fin da subito la calzamaglia nera aderente indossata nel capolavoro action di Itagaki. Ma oltre al ninjitsu è contemplata quasi ogni tecnica di lotta: dalla lotta libera (rappresentata addirittura da tre lottatori) al kenpo, dal karate al jet kun do… sembra non mancare nulla nel nuovo capitolo della Tecmo. Se al principio noterete qualche assenza di personalità storiche della serie fra i personaggi iniziali, non disperate: questi verranno sbloccati via via che completerete il gioco con i lottatori iniziali. Oltre, infatti, ai quindici personaggi di partenza se ne aggiungeranno altri sei. Le nuove entrate, invece, svolgono eccellentemente il loro lavoro: Kokoro (apprendista Geisha con il pallino per il Kenpo), La Mariposa (lottatrice di lotta libera mista a capoeira, di cui i più lascivi amanti dei giochi di pallavolo Tecmo avranno già sgamato l’identità) e Eliot (ragazzino inglese allievo di Gen Fu) offrono degna sostituzione ai personaggi non utilizzabili da subito.
Quanto all’aspetto estetico dei lottatori, il Team Ninja è prevedibilmente generoso, e non parliamo dell’aspetto squisitamente tecnico, ma della modellazione delle fattezze dei personaggi. In special modo, e la cosa sorprende davvero pochi, quelli femminili. Seguendo la tradizione consolidata della serie, infatti, il roster delle donzelle assomiglia, più che ad un manipolo di esperte combattenti, ad un catalogo di pin-up per lo più maggiorate e poco (e/o aderentemente) vestite. Tenetevi pronti quindi a sgambature vertiginose, camicette, calzamaglie attillate, scorci di biancheria e tutto quell’insieme di piccole dosi di eros che fanno della serie Tecmo il picchiaduro più sospettosamente prossimo al genere Hentai in commercio. Ma in generale, a prescindere dal sesso, la modellazione dei personaggi si attesta su ottimi livelli, pur con qualche incoerenza.
Sfortunatamente l’HD, oltre a valorizzare le immagini, acuisce i difetti: mai come ora, pur nella loro splendida caratterizzazione, i personaggi di DOA sembrano pupazzi plasticosi, fredde versioni digitali di Ken e Barbie con il pallino per la lotta. Intendiamoci: i riflessi, l’effetto delle stoffe, le vene che solcano i muscoli dei lottatori (solo quelli maschili, badate bene), le trame dorate dei kimono sono rese più che egregiamente. É l’insieme generale che da l’impressione di “finto” che, fino alle scorse generazioni, era fortemente mitigata. E davvero, di fronte alla eccessiva pulizia plasticosa del gioco, si storce il naso quando un ciocca segmentata di capelli penetra nel davanzale della lottatrice di turno.